L’avvocatura italiana e la coesione sociale

È a tutti noto che nell’Avvocatura italiana ci sono circa 100mila colleghi in difficoltà per via della crisi economica di questi ultimi anni e del mutamento genetico dell’Avvocatura stessa.

Riprova ne sia che i crediti per contributi non versati, vantati da Cassa Forense verso gli iscritti, sono in costante aumento. C’è quindi un disagio sociale che deve essere affrontato. Per farlo ci sono due modalità o si può usare la leva previdenziale per incentivare l’esodo, oppure si possono trovare delle soluzioni inclusive. Il passaggio d’epoca che ci attraversa è uno stimolo per un serio ripensamento delle politiche forensi che permettano a un numero sempre maggiore di avvocati di stare bene e di stare meglio. Le persone stanno bene quando sono nelle condizioni di poter compiere delle scelte, quando possono esercitare la propria libertà sostanziale, quando possono realizzare ciò a cui danno valore, quando possono esprimere le proprie potenzialità, quando si sentono incluse nella società, quando hanno fiducia nelle istituzioni, quando si sentono supportate in momenti di difficoltà, quando possono esprimersi con generosità Coniugare coesione sociale, welfare e sviluppo economico in una prospettiva locale ed europea, Regione Piemonte, settembre 2016 . Il sistema di previdenza forense si è sviluppato in un contesto storico e socio economico che oggi non esiste più. Come ho già scritto più volte, i due vestiti messi a disposizione dal sistema previdenziale forense non sono più in grado di rispondere alla specificità di esigenze diverse. I radicali mutamenti socio economici in corso invecchiamento demografico, nuovi modelli di famiglia, flessibilità del lavoro, crescita delle disuguaglianze, migrazioni, debito pubblico, debito previdenziale ecc caratterizzano l’odierno sistema di welfare per la sua insostenibilità, in particolare sotto l’aspetto economico finanziario, e per la sua inadeguatezza che significa l’incapacità di dare risposte efficaci alle nuove tensioni sociali e per il ricorso, oggi ancora più evidente, a un approccio di tipo assistenzialistico, il cd. welfare attivo, tanto sbandierato dai vertici di Cassa Forense. Inadeguatezza e insostenibilità sono due cose tra loro connesse in un perverso circolo vizioso, perché considerare gli avvocati in difficoltà semplici consumatori passivi di servizi significa creare dipendenza anziché benessere e alimenta un insostenibile rincorsa tra bisogni e costi sempre crescenti. Credo sia evidente a tutti come le politiche del cd. welfare attivo servano solo a distogliere l’attenzione dai reali problemi che attanagliano l’Avvocatura italiana. È necessario quindi muoversi in una nuova ottica che ponga al centro l’avvocato e la sua rete di relazioni anziché le tipologie di servizi di cui necessita, sposando una logica di inclusione e coesione sociale. Questo obiettivo può essere raggiunto abolendo la contribuzione minima obbligatoria, rendendo la contribuzione previdenziale progressiva e proporzionale al reddito e volume d’affari conseguito e con l’inserimento, accanto alla pensione minima, anche dell’assegno sociale forense. In buona sostanza, di fronte ad un andamento demografico dell’Avvocatura italiana che si è sviluppato, colpevolmente, con una progressione di tipo geometrico, si tratta di decidere se tutti gli avvocati in difficoltà economica vanno espulsi dal sistema o se, piuttosto, non si debba modificare il sistema per renderlo inclusivo. L’unica cosa da non fare è traccheggiare, in attesa non si sa bene di che cosa.