La retroattività delle pronunce di illegittimità costituzionale riguarda l’antigiuridicità delle norme investite, non più applicabili neanche ai rapporti pregressi non ancora esauriti, ma non consente di configurare retroattivamente e fittiziamente una colpa del soggetto che, prima della declaratoria di incostituzionalità, abbia conformato il proprio comportamento alle norme solo successivamente invalidate dalla Corte Costituzionale.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 20100, depositata il 7 ottobre 2015. Il caso. Il Tribunale di Roma condannava il Ministero della Pubblica Istruzione a ricostruire, ad ogni effetto di legge e di contratto, la carriera di una sua lavoratrice, in ragione della revoca ante tempus dell’incarico dirigenziale a termine – a lei affidato nel febbraio 2001 - in base all’articolo 3, comma 7, l. numero 145/2002 a mente del quale gli incarichi dirigenziali di livello generale «cessano il sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della presente legge [ ]» , norma in parte qua poi dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza numero 103/2007 . La condanna del primo giudice, in particolare, riguardava il periodo compreso tra l’ottobre 2003 data in cui l’incarico dirigenziale era stato revocato ed il febbraio 2006 i.e. data contrattualmente prevista di scadenza dello stesso incarico . La pronuncia di primo grado veniva tuttavia riformata dalla corte di appello, la quale rigettava tutte le domande avanzate dalla ricorrente. Contro quest’ultima pronuncia la lavoratrice ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. Un evento sopravvenuto non può rendere sanzionabile una condotta in precedenza lecita. In particolare, ad avviso della ricorrente, i giudici di secondo grado avevano errato nell’escludere ogni responsabilità contrattuale del Ministero per l’anticipata revoca dell’incarico, ancorché effettuata sulla base di una norma di legge che infatti era poi dichiarata incostituzionale. Ciò, a maggior ragione, poiché la dichiarazione di incostituzionalità era avvenuta dopo la scadenza prevista per il febbraio 2006 dell’originario termine dell’incarico, circostanza che privava di alcun rilievo il tema della retroattività o meno della pronuncia del Giudice delle leggi. Motivo che non viene condiviso dalla Cassazione, la quale, affermando il principio esposto in massima, rigetta il ricorso. Il principio espresso dalla Cassazione ha infatti origini assai remote cfr. Cass. numero 2697/1972 e muove dal presupposto che, se pure può riconoscersi efficacia retroattiva alla c.d. «antigiuridicità» di una norma derivante dalla declaratoria di sua incostituzionalità, «non può ammettersi che si configuri retroattivamente la colpa intesa quale atteggiamento psichico del soggetto, che non può ravvisarsi, neppure sotto forma di una sorta di fictio iuris , riguardo ad un comportamento imposto da una norma cogente, anche se incostituzionale, fino a che essa sia in vigore». Determinante è la colpa dell’agente. Successivamente, ancora le Sezioni Unite con la sentenza numero 8478/1993 hanno ribadito che la retroattività delle pronunce di incostituzionalità è limitata «all’antigiuridicità delle norme che ne siano investite» le quali, ai sensi dell’articolo 136 Cost., non sono più applicabili – nemmeno alle fattispecie pregresse ma non ancora esaurite - dal giorno successivo alla pubblicazione della pronuncia della Corte Costituzionale. Secondo il condivisibile avviso della Cassazione, la tesi della ricorrente risulta ancor meno condivisibile se si considera l’assenza di colpa del soggetto agente il quale, al momento di commissione dell’illecito, altro non faceva se non ottemperare al disposto di una norma imperativa di legge. Ed è proprio tale assenza di dolo o colpa ad impedire – salve le eccezionali ipotesi in cui l’elemento soggettivo non è elemento essenziale della fattispecie generatrice di responsabilità civile - che il comportamento realizzato possa essere qualificato quale illecito. L’incarico cessava prima della dichiarazione di incostituzionalità, dunque bene ha fatto il Ministero. In conclusione, ritiene la Corte, in caso di «illegittima risoluzione anticipata di un incarico dirigenziale sulla base di una norma poi dichiarata costituzionalmente illegittima, al dirigente spetta il risarcimento del danno derivato dall’anticipata risoluzione del rapporto, ma tale danno, considerato che la colpa dell’agente è elemento essenziale dell’illecito, è risarcibile solo dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale – e non dalla data di cessazione del rapporto – ove l’amministrazione non si conformi alla sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale». Nel caso di specie, la dichiarazione di incostituzionalità era avvenuta quando ormai risultava già decorso anche il termine finale dell’incarico il quale, dunque, non poteva rivivere.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 15 luglio – 7 ottobre 2015, numero 20100 Presidente Venuti – Relatore Manna Svolgimento del processo Con sentenza numero 1194/08 il Tribunale di Roma condannava il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca a ricostruire la carriera agli effetti giuridici, economici e previdenziali, dall'8.10.03 al 23.2.06, in favore della dott.ssa S.R., il cui incarico dirigenziale a termine - conferitole con contratto del 23.2.01 - era stato revocato ante tempus in base all'articolo 3 co. 7° legge numero 145102, norma poi dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte cost., con sentenza numero 103107, nella parte in cui dispone che gli incarichi dirigenziali di livello generale cessino il sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Con sentenza depositata il 24.7.13 la Corte d'appello di Roma, in riforma della pronuncia di prime cure, rigettava ogni domanda della dott.ssa R., che oggi ricorre per la cassazione della sentenza affidandosi a due motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex articolo 378 c.p.c. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e la Presidenza del Consiglio dei Ministri - anche nei confronti della quale si sono celebrati i gradi di merito - resistono con unico controricorso. Motivi della decisione 1- II primo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli articolo 1218, 1256 e 2103 c.c. in relazione all'articolo 3 co. 7° legge numero 145102, degli articolo 3 e 36 Cost. e dell'articolo 13 del contratto del personale dirigente dell'area 1, perché, in spregio delle sentenze numero 103107 e numero 223112 della Corte cost., la sentenza impugnata ha escluso ogni responsabilità contrattuale della pubblica amministrazione e con esso ogni diritto al risarcimento dei danni patiti dalla ricorrente per effetto dell'articolo 3 co. 7° legge numero 145102, che in applicazione del cd. spoil system una tantum prevedeva una decadenza automatica dall'incarico senza possibilità di controllo giurisdizionale la norma è stata poi dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte cost., con sentenza numero 103107, nella parte in cui dispone che gli incarichi dirigenziali di livello generale cessino il sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Tale dichiarazione di illegittimità costituzionale ha avuto luogo dopo la scadenza che era stata prevista per il 26.2.06 del termine dell'incarico della dott.ssa R., sicché - conclude sul punto il ricorso - il problema della retroattività della declaratoria di illegittimità costituzionale non si attaglia al caso di specie. Analoghe doglianze vengono in sostanza fatte valere con il secondo motivo di ricorso, sotto forma di violazione e falsa applicazione degli arti. 1218 c.c., 19 d.lgs. numero 165101 e 3 co. 7° legge numero 145102, per avere i giudici di merito esentato da ogni responsabilità l'amministrazione sol perché la revoca dell'incarico era stata disposta in base ad una norma che, all'epoca, non era stata ancora dichiarata costituzionalmente illegittima si obietta a riguardo in ricorso che il contenuto bilaterale e negoziale delle posizioni delle parti del contratto avrebbe imposto di valutare le pretese della ricorrente anche e soprattutto sotto il profilo della mora credendi, come rettamente aveva statuito il giudice di prime cure. 2- I due motivi di ricorso - da esaminarsi congiuntamente perché connessi - sono infondati, dovendosi dare continuità all'insegnamento di questa S.C. da ultimo espresso con sentenza. numero 355/13 secondo cui la retroattività delle pronunce di illegittimità costituzionale riguarda l'antigiuridicità delle norme investite, non più applicabili, neanche ai rapporti pregressi non ancora esauriti, ma non consente di configurare retroattivamente e fittiziamente una colpa del soggetto che, prima della declaratoria di incostituzionalità, abbia conformato il proprio comportamento alle norme solo successivamente invalidate dalla Corte cost. Si tratta di un indirizzo giurisprudenziale che ha origini remote, atteso che già con sentenza numero 2697172 le S.U. di questa Corte avevano affermato il principio secondo cui, nel campo dell'illecito inteso in senso lato, la retroazione della pronuncia d'incostituzionalità è limitata. Infatti, se può riconoscersi efficacia retroattiva alla cosiddetta antigiuridicità, non può ammettersi che si configuri retroattivamente la colpa intesa quale atteggiamento psichico del soggetto, che non può ravvisarsi, neppure sotto forma di una sorta di fictio iuris, riguardo ad un comportamento imposto da una norma cogente, anche se incostituzionale, fino a che essa sia in vigore. Si tratta di principio costantemente affermato da questa Corte. Le Sezioni Unite v. sentenza numero 8478/93 hanno poi ribadito che la c.d. retroattività delle pronunce di incostituzionalità è limitata all'antigiuridicità delle norme che ne siano investite. Queste, infatti, ex articolo 136 Cost. non sono più applicabili a far tempo dal giorno successivo alla pubblicazione delle pronunce della Corte non solo ai rapporti giuridici futuri, ma neanche ai rapporti pregressi, che non siano ancora esauriti. Proprio il difetto di colpa esclude che comportamenti conformi a norme solo successivamente dichiarate costituzionalmente illegittime possano dare luogo a qualsivoglia illecito contrattuale od extracontrattuale o a inadempimento legittimante la risoluzione del contratto, salvo che la colpa dell'agente - ma si tratta di ipotesi eccezionali - sia elemento non essenziale della fattispecie generatrice di responsabilità civile. In tale quadro si è, quindi, sviluppata la giurisprudenza successiva, così più volte statuendosi che l'efficacia retroattiva delle sentenze dichiarative dell'illegittimità costituzionale di una norma, se comporta che tali pronunce abbiano effetto anche in ordine ai rapporti svoltisi precedentemente eccettuati quelli definiti con sentenza passata in giudicato e le situazioni comunque definitivamente esaurite , non vale però a far ritenere illecito il comportamento realizzato, anteriormente alla sentenza di incostituzionalità, conformemente alla norma successivamente dichiarata illegittima, non potendo detto comportamento ritenersi caratterizzato da dolo o colpa v. Cass. numero 6744196 Cass. numero 941199 Cass. numero 1138199 Cass. numero 3702199 Cass. numero 748712000 Cass. numero 15879102 Cass. numero 8432/04 Cass. numero 13731/04 Cass. numero 23565107 . E non vi è dolo o colpa da parte d'una pubblica amministrazione che, ai sensi degli articolo 97 e 136 Cost., era comunque tenuta a conformarsi alla norma di legge fino alla pronuncia di sua incostituzionalità. Si tratta di indirizzo condivisibile ed applicabile anche al caso di specie, in cui certamente non è ravvisabile un'ipotesi pur sempre eccezionale di responsabilità che prescinda dalla colpa. Pertanto, in caso di illegittima risoluzione anticipata d'un incarico dirigenziale in base a norma poi dichiarata costituzionalmente illegittima, al dirigente spetta il risarcimento del danno derivato dall'anticipata risoluzione del rapporto, ma tale danno, considerato che la colpa dell'agente è elemento essenziale dell'illecito, è risarcibile solo dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale - e non dalla data di cessazione del rapporto - ove l'amministrazione non si conformi alla sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale. Ma nel caso in esame, come ammesso dalla stessa ricorrente, la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'articolo 3 co. 7° legge numero 145102 è intervenuta quando ormai era decorso anche il termine finale dell'incarico originariamente previsto per la data del 26.2.06, incarico che - dunque - non poteva rivivere. In breve, se il termine finale dell'incarico era ormai decorso alla data di dichiarazione di illegittimità costituzionale, in nessun caso l'amministrazione avrebbe potuto incorrere in colpa nel non ripristinarlo perché - appunto - orami già scaduto ed essendo il posto già da altri coperto. E l'assenza di colpa o comunque di causa imputabile all'amministrazione preclude, ex articolo 1218 c.c., la configurabilità di quel danno risarcibile su cui erroneamente insiste anche in memoria l'odierna ricorrente. Da ultimo, è appena il caso di notare che non è conferente il richiamo - che pur si legge in ricorso - all'articolo 2103 c.c., non avendo la lite ad oggetto un'ipotetica dequalificazione il ricorso non allega neppure quali siano state, in concreto, le funzioni affidate alla ricorrente dopo la revoca dell'incarico a seguito del cit. articolo 3 co. 7° legge numero 145102 . 3- In conclusione il ricorso è da rigettarsi. Le spese del giudizio di legittimità si compensano per intero fra le parti, considerata la natura della vicenda che ha portato la ricorrente a subire una pur sempre ingiusta da un punto di vista della legalità costituzionale revoca dell'incarico. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell'ars. 13 co. 1 quater dP.RR numero 11512002, come modificato dall'articolo 1 co. 17 legge 24.12.2012 numero 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dei co. 1 bis dello stesso articolo 13.