Costituiscono infrazioni penalmente rilevanti esclusivamente le «indicazioni fallaci» da cui possano derivare situazioni di incertezza, indotte dalla carenza di indicazioni precise ed evidenti sull’origine o sulla provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto. Deve intendersi «fallace» ciò che può illudere o ingannare, mentre «falso» è ciò che risulta contrario al vero per contraffazione o alterazione dolosa.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 41684, depositata il 7 ottobre 2014. Il caso. Con sentenza, la Corte d’Appello, confermava la decisione di primo grado che aveva dichiarato la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’articolo 517 vendita di prodotti industriali con segni mendaci per aver omesso di indicare la fabbricazione cinese su una serie di prodotti per la pesca commercializzati dalla ditta da lui gestita. Avverso tale decisione il difensore dell’imputato proponeva ricorso in Cassazione. La commercializzazione di prodotti fabbricati all’estero. In tema di commercializzazione di prodotti fabbricati all’estero, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di evidenziare che, relativamente ai prodotti industriali, per «provenienza ed origine» della merce non deve intendersi la provenienza della stessa da un certo luogo di fabbricazione, totale o parziale, bensì la sua provenienza da un determinato imprenditore che si assume la responsabilità giuridica e si rende garante della qualità del prodotto nei confronti degli acquirenti Cass., Sez. III, numero 19746/10 Cass., Sez. III, numero 3352/05 . L’indicazione fallace. Il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci è astrattamente configurabile solo quando, oltre al proprio marchio e all’indicazione della località in cui ha sede, l’imprenditore apponga anche una dicitura con cui attesti espressamente che il prodotto è stato fabbricato in Italia o comunque in un Paese diverso da quello di effettiva fabbricazione. Costituiscono infrazioni penalmente rilevanti esclusivamente le condotte di «indicazioni fallaci» da cui possano derivare situazioni di incertezza indotte dalla carenza di “indicazioni precise ed evidenti sull’origine o sulla provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto” Cas., Sez. III, numero 19650/12 . «Fallace» è ciò che può illudere o ingannare, mentre «falso» è ciò che risulta contrario al vero per contraffazione o alterazione dolosa Cass., Sez. III, numero 13712/05 . Nel caso di specie, risulta che gli articoli per la pesca rinvenuti recavano l’indicazione completa della ditta che li commercializzava, ma nessuna falsa attestazione sul luogo di produzione in Italia con scritte del tipo Made si Italy, Fabbricato in Italia . Il caso rientra, pertanto, nell’ipotesi depenalizzata di cui all’articolo 4, comma 49 bis della l. numero 350/2003. Per questi motivi la Corte accoglie il ricorso e annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 giugno– 7 ottobre 2014, numero 41684 Presidente Fiale– Relatore Orilia Ritenuto in fatto La Corte d'Appello di Genova con sentenza 5.3.2013 ha confermato la decisione di primo grado che aveva dichiarato la penale responsabilità di R.F. in ordine al reato di cui all'articolo 517 cp così modificata l'originaria imputazione ex articolo 4 punto 49 legge numero 350/2003 e 517 cp per avere omesso di indicare la fabbricazione cinese su una serie di prodotti per la pesca commercializzati dalla ditta da lui gestita, in quanto il cartellino apposto sulla merce conteneva solo il nome Global Fishing Leader Pesca e il relativo indirizzo. Fatto accertato in OMISSIS . Secondo la Corte di merito, una tale condotta appariva idonea a indurre i compratori in errore sull'origine e provenienza dei prodotti e il dolo è ravvisabile nel fatto che l'imputato, quale imprenditore commerciale, non può ignorare la differenza tra prodotti riconducibili alla produzione nazionale e nonumero Il difensore propone ricorso per cassazione. Considerato in diritto Con l’unico motivo denunzia l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione evidenziando l'errore della Corte d'Appello sul concetto di “provenienza della merce che va rapportato, non già al luogo di fabbricazione, ma ad un determinato imprenditore che si assume la responsabilità giuridica, economica e tecnica della produzione rendendosi garante verso il pubblico degli acquirenti. Critica anche la ritenuta sussistenza del dolo, osservando che trattasi di dolo generico e che esso deve essere accertato di volta in volta nel caso di specie, il mancato utilizzo di dichiarazioni mendaci da parte dell'imputato dimostrava la mancanza di consapevolezza di trarre in inganno il consumatore. Il ricorso è fondato. Il tema della commercializzazione di prodotti fabbricati all'estero su cui siano apposti marchi di aziende italiane e dell'omessa indicazione del paese di fabbricazione non è nuovo. La giurisprudenza di questa Corte con la sentenza Sez. 3, numero 19746 del 09/02/2010 Cc. dep. 25/05/2010 Rv. 2474841 e con la più recente sentenza numero 19650 del 2012 non massimata ha avuto modo di evidenziare che, relativamente al prodotti industriali, per provenienza ed origine della merce non deve intendersi ad eccezione delle specifiche ipotesi espressamente previste dalla legge la provenienza della stessa da un certo luogo di fabbricazione, totale o parziale, bensì la sua provenienza da un determinato imprenditore che si assume la responsabilità giuridica, economica e tecnica della produzione e si rende garante della qualità del prodotto nei confronti degli acquirenti vedi Cass., Sez. 3^ 21.10.2004, numero 3352/05, Scarpa, 17.2.2005, numero 13712, Acanfbra 19.4.2005, numero 34103, Tarantino 2.3.2006, numero 24043, Dewar 24.1.2007, numero 8684, Emili 15.3.2007, numero 27250, Contarmi 28.9.2007, numero 166/08, Parentini. Lo strumento che rassicura il mercato sulla qualità del prodotto è il marchio, registrato o no, che si configura come segno distintivo del prodotto medesimo, nella forma di un emblema o di una denominazione. La triplice tradizionale funzione del marchio indicare la provenienza imprenditoriale, assicurare la qualità del prodotto e agire come suggestione pubblicitaria non è modificata neppure nella realtà economica contemporanea, nella quale numerosi imprenditori si avvalgono legittimamente di Imprese situate in altri Paesi per fabbricare i propri prodotti contrassegnati da un proprio marchio distintivo Sez. 3^, 17.2.2005, numero 13712, Acanfora . In particolare, è stato più volte affermato che quando il marchio corrisponda effettivamente alla ditta che si assume la responsabilità e la garanzia della qualità della merce, è poi irrilevante che la ditta italiana sia stata solo importatrice o abbia anche partecipato alla produzione della merce, dal momento che essa si è comunque resa garante della qualità della merce stessa nei confronti degli eventuali acquirenti Sez. 3^ 21.10.2004, numero 3352/05, Scarpa 17.2.2005, numero 13712, Acanfora 19.4.2005, numero 34103, Tarantino 2.3.2006, numero 23043, Dewar 15.3.2007, numero 2725Or Contarmi 28.9.2007, numero 166/08, Parentini . È stato pure specificato che è astrattamente configurabile una fattispecie di reato solo quando, oltre ai proprio marchio o alla indicazione della località in cui ha la sede, l'imprenditore apponga anche una dicitura con cui attesti espressamente che il prodotto è stato fabbricato in Italia o comunque in un Paese diverso da quello di effettiva fabbricazione. In questi casi, invero, la falsa apposizione delle diciture Made in Italy” o prodotto in Italia sarà punita ai sensi della L. numero 350 del 2003, articolo 4, comma 49, mentre la falsa attestazione che il prodotto è stato fabbricato in un altro Paese sarà comunque punita ai sensi dell'articolo 517 c.p Trattasi di Ipotesi nelle quali non ha più rilievo la provenienza da un dato imprenditore che assicura la qualità del prodotto, ma il fatto che la falsa specifica attestazione che il prodotto è stato fabbricato in un determinato Paese è comunque idonea ad ingannare il consumatore e ad incidere sulle sue scelte egli potrebbe indursi, per I più diversi motivi, ad acquistare o non acquistare un prodotto proprio perché fabbricato o non fabbricato in un determinato luogo . Il D.L. 25 settembre 2009, numero 135, articolo 16, comma 6, convertito con la L 20 novembre 2009, numero 166, ha inserito nella L. numero 350 del 2003, articolo 4, il comma 49 bis, il quale prevede che costituisce fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa Europea sull'origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine dei prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera dei prodotto. li contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 10.000 ad Euro 250.000”. Ritiene il Collegio - condividendo la citata giurisprudenza cfr. Sez. 3 numero 19650/2012 cit. - che, secondo l'interpretazione corretta di tale comma questo comma attualmente costituiscono infrazioni penalmente irrilevanti ma integranti solo un illecito amministrativo esclusivamente le condotte di indicazioni fallaci” da cui possano derivare situazioni di incertezza indotte dalla carenza di indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine dei prodotto . Continuano, invece, a costituire delitto le ipotesi di uso del marchio e della denominazione di provenienza o di origine con false indicazioni idonee da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana. Fallace , invero, è ciò che può illudere o ingannare mentre falso è ciò che risulta contrario al vero per contraffazione o alterazione dolosa vedi sul punto Cass., Sez. 3A, 17.2.2005, numero 13712, Acanfora . Devono essere come sopra precisate, pertanto, le argomentazioni svolte da questa Sezione nella sentenza numero 19746/2010. Nella vicenda in esame, risulta che, le canne e gli altri articoli per la pesca rinvenuti recavano l'indicazione completa della ditta che li commercializzava nome e indirizzo completo sia anagrafico che di posta elettronica, oltre ai recapiti telefonici , ma nessuna falsa attestazione sul luogo di produzione in Italia con scritte del tipo Made in Italy, Fabbricato in Italia, Prodotto in Italia . La condotta, consistente, nell'omessa indicazione del paese di fabbricazione Cina, nel caso di specie evidenzia pertanto un caso di Indicazione fallace da cui possano derivare situazioni di incertezza indotte appunto dalla carenza di indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine dei prodotto . Il caso rientra pertanto nell’ipotesi - depenalizzata - di cui al citato articolo 4, comma 49 bis della L numero 350 del 2003 e in tal senso va riqualificato il fatto, rientrando tale attività nei poteri di cognizione ufficiosa della Corte tra le varie, Sez. 2, Sentenza numero 3211 del 20/12/2013 Ud. dep. 23/01/2014 Rv. 258538 . Consegue l'annullamento senza rinvio. P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.