L’atto di tacere, in modo preordinato, delle proprie condizioni economiche ai fini della capacità di assolvimento di un’obbligazione, viola il principio di buona fede contrattuale ed integra la dissimulazione della propria condizione di insolvenza come elemento costitutivo della fattispecie prevista dall’articolo 641 c.p. insolvenza fraudolenta .
E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 30022, depositata il 9 luglio 2014. Il caso. Un uomo veniva condannato dalla Corte d’appello di Trieste per il reato di insolvenza fraudolenta, reato previsto dall’articolo 641 c.p., in quanto contratto un’obbligazione con il proposito di non adempierla, dissimulando il proprio stato di insolvenza. L’imputato ricorreva in Cassazione, lamentando che mancasse la prova di qualsiasi atto con cui l’imputato avesse dissimulato la propria condizione di insolvenza. Omissione significa dissimulazione. Per la Corte di Cassazione, però, si tratta di una critica errata. Infatti, la condotta dissimulativa della propria condizione di insolvenza, ai sensi dell’articolo 641 c.p., è integrata da chi, scientemente, e consapevole della propria condizione economica, eviti di riferire la situazione alla persona con cui contrae l’obbligazione. Perciò, anche il semplice silenzio è idoneo ad integrare la condotta dissimulatoria, essendo sufficiente a contrastare i principi di correttezza e buona fede alla base del comportamento di una persona nella stipulazione di un negozio giuridico. Buona fede contrattuale minacciata. Quindi, l’atto di tacere, in modo preordinato, delle proprie condizioni economiche ai fini della capacità di assolvimento di un’obbligazione, viola il principio di buona fede contrattuale ed integra la dissimulazione della propria condizione di insolvenza come elemento costitutivo della fattispecie prevista dall’articolo 641 c.p Essendo la valutazione dell’impatto del silenzio sull’evento un giudizio riservato ai giudici di merito, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 15 aprile – 9 luglio 2014, numero 30022 Presidente Carmenini – Relatore De Crescienzo Motivi della decisione C.T. , tramite il difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza 19.3.2013 con la quale la Corte d'Appello di Trieste, lo ha condannato alla pena di mesi tre di reclusione per il reato di cui all'articolo 641 cp, per avere dissimulando il proprio stato di insolvenza contratto un'obbligazione con il proposito di non adempierla, in particolare per avere consegnato a R.G. , titolare dell'autofficina RG MOTORS con sede in Tolmezzo, per il pagamento di prestazioni fornite dalla predetta officina, un assegno bancario privo della relativa copertura monetaria ab nr. omissis Banco di Roma del 4.8.2006 Fatto commesso in omissis . La difesa dell'imputato chiede l'annullamento della decisione impugnata deducendo la violazione di legge e il vizio di motivazione, perché mancherebbe da un lato la prova del dolo, non essendo sufficiente la circostanza della semplice disamina dell'estratto di conto corrente la difesa pone in evidenza che manca anche la prova di qualsiasi atto con il quale lo imputato abbia dissimulato la propria condizione di insolvenza. Ritenuto in diritto Il ricorso è manifestamente infondato. Con riferimento alla mancanza di prova sufficiente idonea a dimostrare l'esistenza dell'elemento del dolo quale previsione e consapevolezza del C. di non adempiere l’obbligazione di pagare l'autofficina ove aveva portato il proprio veicolo va osservato che la Corte d'Appello ha fondato il proprio diverso giudizio sulla circostanza, provata, che da più di un mese il conto corrente dell'imputato non solo era privo di fondi, ma presentava un saldo netto negativo. Nella specie la Corte d'Appello ha fondato la propria valutazione su uno specifico elemento di fatto esattamente individuato e descritto. La valutazione della Corte d'Appello non appare manifestamente illogica e non si pone in contraddizione con nessun altro elemento emergente dalla decisione. Conseguentemente si deve rilevare che la doglianza mossa dalla difesa non attiene ad aspetti censurabili in sede di legittimità, ma ad aspetti di merito quale la valutazione di un elemento di prova, profilo quest'ultimo che non è suscettibile di sindacato in questa sede se non negli stretti limiti dettati dall'articolo 606 1 comma lett. e cpp, dal cui ambito sfugge la censura mossa. Con riferimento al secondo motivo di ricorso inerente alla insussistenza della dimostrazione di un qualsivoglia atto di dissimulazione da parte del C. del proprio stato di insolenza, va osservato che la critica è manifestamente infondata alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità la condotta dissimulativa della propria condizione di insolvenza, ex articolo 641 cp, è integrata da chi, scientemente, consapevole della propria condizione economica, nulla riferisca alla persona con la quale contrae un'obbligazione. Per cui anche il semplice silenzio può integrare la condotta dissimulatoria, perché in pieno contrasto con i principi cardine di correttezza e buona fede, cui deve essere improntato il comportamento del privato nella stipulazione di qualsiasi negozio giuridico. L'atto di tacere in modo preordinato delle proprie condizioni economiche ai fini della capacità di assolvimento di un'obbligazione, costituisce violazione del principio di buona fede contrattuale e vale ad integrare la dissimulazione cioè il nascondimento della propria condizione di insolvenza [Cass. sez. II 22.5.2009 numero 3980 in Ced Cass. Rv 245237 Cass. sez. n 11.7.2006 numero 34192 in Ced Cass. Rv 234774] quale elemento costitutivo del delitto di cui all'articolo 641 cp. L'apprezzamento della qualità o della finalità del silenzio è demandato al solo ed esclusivo giudizio di merito nel quale può tenersi conto di qualsiasi elemento di fatto circostanziale volto a conferire significato alla condotta silenziosa. Per le suddette ragioni il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile. Il Ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende, così equitativamente determinata la sanzione amministrativa prevista dal'articolo 616 cp, da comminarsi alla luce del comportamento processuale del ricorrente che versa in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro.1000,00 alla Cassa delle ammende.