Per la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, è necessario che venga compiuto un reato da parte del soggetto riconducibile all’ente, ma non è anche necessario che tale reato venga accertato con individuazione e condanna del responsabile-persona fisica.
Ne consegue che è viziata da violazione di legge e va pertanto annullata con rinvio la decisione del Giudice che abbia ritenuto automaticamente esclusa la responsabilità amministrativa della persona giuridica in conseguenza dell’assoluzione del suo funzionario. Lo ha stabilito la seconda sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 20060, depositata il 9 maggio 2013. La natura giuridica della responsabilità amministrativa degli enti. Nella Relazione al d.lgs. 231/01, si parla della responsabilità degli enti come di un tertium genus di responsabilità penale-amministrativa, che si affianca a quella penale delle persone fisiche, ed a quella amministrativa stricto sensu prevista dalla l. 24 novembre 1981, numero 689. Essa costituisce dunque una forma ibrida di responsabilità, che pur trova origine da un reato, avendo così natura sostanzialmente penale cfr. Cass. 3615/05 . Affinché inoltre vi sia responsabilità ex d.lgs. numero 231/01, occorre la sussistenza di diverse condizioni. Sono infatti necessarie la presenza di un reato commesso da una persona fisica un rapporto qualificato dell’agente con l’ente quale soggetto apicale o sottoposto articolo 5, comma 1 l’interesse o vantaggio dell’ente il carattere non territoriale, non pubblico o non di rilievo costituzionale dell’ente per tali persone giuridiche, infatti, l’articolo 1, comma 3, prevede la specifica esclusione di applicabilità della disciplina l’inesistenza di un provvedimento di amnistia per il reato da cui dipende l’illecito amministrativo articolo 8, commi 2 e 3 . I criteri soggettivi di imputazione della responsabilità dell’ente Il legislatore italiano ha rifiutato il modello francese della responsabilità riflessa dell’ente par ricochet cioè indiretta, o di posizione , a sua volta fondato sulla teoria dell’immedesimazione organica pura secondo cui l’ente è automaticamente responsabile per il reato posto in essere dal suo amministratore . Oltre ai requisiti oggettivi di cui all’articolo 5 del decreto, occorre perciò che il reato sia espressione della politica aziendale, o comunque discenda dalla colpa organizzativa dell’ente. Questo dunque ha la posizione di garante rispetto al rischio penale, in cui incorre in ragione della propria attività, così configurandosi una responsabilità per fatto proprio, consistente nell’aver omesso di predisporre modelli organizzativi idonei a prevenire i reati della specie di quello verificatosi. L’adozione e l’efficace attuazione del modello escludono la colpevolezza dell’ente, perché dissociano la posizione di quest’ultimo da quella del proprio vertice. Sussistono dunque tre modelli di responsabilità. In primo luogo, vi è un modello omissivo condizionato articolo 6 , nel quale l’ente non ha adottato né efficacemente attuato alcun modello, prima della commissione del reato. In tal caso, il reato della persona fisica si atteggia a mera condizione di punibilità articolo 44 c.p. . Vi è poi un modello omissivo d’evento a tipicità vincolata sempre disciplinato dall’articolo 6 esso ricorre nel caso di omesso impedimento del reato della persona fisica, quando cioè l’ente non ha adottato ed efficacemente attuato un modello idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi, dovendosi intendere l’idoneità come una valutazione ex ante . Infine, vi è un modello omissivo d’evento a forma alternativa articolo 7 l’ente non risponde, se non c’è stata omissione colposa di vigilanza da parte degli apicali articolo 7, comma 1 , o se, in ogni caso, ha adottato ed efficacemente attuato un modello idoneo articolo 7, comma 2 . e il principio di autonomia della responsabilità dell’ente. La peculiarità della sentenza in esame consiste nell’aver ampliato la portata del disposto dell’articolo 8, comma 1, lett. a del decreto, a norma del quale la responsabilità dell’ente ha natura autonoma e diretta rispetto a quella della persona fisica. Ed infatti la quinta sezione, nel ribadire che l’illecito amministrativo dell’ente ha carattere autonomo, ha statuito che esso può sussistere anche in mancanza di una concreta condanna del sottoposto o della figura apicale societaria, come accade nel caso di mancata individuazione del responsabile. Invero, è la ratio oggettiva del d.lgs. numero 231/01 a perseguire la finalità di sanzionare l’ente collettivo ogni volta che le persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente commettono reati nel suo interesse o a suo vantaggio. Interesse e vantaggio per l’ente. A tal proposito, giova ricordare che l’interesse ricorre allorquando la persona fisica abbia commesso il reato perché ad esso è stata instradata dalla persona giuridica, con la sua politica d’impresa. Il reato commesso deve essere coerente con gli scopi perseguiti dall’ente, e realizzato nei limiti dell’esercizio del mandato conferito dall’impresa. A tal fine, si rende necessaria la verifica ex ante dell’interesse dell’ente alla indebita locupletazione. Quanto invece alla nozione penalmente rilevante di vantaggio, esso consiste nell’arricchimento economico che l’ente ricava dal reato commesso dalla persona fisica. In tale ipotesi, occorre una verifica ex post dell’oggettivo conseguimento della locupletazione da parte dell’ente.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 aprile - 9 maggio 2013, numero 20060 Presidente Ferrua – Relatore Demarchi Albengo Ritenuto in fatto 1. Il pubblico ministero presso il tribunale di Milano propone ricorso immediato per cassazione contro la sentenza di assoluzione della Citibank numero A. dall'illecito amministrativo di cui all'articolo 5 del d.lgs. 231/01. 2. A sostegno del ricorso lamenta erronea applicazione dell'articolo 8 del predetto d.lgs. con riferimento all'illecito sub capo M rectius capo L , in relazione al reato presupposto di cui al capo D.2 contestato a B.P. dal quale quest'ultimo è stato assolto per non aver commesso il fatto . 3. Sostiene il pubblico ministero che avendo il Tribunale ritenuto sussistente il reato presupposto, come si evincerebbe da quanto esposto alla pagina 60 della sentenza, non avrebbe dovuto assolvere la Citibank, in quanto quello dell'ente è un titolo autonomo di responsabilità rispetto al reato presupposto, tanto che l'articolo 8 del d.lgs. afferma che la responsabilità dell'ente sussiste anche quando l'autore del reato non è stato identificato. 4. La Citibank ha depositato memoria a mezzo del difensore mediante la quale contesta, primo luogo, che il tribunale abbia ritenuto la sussistenza del reato pur non commesso dal B. , rilevando che alla pagina 61 la sentenza esclude in modo assoluto qualsiasi concorso nell'illecito da parte di soggetti riferibili alla società. 5. In secondo luogo afferma che non può procedersi per l'illecito amministrativo quando il reato si è estinto per prescrizione, che nel caso di specie è maturata prima del 18/04/2011 e quindi prima della sentenza di primo grado. 6. In terzo luogo sostiene che la responsabilità dell'ente è vincolata alla indispensabile individuazione di un soggetto che abbia commesso un reato completo di ogni elemento, sia oggettivo che soggettivo in particolar modo, poiché il reato presupposto è doloso, non sarebbe possibile ritenere sussistente tale reato in mancanza di individuazione dell'autore materiale, con riferimento al quale si deve valutare la sussistenza dell'elemento psicologico. Considerato in diritto 1. Prima di procedere alla disamina dei motivi di ricorso, occorre valutare quali siano gli effetti della prescrizione del reato presupposto sulla perseguibilità dell'illecito amministrativo. 2. Dice l'articolo 60 del d. lgs. 231/2001 che Non può procedersi alla contestazione di cui all'articolo 59 quando il reato da cui dipende l'illecito amministrativo dell'ente è estinto per prescrizione . 3. La relazione governativa afferma che l'articolo 60 prevede un termine finale di decadenza, secondo la rubrica dell'articolo per l'esercizio da parte del pubblico ministero del potere di contestare all'ente l'illecito amministrativo dipendente dal reato, decorso il quale non può più procedersi alla contestazione stessa sul punto si veda, in motivazione, Sez. 5, numero 4335 del 16/11/2012, Franza, Rv. 254326 . 4. L'articolo 60 è piuttosto chiaro nel suo contenuto normativo e comporta che l'estinzione per prescrizione del reato impedisce unicamente all'accusa di procedere alla contestazione dell'illecito amministrativo e non impedisce, invece, di portare avanti il procedimento già incardinato. 5. D'altronde, se è vero che l'illecito amministrativo si prescrive in cinque anni dalla commissione del reato, è anche vero che si devono applicare le cause interruttive del codice civile e pertanto la prescrizione non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento articolo 2945 cod. civ Per un caso analogo si veda Sez. 4, numero 9090 del 05/04/2000, Lefemine, Rv. 217126 A norma degli articolo 2943 e 2945 cod. civ. la prescrizione è interrotta dall'atto col quale si inizia un giudizio ed essa pertanto non decorre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il processo ne consegue che, in applicazione analogica di tale principio allorché la connessione con reati attribuisce al giudice penale la cognizione di un'infrazione amministrativa, il processo che venga iniziato a seguito di un rapporto regolarmente notificato all'interessato, ai sensi degli articolo 14 e 24, secondo comma legge numero 689/1981, interrompe la prescrizione dell'illecito punito con sanzione amministrativa fino al passaggio in giudicato della sentenza penale . 6. Ciò premesso sotto il profilo processuale, si deve ritenere fondato il ricorso del pubblico ministero. Vanno richiamate, innanzitutto, le considerazioni espresse dalla pubblica accusa con riferimento alla relazione governativa al decreto legislativo, ove -premessa l'autonomia della due ipotesi di responsabilità penale del singolo ed amministrativa della società - si afferma che in caso di mancata individuazione del soggetto responsabile non vi è ragione di escludere la responsabilità dell'ente. 7. È vero che sui criteri di interpretazione della legge, cristallizzati dalla norma contenuta nell'articolo 12 delle preleggi, non vi è uniformità, ma non può essere messo in dubbio il criterio teleologico di natura soggettiva, e cioè il ruolo non indifferente che nell'attività ermeneutica deve svolgere l'indagine sull'intenzione concretamente perseguita dal legislatore storico con la emanazione della legge. 8. Occorre ricordare, infatti, che un orientamento di legittimità, pur risalente, equipara i due criteri contenuti nel comma primo dell'articolo 12 preleggi, intendendo la voluntas iegis come volontà soggettivamente espressa dal legislatore Quando la lettera della legge è esplicita e quando la intenzione del legislatore è fatta palese e inequivocabile attraverso i lavori parlamentari durante i quali il testo della legge sia stato ampiamente discusso, ogni diversa interpretazione, se può servire a rilevare inconvenienti o lacune, non vale certamente ad immutare il senso della legge stessa in guisa da farle dire cosa profondamente diversa da quanto ha voluto dettare, sovrapponendosi alla volontà del costituente e del legislatore ordinario, con grave pregiudizio della certezza del diritto e delle prerogative parlamentari cfr. Sez. 6, n, 126 del 26/01/1967, Tinelli, Rv. 103410. Fa riferimento al pensiero e alla volontà del legislatore, anche al di là della dizione letterale, anche Sez. 3, numero 894 del 25/03/1963, Rosmino, Rv. 98978 . Vi sono anche pronunce più recenti, pure delle sezioni unite, che arrivano a dare prevalenza al profilo interpretativo soggettivo, ritenendo che quello letterale non sia nemmeno un criterio interpretativo, ma solo il limite d'ogni altro metodo ermeneutico Sez. U, numero 11 del 19/05/1999, Tucci, Rv. 213494 . 9. Altre sentenze sembrano suggerire la prevalenza della ratio oggettiva della norma, ricercando lo scopo perseguito soggettivamente dal legislatore storico solo in caso di dubbio Quando la lettera della norma sia ambigua e sia altresì infruttuoso il ricorso al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, attraverso l'esame complessivo del testo, della mens legis, l'elemento letterale e l'intenzione del legislatore, rivelatisi insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano, nel procedimento interpretativo della legge, un ruolo paritetico, sicché - mediante la valorizzazione della congiunzione e interposta, nel primo comma dell'articolo 12 delle preleggi, fra un criterio interpretativo e l'altro - l'intenzione del legislatore funge da criterio comprimario di ermeneutica, atto ad ovviare all'equivocità della formulazione del testo da interpretare v. sent. 3359/75, RV. 377497 Sez. L, numero 1482 del 26/02/1983, Rv. 426307 numero 2663 del 1983, Rv. 427036 numero 2183 del 1983, Rv. 426382 numero 1557 del 1983, Rv. 426307 numero 5493 del 26/08/1983, Rv. 430429 . 10.Altre sentenze ancora affermano la prevalenza del criterio letterale, superabile solo nel caso in cui questo sia oscuro e foriero di un'interpretazione in contrasto con il sistema normativo Il criterio di interpretazione teleologia, previsto dall'articolo 12 delle preleggi, può assumere rilievo prevalente rispetto all'interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione di legge sia incompatibile con il sistema normativo non è infatti consentito all'interprete correggere la norma, nel significato tecnico giuridico proprio delle espressioni che la compongono, nell'ipotesi in cui ritenga che l'effetto giuridico che ne deriva sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma è intesa cfr. Sez. L, numero 3495 del 13/04/1996, Rv. 497000. Nello stesso senso si esprime in motivazione Sez. 3, numero 9700 del 21/05/2004, Rv. 572999 quando l'interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente a esprimere un significato chiaro e univoco, l'interprete non deve ricorrere all'interpretazione logica, specie se attraverso questa si tenda a modificare la volontà della legge chiaramente espressa Cass, 17 novembre 1993, numero 11359, nonché, tra le tantissime, Cass. 23 settembre 1985, numero 4711 Cass. 13 novembre 1979, numero 5901 Cass. 21 giugno 1972 numero 2000,- Cass. 3 dicembre 1970 nnumero da 2533 a 2537 Cons. SL, sez. 4^, 29 febbraio 1996, numero 222 . Solo qualora il significato proprio delle parole secondo la connessione di esse non sia già tanto chiaro e univoco da rifiutare una diversa e contrastante interpretazione, si deve ricorrere al criterio logico ciò al fine di individuare, attraverso una congrua valutazione del fondamento della norma, la precisa intenzione del legislatore , avendo cura, però, di individuarla quale risulta dal singolo testo che è oggetto di esame e non già, o semmai in via subordinata e complementare, quale può genericamente desumersi dalle finalità ispiratrici di un più ampio complesso normativo in cui quel testo, insieme con altri, ma distintamente da essi, è inserito Cass. 16 ottobre 1975 numero 3359 . Il criterio di interpretazione teleologia, previsto dall'ultima parte del primo comma dell'articolo 12, preleggi, in particolare, può assumere rilievo prevalente, rispetto alla interpretazione letterale solo nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione di legge sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo consentito all'interprete correggere la norma, nel significato tecnico giuridico proprio delle espressioni che la compongono, nella ipotesi in cui ritenga che l'effetto giuridico che ne deriva sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma è intesa . 11. Un'interpretazione più recente sembra condividere i risultati della dottrina più progressista , secondo cui lo scopo della norma non è quello propostosi dai compilatori della legge interpretazione soggettiva , ma quello oggettivamente inteso interpretazione oggettiva , come tale suscettibile di mutamenti con il variare della realtà sociale, onde della norma è possibile una interpretazione evolutiva. Si veda in motivazione Sez. U, numero 5385 del 26/11/2009, D'Agostino, Rv. 245584 . i criteri propri della interpretazione logica cui, ai sensi dell'articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale, il giudice deve fare ricorso, con il solo limite rappresentato dalla lettera della norma nella sua massima capacità di espansione, per stabilire quale sia la reale intenzione del legislatore. Intenzione che, secondo un canone ermeneutico ormai generalmente recepito e costantemente adottato dalla giurisprudenza di questa Corte cfr., tra le molte, Sez. III 13/5/08 numero 36845 con riferimento al reato di cui all'articolo 674 c.p. va considerata non in senso soggettivo ma in senso oggettivo, come voluntas legis, sicché non è importante tanto stabilire soprattutto se, come nel caso di specie, l'origine della norma è lontana nel tempo quale fosse lo scopo perseguito da chi l'ha redatta, quanto piuttosto individuare quale è la funzione cui essa risponde nel contesto del sistema in cui è attualmente inserita e ciò al di là delle parole usate che, nella loro accezione più comune, possono non essere, per le più svariate ragioni, le più idonee a compiutamente rivelare la ratio della disposizione . 12. Ma l'approdo cui sono giunte le sezioni unite sembra tutt'altro che univoco la sentenza riportata si pone in sembra inconsapevole contrasto con una pronuncia di poco precedente, che invece assegnava carattere predominante al criterio teleologia di natura soggettiva, ritenendo che la volontà legislativa fosse quella desumibile dai lavori parlamentari v. in motivazione Sez. U, numero 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236537 . 13.Or bene, pur nell'impossibilità di trovare un punto fermo nella valutazione di prevalenza dei vari criteri interpretativi, si deve osservare che nessuna questione si pone allorché tutti e tre i predetti criteri letterale, teleologia soggettivo e teleologico oggettivo conducano al medesimo risultato. 14. Dice l'articolo 8 del d.lgs. 231/2001 che La responsabilità dell'ente sussiste anche quando a l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile . . Il senso letterale della norma è chiarissimo nell'evidenziare non tanto l'autonomia delle due fattispecie che anzi l'illecito amministrativo presuppone - e quindi dipende da - quello penale , quanto piuttosto l'autonomia delle due condanne sotto il profilo processuale. Per la responsabilità amministrativa, cioè, è necessario che venga compiuto un reato da parte del soggetto riconducibile all'ente, ma non è anche necessario che tale reato venga accertato con individuazione e condanna del responsabile. La responsabilità penale presupposta può essere ritenuta incidenter tantum ad esempio perché non si è potuto individuare il soggetto responsabile o perché questi è non imputabile e ciò non ostante può essere sanzionata in via amministrativa la società. 15.Anche l'intenzione soggettiva del legislatore che, in questo caso, emerge dalla relazione governativa, trattandosi di decreto legislativo è chiara in tal senso, affermando che il titolo di responsabilità dell'ente, anche se presuppone la commissione di un reato, è autonomo rispetto a quello penale, di natura personale. Dice la relazione ministeriale che non vi sarebbe ragione di escludere, in queste ipotesi, la responsabilità dell'ente. Quello della mancata identificazione della persona fisica che ha commesso il reato è, infatti, un fenomeno tipico nell'ambito della responsabilità d'impresa anzi, esso rientra proprio nel novero delle ipotesi in relazione alle quali più forte si avvertiva l'esigenza di sancire la responsabilità degli enti viene portato l'esempio ai casi di c.d. imputazione soggettivamente alternativa, in cui il reato perfetto in tutti i suoi elementi risulti senz'altro riconducibile ai vertici dell'ente e, dunque, a due o più amministratori, ma manchi o sia insufficiente la prova della responsabilità individuale di costoro . L'omessa disciplina di tali evenienze - prosegue la relazione - si sarebbe dunque tradotta in una grave lacuna legislativa, suscettibile di infirmare la ratio complessiva del provvedimento. Sicché, in tutte le ipotesi in cui, per la complessità dell'assetto organizzativo interno, non sia possibile ascrivere la responsabilità penale in capo ad uno determinato soggetto, e ciò nondimeno risulti accertata la commissione di un reato, l'ente ne dovrà rispondere - ricorrendone tutte le condizioni di legge - sul piano amministrativo. 16.Infine, anche la ratio oggettiva della norma - quale emerge sistematicamente dal complesso delle disposizioni sulla responsabilità amministrativa degli enti - persegue la finalità di sanzionare l'ente collettivo ogni volta che le persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o sulle quali queste esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo commettono dei reati nel suo interesse o a suo vantaggio. 17. Ora, chiarito il principio di diritto, il problema pratico che solleva la sentenza è che vi è una apparente contraddittorietà della motivazione censura non sollevata dal P.M. e dunque non esaminabile in via diretta che non consente a questo collegio di comprendere con certezza se vi è stato automatismo, come ritenuto dal P.M., nell'escludere la responsabilità dell'ente per il solo fatto che un dipendente non era stato ritenuto personalmente responsabile. 18. L'assoluta mancanza di motivazione sul punto, però, non può che interpretarsi come automatismo, perché in caso contrario il tribunale avrebbe dovuto spiegare perché aveva assolto la Citibank dall'illecito amministrativo cosa che non ha fatto . 19.D'altronde, la tesi della difesa, secondo cui il tribunale avrebbe escluso la sussistenza dell'illecito penale, confligge apertamente con un passo chiarissimo della motivazione, laddove si dice che è provato che il testo del comunicato incriminato fu previamente concordato tra il gruppo Parmalat e la Citibank. È vero che nel capoverso successivo si dice che nessuna condotta concorsuale è ravvisabile nell'incontro avvenuto a omissis , ma per dare un senso logico alla motivazione si deve ritenere che tale ultima affermazione concerna solamente la persona del presunto concorrente B. . Ed infatti alla fine dello stesso capoverso si evidenzia la condotta incensurabile tenuta in quel frangente dai funzionari , senza alcun riferimento a dirigenti o amministratori. 20. Tale interpretazione pare la più corretta anche se si torna al capoverso precedente, che riconduce la condotta di reato non alla riunione di omissis , ma ad un precedente scambio di mails fra le due società. 21. Ed allora, il fatto che nella predetta riunione non siano emersi comportamenti penalmente rilevanti, a titolo di concorso, non esclude affatto che la condotta di reato possa essersi realizzata con altre modalità ed in tempi diversi. 22. L'indagine sul dolo è questione di fatto che dovrà essere approfondita in sede di rinvio dal giudice di merito, non potendovi provvedere questa Corte in questa sede di legittimità. 23.Anche le altre questioni di merito sollevate dalla difesa della Citibank non possono essere risolte in questa sede, essendo invece proprie del giudizio di rinvio. Questa Corte, in sostanza, non deve decidere se la Citibank è responsabile ai sensi del d.lgs. 231/2001, ma ha l'unico compito di valutare la sussistenza o meno della violazione di legge lamentata e, in caso positivo, rimettere le parti davanti al giudice di merito che dovrà valutare autonomamente ed in piena libertà la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito. 24. Conclusivamente, ritiene questa corte che la violazione di legge sussista e sia configurabile nell'avere il tribunale ritenuto automaticamente esclusa la responsabilità amministrativa dell'ente in conseguenza dell'assoluzione del suo funzionario. Il giudice di rinvio potrà procedere ad una nuova assoluzione, corredata però di adeguata giustificazione ed eliminando le contraddizioni che affliggono il provvedimento impugnato, ovvero - considerato che l'illecito amministrativo dell'ente ha carattere autonomo e può quindi sussistere anche in mancanza di una concreta condanna del sottoposto o della figura apicale societaria come accade appunto nel caso di mancata individuazione del responsabile - procedere in concreto all'esame degli elementi costitutivi dell'illecito contestato alla Citibank e poi concludere di conseguenza, restando libero nelle proprie valutazioni di merito. 25. Ne consegue che il ricorso deve essere accolto, con il conseguente annullamento della sentenza impugnata ed il rinvio al giudice di appello cfr. Sez. 4, numero 38560 del 16/09/2008, Zanelli, Rv. 241061 per il giudizio di secondo grado. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Milano per il relativo giudizio.