Solo il contraddittorio endoprocedimentale consente di verificare la corrispondenza delle statistiche alla realtà del singolo contribuente

Le procedure di accertamento standardizzato costituiscono un sistema di presunzioni semplici, la cui attendibilità è condizionata dal contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente tale fase deve essere attivata obbligatoriamente, pena la nullità dell’atto impositivo.

A ribadirlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza numero 13773 del 4 giugno 2013. Il caso. L’Amministrazione finanziaria rilevava uno scostamento tra i compensi dichiarati da un professionista per il periodo di imposta 1998 e quelli risultanti dall’applicazione dei parametri ex articolo 3, commi da 181 a 189, l. 28 dicembre 1995, numero 549 e d.p.c.m. 29 gennaio 1996. In sede di a ccertamento con adesione, a giustificazione di tale scostamento il contribuente adduceva l’episodicità e la marginalità dell’attività di lavoro autonomo svolta. Nonostante questi chiarimenti, l’Ufficio procedente lasciava ferma la rettifica. In sede processuale, il contribuente vedeva le proprie doglianze solo parzialmente accolte dai giudici di merito. Nella sentenza numero 13773/2013, la Cassazione accoglie il ricorso del contribuente e cassa con rinvio la pronuncia impugnata, ritenendola non adeguatamente motivata. La motivazione della sentenza di gravame e dell’atto impositivo . La pronuncia in rassegna si segnala per due motivi. In primo luogo, la sentenza di gravame viene censurata perché priva di adeguata motivazione circa le ragioni che hanno indotto il giudice del gravame a superare gli elementi di fatto offerti dal contribuente a giustificazione dello scostamento rispetto alle risultanze dei parametri. Quanto affermato dal Giudice di legittimità con riferimento ad un provvedimento giurisdizionale vale anche, mutatis mutandis , per gli atti impositivi qualora il contribuente si sia adeguatamente difeso in sede di contraddittorio endoprocedimentale, l’Amministrazione finanziaria deve dar conto, nel successivo avviso di accertamento, delle ragioni in forza delle quali tali giustificazioni non siano state ritenute prive di pregio, pena l’illegittimità dell’atto impositivo sotto il profilo motivazionale. Contraddittorio endoprocedimentale motivazione dell’atto impositivo un legame inscindibile. In secondo luogo, la sentenza numero 13773/2013 si colloca nell’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di accertamenti standardizzati aperto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le sentenze nnumero 26635, 26636, 26637 e 26638 del 18 dicembre 2009. Il Collegio ricorda infatti che le procedure di accertamento standardizzato costituiscono un sistema di presunzioni semplici, la cui attendibilità è condizionata dal contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente tale fase deve essere attivata obbligatoriamente, pena la nullità dell’atto impositivo. In sede di contraddittorio endoprocedimentale, il contribuente può dimostrare, senza subire limitazioni quanto ai mezzi all’oggetto della prova, la sussistenza di situazioni di fatto che siano idonee a giustificare lo scostamento dei ricavi o compensi dichiarati rispetto alle risultanze degli accertamenti standardizzati. Dal canto suo, l’ufficio procedente, qualora il contribuente abbia partecipato al contraddittorio endoprocedimentale, non può limitarsi a richiamare gli strumenti standardizzati, ma deve integrare la motivazione dell’atto impositivo con la dimostrazione della loro applicabilità in concreto e con l’indicazione delle ragioni per le quali le contestazioni del contribuente sono state disattese. Il ruolo del contraddittorio endoprocedimentale nell’istruttoria tributaria. In motivazione, la Sezione Tributaria richiama un successivo arresto Cass., sez. trib., 11 febbraio 2011, numero 3312, in bancadati DeJure , particolarmente interessante perché focalizza l’attenzione sul ruolo del contraddittorio endoprocedimentale quale strumento centrale dell’istruttoria tributaria, suscettibile di applicazione generalizzata ai vari procedimenti di rettifica. Nella pronuncia richiamata si osserva che il fine e l’effetto delle sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è stato quello di portare l’attenzione sul contraddittorio endoprocedimentale «non solo nel processo ma anche nella realtà», quale «strumento principale di verificazione o falsificazione della corrispondenza tra realtà e sua rappresentazione», perché soltanto in tale sede «il contribuente potrà in primo luogo dedurre e dimostrare che i parametri utilizzati sono in sé erronei perché sono basati su elementi fattuali non corrispondenti alla realtà o su criteri di elaborazione e di inferenza illogici e [potrà] quindi chiedere la disapplicazione del provvedimento che li ha approvati[, ] dedurre e dimostrare che l’ufficio impositore è incorso in errore operativo nell’applicare i parametri alla sua realtà [,] dedurre [] o l’estraneità della propria attività rispetto alla tipologia alla quale quei parametri intendono riferirsi o ovvero la sussistenza, nella propria attività di caratteri per così dire anormali, cioè di elementi che la diversificano rispetto a quelle in riferimento alle quali è stata individuata la normalità reddituale». Qualora il contribuente, pur essendo stato messo in condizione di dedurre, nulla abbia detto, «l’ufficio impositore prima e il giudice poi non avranno elementi per escludere che l’attività in questione sia un’attività “normale” ed abbia quindi una redditività normale». Se il contribuente prospetta invece la sussistenza di circostanze di fatto «tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, spetterà all’ufficio prima e al giudice poi valutare in primo luogo se tali circostanze sono vere e poi se esse possono essere effettivamente idonee “giustificare” un reddito inferiore a quello che sarebbe normale e quindi presuntivamente vero in assenza di esse». Non opera il meccanismo di ripartizione dell’onere della prova ma la normale dialettica tra prova e controprova. Nella richiamata sentenza numero 3312/2011, la Sezione Tributaria chiarisce che, in tema di accertamenti standardizzati, non opera il meccanismo di ripartizione dell’onere della prova, né per effetto della regola di cui all’articolo 2697 c.c., né per effetto di una sua inversione, ma la normale dialettica tra prova e controprova, interiore al giudizio sul fatto ed ancorata al principio di ragionevolezza. Questi rilievi, già anticipati dalla dottrina anche con riferimento ad altre procedure di rettifica, trovano ora conferma anche nella giurisprudenza di legittimità. La Corte di Cassazione, dopo aver espressamente escluso la diretta applicabilità dell’articolo 2697 c.c., rileva che « come sempre avviene con riferimento alla prova critica, a fronte di una rappresentazione dotata di un grado adeguato di verosimiglianza in base ad elementi di convincimento di qualsiasi genere e quindi anche di carattere presuntivo e quindi presuntivamente attendibile – come quella che viene ricavata dalla corrispondenza all’ id quod plerumque accidit – spetta a chi vi ha interesse dedurre e provare la sussistenza di elementi di discordanza o disomogeneità idonei a togliere valore alla presunzione». A questo schema sono ricondotti anche i principi enunciati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nelle sentenze del Natale 2009, si legge infatti che « a all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento circostanza nella specie non contestata b al contribuente [] fa carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce».

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 8 - 31 maggio 2013, numero 13773 Presidente Cappabianca – Relatore Iofrida Svolgimento del processo Con sentenza numero 79/27/2006 del 14/07/2006, depositata in data 2/10/2006, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, Sez. 27, respingeva, con compensazione delle spese di lite, l'appello proposto, in data 27/09/2005, da D.V.E., avverso la decisione numero 267/47/2004 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che aveva solo parzialmente accolto il ricorso del contribuente contro un avviso di accertamento, notificato nel novembre 2003, relativo a maggiori imposte IRPEF, IRAP e contributi INPS dovuti per l'anno 1998, a seguito di rettifica del reddito d'imposta dichiarato e della rideterminazione di maggiori ricavi. La C.T.P. accoglieva parzialmente il ricorso, determinando i maggiori ricavi in £ 36.384.000. La Commissione Tributaria Regionale respingeva il gravame del contribuente, in quanto riteneva pienamente legittima l'applicazione all'accertamento dei parametri, di cui agli articolo 3 e 81 L. 549/1995 e DPCM 29/01/1996, fino all'approvazione degli studi di settore, con conseguente operatività di una presunzione legale relativa, superabile ad opera del contribuente con adeguata prova contraria, e che, nella specie, nessuna prova idonea era stata fornita dal contribuente per inficiare la ricostruzione dei ricavi sulla base dei criteri parametrici . Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per cassazione il D.V. deducendo tre motivi, per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c. Motivo 1, in relazione all'articolo 39 DPR 600/1973, essendo stato effettuato un accertamento induttivo in difetto dei requisiti di legge, quali la mancanza, l'inesattezza o l'inattendibilità delle scritture contabili, ai sensi dell'articolo 39 comma 2°, o l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati, ai sensi dell'articolo 39, comma 1°, lett. d DPR 600/1973 Motivo 2, in relazione agli articolo 3 L.549/1995, 39 comma 1°, lett.d DPR 600/1973 e 3 comma 181° L.549/1995, non potendo attribuirsi ai parametri valenza di presunzione grave, precisa e concordante, dovendo essi sempre accompagnarsi ad ulteriori elementi di riscontro, e non potendo pertanto procedersi ad accertamento induttivo, ex articolo 39 comma 1 lett.d , esclusivamente basandosi su detti coefficienti parametrici , e per omessa motivazione, ai sensi dell'articolo 360 numero 5 c.p.c. Motivo 3, avendo i giudici tributari disatteso completamente le avverse risultanze contabili relative all'attività svolta dal contribuente, precisamente la lettera d'incarico quale subagente assicurativo, in regime di contabilità semplificata, in Agenzia facente capo a primaria Compagnia di Assicurazione, il libro dei cespiti ammortizzabili, nonché la particolare condizione di pensionato, che godeva di redditi aggiuntivi, da pensione e da fabbricato, e solo saltuariamente si dedicava all'attività di lavoro autonomo . Non ha resistito l'Agenzia delle Entrate con controricorso, costituendosi unitamente al Ministero dell'Economia e delle Finanze ai soli fini della partecipazione all'udienza pubblica di discussione. Motivi della decisione Il ricorrente lamenta con i primi due motivi, una errata interpretazione delle disposizioni normative relative all'accertamento induttivo del reddito, ai fini IRPEF ed IRAP, mentre con il terzo motivo denuncia vizio motivazionale della decisione impugnata. Il terzo motivo, assorbente rispetto agli altri, è fondato. Questa Corte ha chiarito che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati - meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività -ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest'ultimo ha l'onere dì provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell'applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L'esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l'impugnabilità dell'accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l'applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall'ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all'invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l'Ufficio può motivare l'accertamento sulla sola base dell'applicazione degli standards , dando conto dell'impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all'invito cfr. Cass. S.U. 26635/2009, Cass. 12558/2010, Cass.12428/2012, Cass.23070/2012 . In termini di onere della prova, nella citata sentenza delle Sezioni unite, si è affermato, schematicamente, che l'onere della prova è così ripartitola all'ente impositore fa carico la dimostrazione dell' applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell'accertamento b al contribuente fa carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce . Come chiarito ulteriormente da questa Corte in una recente sentenza Cass.3312/2011 , il fine e l'effetto della pronunzia delle Sezioni Unite è stato quello di porre in luce l'importanza del contraddittorio, non solo nel processo ma anche nella realtà, quale strumento principale di verificazione o falsificazione della corrispondenza tra realtà e sua rappresentazione, in quanto proprio in sede di contraddittorio - il quale può avvenire già in fase amministrativa, ma anche e soprattutto nel giudizio - il contribuente potrà in primo luogo dedurre e dimostrare che i parametri utilizzati sono in sé erronei perché sono basati su elementi fattuali non corrispondenti alla realtà o su criteri di elaborazione e di inferenza illogici e potrà quindi chiedere l'annullamento del provvedimento che li ha approvati ovvero dedurre e dimostrare che l'Ufficio impositore è incorso in errore operativo nell'applicare i parametri alla sua realtà ovvero ancora dedurre o l'estraneità della propria attività rispetto alla tipologia alla quale quei parametri intendono riferirsi o la sussistenza, nella propria attività di caratteri per così dire anormali, cioè di elementi che la diversificano rispetto a quelle in riferimento alle quali è stata individuata la normalità reddituale. Ove il contribuente, pur essendo stato messo in condizione di dedurre, nulla dice, legittimamente l'Ufficio impositore prima e il giudice poi non avranno elementi per escludere che l’attività in questione sia un'attività normale ed abbia quindi una redditività normale ove il contribuente prospetti invece la sussistenza di circostanze di fatto, tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, spetterà all'ufficio prima e al giudice poi valutare in primo luogo se tali circostanze sono vere e poi se esse possono essere effettivamente idonee a giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe normale e quindi presuntivamente vero in assenza di esse . Tanto premesso, occorre evidenziare che, secondo quanto si legge nel ricorso, l'Ufficio, in considerazione del fatto che i ricavi dichiarati erano inferiori a quelli calcolati, ha invitato il contribuente ad esporre e documentare i fatti e le circostanze idonee a giustificare lo scostamento dei ricavi dichiarati da quelli determinati con l'applicazione dei parametri. A fronte di tale formale invito, il contribuente si è presentato ed ha fornito elementi riportati nel verbale di accertamento con adesione redatto ai sensi dell'articolo 5 L. 218/1997 del 26/03/2004, ritrascritto in parte , idonei a giustificare gli scostamenti rilevati. Invece, la sentenza impugnata non ha dato adeguata motivazione circa le ragioni che hanno indotto la Commissione tributaria regionale a considerare pertinenti i parametri utilizzati per la determinazione presuntiva del redditi e quindi a non considerare attendibili i ricavi così determinati, malgrado gli elementi di prova offerti dal contribuente circa l'episodicità e marginalità dell'attività di lavoro autonomo svolta. Le affermazioni che si leggono nella sentenza di secondo grado, in realtà, sono totalmente prive di specificità e concretezza e neppure riescono a far comprendere se e quali ragioni di fatto i giudici tributari hanno effettivamente preso in considerazione e verificato e quale sia stato l'iter logico da essi seguito. Dalla sentenza impugnata, quindi, non risulta se il contribuente abbia assolto l'onere di dedurre e provare concrete situazioni di fatto idonee a dimostrare elementi di fatto della sua attività di lavoro autonomo. Giova ribadire che il vizio di omessa motivazione sussiste quando nella motivazione non sia chiaramente illustrato il percorso logico seguito per giungere alla decisione e non risulti comunque desumibile la ragione per la quale ogni contraria prospettazione sia stata disattesa. Il ricorso deve essere pertanto accolto, quanto al terzo motivo, vizio motivazionale ex articolo 360 numero 5 c.p.c., assorbiti gli altri, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della C.T.R. della Lombardia, che procederà a nuovo esame, sulla base dei principi di diritto sopra esposti, e provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.