Bluff sui procedimenti penali: l’autocertificazione vale una condanna

Confermati gli 8 mesi di reclusione per la titolare di un bar. Ha presentato richiesta di licenza per apparecchi da gioco per il suo locale, attestando di non essere sottoposta a procedimenti penali. Impossibile secondo i giudici sostenere la tesi della inconsapevolezza.

Procedimenti penali? Nessuno!”. Dura poco, però, il bluff della titolare di un bar. Logica la sua condanna per la bugia con cui ha accompagnato la richiesta di licenza per l’installazione di apparecchi e congegni da gioco. Impossibile, secondo i Giudici, parlare di errore scusabile perché dovuto a scarsa conoscenza Cassazione, sentenza n. 47391/2017, Sezione Quinta Penale, depositata il 16 ottobre 2017 . Bugia. Passaggio decisivo in Corte d’Appello, dove, andando in direzione opposta rispetto al giudizio emesso in Tribunale, la donna viene condannata a 8 mesi di reclusione per falsità ideologica commessa da un privato in un atto pubblico . Nello specifico, la donna, in qualità di titolare di un bar, ha presentato richiesta di licenza per l’installazione di apparecchi e congegni da gioco , accompagnandola con una autocertificazione in cui ha attestato di non essere sottoposta a procedimenti penale e ha omesso di dichiarare la convivenza con il marito, condannato per reati di criminalità organizzata ed in stato di detenzione domiciliare . Ciò che conta, però, per i Giudici, anche in Cassazione, è il riferimento ai procedimenti penali. Su questo fronte viene ritenuta evidente la consapevolezza della bugia messa per iscritto, soprattutto perché appare inverosimile una pretesa inconsapevolezza dei precedenti penali, e ciò , osservano i magistrati, in considerazione delle garanzie di legge incentrate sull’informativa dell’imputato . Irrilevante, invece, è ritenuto il riferimento alle date delle udienze dibattimentali, successive rispetto alla dichiarazione incriminata. Tutto ciò conduce alla conferma della condanna decisa in Appello. Per i Giudici del ‘Palazzaccio’ non vi sono dubbi sul fatto che integra il delitto di falsità ideologica la condotta di colui che in una dichiarazione sostitutiva di atto notorio attesta falsamente di non aver mai riportato condanne penali, dovendosi equiparare tale dichiarazione del privato ad un atto pubblico destinato a provare la verità dello specifico contenuto della dichiarazione .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 settembre – 16 ottobre 2017, n. 47391 Presidente Bruno – Relatore Mazzitelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza, emessa in data 27 ottobre 2016, la Corte d’Appello di Catania, in riforma della sentenza emessa in data 14 giugno 2013 dal Tribunale di Catania, a seguito di appello proposto dal Procuratore Generale, dichiarava A.G. colpevole del reato ascrittole, previsto dall’art. 483 cod. pen., per aver, in seno alla richiesta di licenza per l’installazione di apparecchi e congegni da gioco, all’interno del bar omissis , attestato falsamente di non essere sottoposta a procedimenti penali, omettendo di dichiarare la convivenza con il marito Z.M. , condannato per reati di criminalità organizzata ed in stato di detenzione domiciliare. 2. Segnatamente, la Corte, dato atto della ricorrenza di precedenti penali a carico dell’imputata, per violazioni edilizie risalenti al 2005 ed al 2008, riteneva che ricorressero i presupposti per assumere che nel 2009 l’A. avesse attestato il falso, nel dichiarare la mancanza di procedimenti pendenti a suo carico. Secondo i giudici del secondo grado di giudizio, era altresì comprovata, sulla scorta delle dichiarazioni testimoniali rese da P.G. , agente di Polizia di Stato, la convivenza dell’A. con lo Z. , accertata, altresì, dai Carabinieri. Ritenuta, pertanto, la responsabilità dell’imputata, la Corte infliggeva la pena di otto mesi di reclusione, concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena. 3. A.G. , tramite difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza, lamentando 3.1 la carenza e manifesta illogicità della motivazione, oltre a violazione di legge, in ordine all’affermazione di responsabilità, avendo i giudici omesso di rinnovare l’istruttoria, mediante l’acquisizione della documentazione, relativa ai procedimenti subiti dall’esponente, ed avendo i medesimi del tutto obliterato di motivare la decisione assunta, con riferimento al profilo soggettivo, da escludersi, in caso di leggerezza e negligenza, in capo all’autore. Nel caso di specie, dalle risultanze di causa, emergerebbe la totale buona fede della deducente, avuto riguardo alla struttura del modulo, da compilare, con parti non sempre comprensibili, oltre alle condizioni di scarsa scolarità e cultura dell’A. . Esattamente, il primo giudice aveva affermato in sentenza che non era stata acquisita la prova della conoscenza dei procedimenti pendenti, prova non desumibile in via presuntiva dalla comunicazione delle facoltà, relative allo stato di imputata, tenuto conto, altresì, della data delle udienze dibattimentali, successive all’epoca di redazione della dichiarazione in contestazione. Altrettanto inidonea sarebbe la prova della convivenza con lo Z.M. , posto che, secondo il primo giudice, non era stata raggiunta la prova del fatto che i numeri civici 33 e 27 della via OMISSIS corrispondano o meno ad un’unica abitazione ovvero a due diverse abitazioni. Sempre, secondo il primo giudice, non vi era la prova della convivenza, tra l’A. e lo Z. , alla data del 3/11/2009 ed in ogni caso l’omissione in questione non inficiava il valore giuridico della dichiarazione, in considerazione del particolare status dello Z. , già condannato in via definitiva, con perdita dei diritti e delle potestà, ex art. 29 cod. pen., il che poteva far presumere che non facesse più parte del nucleo familiare. Le motivazioni della Corte avrebbero dovuto essere provviste di un’efficacia argomentativa superiore, a fronte della pronuncia assolutoria precedente, mentre erano apodittiche e frutto di un travisamento della prova. Sarebbe, pertanto, evidente, oltre ad un vizio argomentativo, un’erronea interpretazione dell’art. 483, cod. pen., costituente in effetti una norma di rinvio, stante il richiamo alle previsioni del codice penale e delle leggi speciali, da intendersi, non già limitato al semplice trattamento sanzionatorio, bensì all’adattamento della fattispecie ad una delle ipotesi previste dalla disciplina codicistica. Sarebbero, quindi, necessari gli elementi obiettivi, costituiti dalla dichiarazione di un privato, ad un pubblico ufficiale, in un atto pubblico, destinato a provare la verità del fatto attestato. Ad avviso della difesa di parte ricorrente, non costituirebbe un atto pubblico una dichiarazione sostitutiva di atto notorio o di certificazione né sarebbe sufficiente, in tal senso, la dichiarazione resa al pubblico ufficiale, mero destinatario della stessa, secondo la normativa vigente in materia di dichiarazioni sostitutive di certificazioni e di atti di notorietà. Ed ancora, non rileverebbe neppure la destinazione della dichiarazione ad essere trasfusa in un atto pubblico, essendo del tutto irrilevanti la destinazione, lo scopo e gli effetti dell’attestazione. Non sarebbe, quindi, integrato il reato contestato di cui all’art. 483, cod. pen 3.2 manifesta illogicità e/o carenza di motivazione e violazione di legge, in ordine al trattamento sanzionatorio, avendo la Corte adottato mere formule di stile, in relazione all’affermazione della gravità del fatto, all’elemento psicologico della fattispecie ed ai precedenti penali dell’imputata, asserzioni disancorate dalla portata effettiva dei fatti e dalla personalità della prevenuta né sarebbe giustificata, altresì, la mancata concessione delle richieste attenuanti generiche, non sorretta neppure da una minima motivazione, con conseguente impossibilità di critica. Considerato in diritto 1. Il ricorso è palesemente infondato. È sufficiente osservare, quanto ai profili relativi alla consapevolezza del mendacio, che appare del tutto inverosimile una pretesa inconsapevolezza della sussistenza dei precedenti penali. E ciò, in considerazione delle garanzie di legge, incentrate sull’informativa dell’imputato, a nulla rilevando le date, successive rispetto alla data della dichiarazione di cui trattasi, delle udienze dibattimentali. Relativamente poi alla convivenza con lo Z. , basti richiamare gli accertamenti, compiuti dalle forze di ordine pubblico, confermati dalla deposizione, resa dal teste P. . 2. Secondo la giurisprudenza di legittimità Cass. Sez 5 del 6/06/2014 e del 16/04/2009 RV 261278 e 243897 integra il delitto, di cui all’art. 483, cod. pen., la condotta di colui che in una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, attesta falsamente di non aver mai riportato condanne penali, dovendosi equiparare tale dichiarazione del privato ad un atto pubblico destinato a provare la verità dello specifico contenuto della dichiarazione. 3. Da ultimo, va evidenziata la genericità delle censure mosse da parte ricorrente, in relazione al trattamento sanzionatorio, in considerazione delle motivazioni, svolte dal giudice del merito, incentrate sulla gravità del fatto, desumibile dalla falsità stessa dell’attestazione, circa la mancanza di precedenti penali, e dall’intensità dell’elemento psicologico. 4. Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, con contestuale condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed ad una somma, che si reputa equo stimare in Euro 2.000,00, a favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.