Lavoro, residenza e carta di identità: c’è il radicamento in Italia?

Radicamento in Italia da accertare, ma il lavoro stabile, la convivenza con una donna italiana e il possesso della carta di identità sono elementi a favore dell’imputato.

Questo è il caso di cui si è occupata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 28623/13, depositata lo scorso 3 luglio. La fattispecie. Un cittadino rumeno, nei cui confronti era stato emesso un mandato di arresto europeo, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello con cui era stata disposta la consegna dello stesso all’autorità giudiziaria del suo Paese. La Cassazione, in primis , ritiene infondata la prima doglianza in merito alla violazione dei diritti umani subita in Romania dall’imputato. Tuttavia, annulla la sentenza impugnata sul punto relativo all’applicabilità del rifiuto della consegna, rinviando per nuovo giudizio, vista l’erronea esclusione da parte dei giudici di merito del radicamento nel territorio italiano del ricorrente. Lavoro, residenza e carta d’identità Infatti, l’imputato, già dal 2008, e quindi relativamente ai redditi del 2007, aveva iniziato a presentare la certificazione CUD, visto che esercitava un’attività artigianale nel settore edilizio, avendo, tra l’altro, presentato domanda di iscrizione al locale albo provinciale delle imprese artigiane. E poi, sottolinea la S.C., risulta che l’uomo convive stabilmente con una cittadina italiana in un appartamento condotto in locazione sulla base di regolare contratto. In conclusione, il giudice del rinvio dovrà procedere ad una nuova valutazione degli elementi di fatto rappresentati dal ricorrente, ai fini dell’accertamento del presupposto del radicamento in Italia del medesimo .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 2 – 3 luglio 2013, n. 28623 Presidente De Roberto – Relatore Conti Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino disponeva la consegna all'a.g. rumena di M S. , cittadino rumeno, nei cui confronti il Tribunale di Arad aveva emesso in data 12 aprile 2012 mandato di arresto Europeo MAE sulla base dell'ordine di esecuzione in data 12 dicembre 2008 relativo alla pena di sei anni di reclusione inflittagli con sentenza del Tribunale di Arad in data 31 gennaio 2008, divenuta definitiva a seguito di rigetto della impugnazione pronunciato in data 11 dicembre 2008 dalla Corte di appello di Timisoara, per i reati di furto aggravato, di guida senza patente e di guida in stato di ebbrezza alcoolica, commessi in omissis . Osservava la Corte di appello che sussistevano i presupposti di legge per la consegna, non essendo apprezzabili le contestate lesioni del diritto di difesa nel procedimento celebrato in Romania e non essendo la pena eseguibile in Italia, stante la mancanza del radicamento nel Paese del S. . 2. Ha proposto ricorso l'interessato, con atto personalmente sottoscritto, deducendo, in primo luogo, che nel procedimento a suo carico in Romania era stato violato l'art. 6 della Convenzione EDU, essendo egli stato interrogato in data 8 novembre 2007 senza l'assistenza del difensore e, inoltre, che egli era radicato in Italia, dove era lavorativamente occupato e dove viveva con la sua famiglia. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, posto che, come puntualmente messo in risalto dalla Corte di appello, il S. è stato assistito nel giudizio in Romania da un difensore e che egli antecedentemente al dibattimento a suo carico ha rilasciato dichiarazioni sui fatti addebitatigli essendo stato previamente avvertito del diritto di essere assistito da un difensore, e del diritto al silenzio, con l'avviso che ogni sua dichiarazione avrebbe potuto essere utilizzata contro di lui. Pur trattandosi di modalità di assunzione di dichiarazioni dell'indagato da parte della p.g. diverse da quelle, più garantistiche, previste dalla legge processuale italiana, non si ravvisa in esse alcun contrasto con l'art. 6 CEDU tra le altre, v. Corte EDU, del 18/02/2010, Zaichenko c. Russia . 2. Appare invece fondato il secondo motivo di ricorso. La Corte di appello ha escluso il radicamento del S. nel territorio italiano, osservando che, pur essendo stati prodotti documenti attestanti una sua presenza nel Comune di Verbania sin dal novembre 2009, egli non aveva dimostrato di avere un lavoro stabile e continuativo e di avere fissato in Italia il centro dei propri interessi economici, affettivi e familiari, avendo anzi dichiarato di avere un figlio di sedici anni che vive in ” circostanza, si osserva, che non può che tenerlo ancora legato al paese di origine”. Al riguardo va osservato in punto di fatto che, in realtà, dalla documentazione prodotta risulta che il ricorrente ha iniziato a presentare la certificazione CUD nel 2008, e quindi relativamente ai redditi 2007, reiterandola poi negli anni seguenti che dall'anno 2007 risulta convivere stabilmente, in un appartamento condotto in locazione sulla base di regolare contratto, con una cittadina italiana, risiedendo nel Comune di Verbania che sin dal 1 aprile 2008, come da certificazione del Comune, risulta esercitare l'attività artigianale nel settore edilizio, avendo presentato domanda di iscrizione al locale albo provinciale delle imprese artigiane che in data 19 aprile 2008 il predetto Comune gli ha rilasciato carta di identità. Ora, va tenuto presente che il ricorrente è un cittadino dell'U.E., cui si estende il regime dettato dall'art. 18, comma 1, lett. r , legge n. 69 del 2005 in forza della sentenza Corte cost. n. 227 del 2010 che i reati per cui egli ha riportato condanna risalgono al luglio 2006 e che, come più volte precisato dalla giurisprudenza, per accertare la sussistenza del presupposto della residenza occorre fare riferimento a indici quali la legalità della presenza in Italia, l'apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale rispetto alla commissione del reato e alla condanna subita, la fissazione in Italia della sede principale, se non esclusiva, delle occupazioni lavorative e degli interessi familiari ed affettivi, l'eventuale pagamento degli oneri contributivi e fiscali v., ex plurimis , da ultimo, Sez. 6, n. 43011 del 06/11/2012, Vaduva, Rv. 253794 . Tali elementi di fatto, in relazione alla documentazione prodotta, non appaiono essere stati adeguatamente valutati dalla Corte di appello, che non solo ha posticipato l'inizio della residenza del ricorrente nel Comune di Verbania all'anno 2009, mentre essa appare avere avuto inizio nell'anno 2007, ma ha anche genericamente escluso che il medesimo conducesse in Italia un'attività lavorativa non estemporanea e avesse qui duraturi legami affettivi, senza confrontarsi con gli elementi obiettivi desumibili dalla varia documentazione prodotta, per di più valorizzando in senso negativo un dato invero di scarsa significatività, quale quello della esistenza di un figlio di sedici anni vivente in . Si impone pertanto una nuova valutazione degli elementi di fatto rappresentati dal S. ai fini dell'accertamento del presupposto del radicamento in Italia del medesimo, in ipotesi ostativo alla sua consegna allo Stato di emissione, a norma dell'art. 18, comma 1, lett. r , legge n. 69 del 2005 spettando alla Corte di merito un simile apprezzamento, tenuto conto del margine di discrezionalità implicato dalla norma v., per questa precisazione, Sez. F, n. 31009 del 03/08/2010, Antohi, Rv. 247811 Sez. F, n. 30039 del 27/07/2010, Alecsa, Rv. 247810 . 3. La sentenza impugnata va dunque sul punto sopra indicato annullata, con rinvio, per più approfondita vantazione, ad altra sezione della Corte di appello di Torino con rigetto nel resto del ricorso. La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, legge n. 69 del 2005. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata sul punto relativo all'applicabilità del rifiuto della consegna di cui all'art. 18, comma 1, lett. r , legge n. 69 del 2005, e rinvia per nuovo giudizio su tale punto ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, della predetta legge.