La persona offesa si rende volontariamente irreperibile? Dichiarazioni inutilizzabili

In tema di reato di violenza sessuale, ove la persona offesa renda dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, relative al momento della subita violenza, il Giudice di merito dovrà accertarsi che tali dichiarazioni siano confermate in dibattimento.

Deve infatti escludersi che l’impossibilità di procedere all’esame della persona offesa in contraddittorio, quale unico teste dei fatti, possa comunque dipendere esclusivamente dalla volontaria sottrazione del testimone al dibattimento. Lo ha stabilito la terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4342, depositata il 30 gennaio 2014. Il caso. La pronuncia in esame trae origine da una sentenza di condanna confermata in appello del gestore di un ristorante per il reato di violenza sessuale, previsto e punito dall’art. 609 bis c.p., consumato ai danni di una cittadina polacca. Nello specifico, il ricorrente deduceva, fra gli altri motivi, l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 512 c.p.p., con specifico riguardo all’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa nel corso delle indagini preliminari, nonché del verbale di individuazione fotografica effettuata dalla medesima. Per il ristoratore, la Corte di Appello di Lecce aveva fondato la sentenza di condanna sulle predette dichiarazioni, senza alcun riscontro e/o conferma dibattimentale, atteso che la persona offesa, successivamente, si era resa volontariamente irreperibile sia in Italia che nel Paese di origine. I principi generali del contraddittorio. Punto di riferimento in tema di formazione della prova nel dibattimento è l’art. 111 della Costituzione, il cui quarto comma stabilisce che la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore. Tale fondamentale principio è stato trasfuso pure nel vigente codice di procedura penale, all’art. 526, comma 1-bis, ed è presente pure nell’art. 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, il cui terzo comma, alla lettera b , statuisce il diritto dell’accusato di interrogare o far interrogare i testimoni a carico, ed ottenere la citazione e l'interrogatorio dei testimoni a discarico a pari condizioni dei testimoni a carico. La testimonianza della persona offesa Come è noto, in generale, nel nostro sistema processuale manca una specifica normativa dettata a tutela della vittima-testimone, la cui posizione viene sostanzialmente equiparata a quella di qualsiasi altro teste che debba essere escusso, e ciò ad eccezione delle sole regole dettate in tema di audizione del minore le quali, pertanto, possono ritenersi uniche eccezioni in materia. Tali regole infatti limitano, in considerazione della necessità di tutelare soggetti in condizioni di maggiore debolezza psichica, il diritto al pieno contraddittorio dell’imputato che, in sede dibattimentale, trova la sua espressione nella cross-examination di ciascuna fonte di prova orale. La decisività della deposizione dibattimentale, se da un lato esalta il principio del pieno contraddittorio nella formazione della prova dinanzi al Giudice, dall’altro espone la vittima del reato al pericolo di maggiori pressioni o sollecitazioni, al fine di ottenere una più o meno completa ritrattazione, aumentando così notevolmente la possibilità che, alle sofferenze patite al momento della consumazione dell’episodio delittuoso, ne seguano altre, ancor più penose, nel periodo antecedente l’audizione dibattimentale od anche in sede di incidente probatorio. ed il caso del teste successivamente irreperibile. Ciò premesso sul piano generale, ci si è chiesti se ed in che termini la testimonianza della persona offesa specie nel caso di delitti contro la libertà sessuale possa essere utilizzata, in particolare nelle ipotesi in cui si tratti dell’unica prova diretta della riferita violenza, ed il teste si sia reso successivamente irreperibile per propria libera scelta. Ci si è peraltro chiesti se l’irreperibilità del teste integri i presupposti per la lettura ex art. 512 c.p.p. Controversa è la questione se la prova delle avvenute ricerche del testimone sia condizione necessaria per la lettura ex art. 512 c.p.p All’orientamento che propende per la soluzione affermativa, si obietta che la dichiarazione di irreperibilità è attestata dalla dichiarazione di un parente che, all’atto della notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza, riferisca dell’assenza del teste e dell’impossibilità a reperirlo, e non dall’esito negativo delle ricerche, previste per il solo imputato ai sensi degli artt. 159 e 160 c.p.p. Di recente, sono intervenute le Sezioni Unite con la pronuncia n. 27918/2011 , secondo cui, ai sensi dell’art. 512 bis c.p.p., le dichiarazioni predibattimentali rese dal testimone residente all’estero possono essere acquisite, in presenza di determinate condizioni. In particolare, occorre che al teste sia stata effettivamente e validamente notificata la citazione. In secondo luogo, è indispensabile che la sua irreperibilità sia stata accertata mediante tutti gli strumenti opportuni e necessari in concreto inoltre, l’impossibilità dell’esame dibattimentale deve essere assoluta ed oggettiva, e deve essere stata inutilmente richiesta dal giudice, ove possibile, l’audizione del dichiarante mediante rogatoria internazionale concelebrata” o mista”. In relazione all’art. 526, comma 1-bis, c.p.p. circa la valutazione della volontà del dichiarante di sottrarsi all’esame dibattimentale, il Supremo Collegio ha inoltre affermato il principio secondo cui non occorre la prova della specifica volontà di sottrarsi al contraddittorio ma basta che l’assenza sia determinata da una libera scelta, salvo che vi sia la prova o la presunzione di violenza fisica o psichica, illecita coazione o altri elementi che limitino la libera determinazione del soggetto. La sentenza in commento ha dunque confermato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la lettura ex art. 512 c.p.p. deve essere esclusa, se il teste, volontariamente, si sia reso irreperibile, perché, diversamente, sarebbero utilizzabili come prova dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sottratto al contraddittorio, in violazione del precetto di cui ai citati art. 111 comma 4, seconda parte, Cost., e 526, comma 1-bis, c.p.p.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 dicembre 2013 - 30 gennaio 2014, numero 4342 Presidente Squassoni – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Lecce, con sentenza depositata il 24 gennaio 2013, ha integralmente confermato la decisione resa dal locale Tribunale con la quale, dichiarata la penale responsabilità di F.R. per i reati previsti e puniti dagli art. 81 cpv e 609 bis cod. penumero , con le aggravanti di cui all'art. 61, numero 5 e numero 11 cod. penumero lo condannava alla pena di giustizia. Riteneva la Corte di appello pienamente provata la condotta criminosa ascritta al prevenuto e consistente nell'avere costretto, in molteplici occasioni fra l' omissis , con percosse e gesti violenti, quali lo spegnimento di sigarette sul suo corpo, la cittadina polacca K.I. ad avere rapporti sessuali completi con lui, approfittando altresì della condizione di immigrata di costei, sua dipendente presso il ristorante omissis , nonché dell'esistente rapporto di coabitazione, alloggiando la K. pressa la abitazione del prevenuto. Avverso detta decisione proponeva ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia, il F. , deducendo tre motivi. Secondo il primo la sentenza sarebbe viziata in quanto la Corte territoriale avrebbe utilizzato ai fine della decisione assunta le dichiarazioni rese dalla parte offesa nel corso delle indagini preliminari nonché il verbale di individuazione fotografica effettuata dalla medesima in violazione di quanto prescritto dall'art. 512 cod. proc. penumero , non avendo la detta Corte eseguito i doverosi controlli ai fini della corretta dichiarazione di irreperibilità del teste per l'utilizzazione dibattimentale delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini. La difesa dell'imputato ha altresì contestato la sentenza di appello perché il giudice del gravame non ha accolto la richiesta di rinnovazione della istruttoria dibattimentale che si sarebbe dovuta realizzare attraverso la escussione di taluni testi non ascoltati in sede di giudizio di primo grado. Il rigetto della predetta richiesta istruttoria sarebbe privo di valida motivazione e, se l'attività si fosse svolta, avrebbe consentito di delineare con maggiore chiarezza la personalità della denunciante e la condotta di questa e del F. nel periodo in cui quella era ospite di quest'ultimo. Infine la ricorrente difesa eccepisce in generale il difetto di motivazione della sentenza impugnata, tutta fondata sulle dichiarazioni rese nel corso della indagini dalla persona offesa, senza che ci si sia dato carico, ai fini della attendibilità di queste, di considerare la situazione di astio esistente fra la K. ed il F. , dovuta al fatto che questi non aveva corrisposto alla prima il compenso per l'attività lavorativa che costei aveva prestato in suo favore la mancanza di certificazioni attestanti le presunte lesioni patite dalla persona offesa, le quali, peraltro, potevano avere altra origine che non la condotta dell'imputato. Sempre in tema di difetto di motivazione si contesta che la Corte territoriale non abbia chiarito il criterio in base al quale ricondurre a esiti di bruciature inferte dal F. con sigarette le preesistenti lesioni riscontrate sul corpo della persona offesa. Considerato in diritto Essendo il ricorso risultato fondato, esso è meritevole di accoglimento. Osserva questa Corte che col primo motivo di impugnazione il F. si duole del fatto che, dapprima, il Tribunale e, poi, la Corte di appello siano pervenute ad una sentenza di condanna nei suoi confronti senza che le dichiarazioni accusatorie della parte offesa, unica sostanziale fonte di prova nei suoi confronti, siano state confermate in dibattimento e senza che le stesse siano state sottoposte al vaglio del contraddittorio. Effettivamente, secondo quanto risulta dalla sentenza emessa dalla Corte territoriale salentina, la decisione da essa assunta si fonda, se non esclusivamente di certo essenzialmente, sulle dichiarazioni rese dalla parte offesa denunciante K.I. nel corso delle indagini preliminari e su di un riconoscimento fotografico del F. compiuto sempre dalla parte offesa ancora in sede di indagini preliminari. Tutti questi atti sono stati ritenuti, dai giudici di merito, acquisibili al fascicolo del dibattimento ed utilizzabili ai fini della decisione, in applicazione dell'art. 512 cod. proc. penumero , il quale prevede che il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti in sede predibattimentale quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione. Nel giustificare tale decisione la Corte di appello ha dato atto della effettuazione di ricerche della persona offesa, cittadina polacca rientrata nella sua nazione di origine successivamente ai fatti per cui è processo, al fine di consentirne la citazione in giudizio in qualità di teste e di persona offesa. Ha, in particolare, riferito la Corte salentina che le ricerche si sono svolte sia attraverso la banca dati del DAP, onde verificare se la predetta fosse ristretta in uno del penitenziari della Repubblica ovvero se, essendoci stata ristretta successivamente ai fatti di causa, avesse eletto o indicato, all'atto delle liberazione, un domicilio ove potesse essere reperita, sia attraverso indagini eseguite presso il domicilio indicato dalla K. all'atto della presentazione della sua denunzia per il reato di violenza sessuale alla polizia giudiziaria, sia attraverso indagini presso il recapito da lei indicato alla autorità di pubblica sicurezza al momento in cui, nell'anno XXXX, ha lasciato il territorio dello Stato, sia, infine, data la infruttuosità delle precedenti ricerche, attraverso richiesta di rogatoria internazionale allo Stato polacco si precisa sin d'ora, rogatoria non del tipo cosiddetto concelebrato , rimasta, tuttavia, anch'essa senza risultato in quanto, dalle informazioni rese dalla Autorità polacca in risposta alla richiesta di rogatoria, emerge che la K. , unitamente alla sua famiglia, non risulta più abitare fin dal XXXX, nella città di XXXXXXX, dove ella, invece, risultava, in base ai dati in possesso di quella Autorità, essere residente né la Autorità polacca ha indicato altri possibili itinerari di ricerca esperibili. Sulla base di tali dati, la Corte - ritenuto che al momento in cui la persona offesa fu ascoltata in sede di indagini preliminari non era affetto prevedibile che la stessa si sarebbe resa successivamente irreperibile, sicché legittimamente non fu scandagliata l'ipotesi di sottoporre la stessa ad incidente probatorio - ha considerato pienamente utilizzabili, stante il disposto dell'art. 512 cod. proc. penumero , le dichiarazioni accusatorie da quella rese al di fuori del contraddittorio. L'assunto della Corte di appello è, però, erroneo, e, di conseguenza, sono viziati gli esiti cui esso conduce. Al riguardo rileva questa Corte che non ha significativa importanza qualificare la presente fattispecie come sussumibile, per ciò che ora è in questione, sotto il dettato dell'art. 512 cod. proc. penumero ovvero del art. 512-bis del medesimo codice di rito, come apparirebbe preferibile. Invero, posto che per l'applicazione delle due disposizioni, trattandosi di teste di nazionalità straniera, il criterio distintivo è dato dalla circostanza che questi abbia o meno la residenza, ancorché di fatto, in Italia, parrebbe più calzante la fattispecie di cui all'art. 512-bis, atteso che non ci sono elementi per potere affermare che la K. abbia, o abbia mai avuto, una stabile residenza in Italia. Il dato, come però dianzi si accennava, risulta essere irrilevante nella fattispecie, laddove si consideri che, come plausibilmente sostenuto dalla Corte territoriale, nel caso l'allontanamento della persona offesa dal territorio nazionale non era comunque immediatamente prevedibile, essendo notorio che, pur in una situazione di precaria stabilità sul territorio, la permanenza degli stranieri immigrati sul suolo dello Stato può, in via di fatto, protrarsi per significativi periodi. Più rilevante è, viceversa il dato, sul quale la Corte territoriale non si è affatto interrogata, in base al quale - come precisato or non è molto dalle Sezioni unite di questa Corte nella decisioni in cui si è più approfonditamente esaminato il tema della compatibilità della applicazione degli artt. 512 e 512-bis cod. proc. penumero con le garanzie apprestate dall'art. 6 della Convenzione EDU - deve escludersi che l'impossibilità di procedere all'esame del teste in contraddittorio possa comunque dipendere esclusivamente dalla volontaria sottrazione del testimone al dibattimento Corte di cassazione Sez. Unite penali, 14 luglio 2011, numero 27918 . Nulla osserva la Corte territoriale sulla possibile valenza in tal senso sintomatica del comportamento della K. che, poco dopo avere sporto la propria denunzia e fatto le dichiarazioni accusatorie in danno del F. , si è allontanata dal territorio dello Stato dando indicazioni fuorvianti sulla propria successiva reperibilità, infatti di lei nessuna notizia è stato possibile acquisire agli indirizzi dalla medesima forniti sia in sede di presentazione di denunzia sia dopo, in tal modo rendendosi di fatto irreperibile ed irraggiungibile alla successive chiamate in giudizio. Al riguardo, infatti, la Corte territoriale si limita ad apoditticamente affermare che, proprio in ragione delle indicazioni - rivelatesi, però, alla prova dei fatti quantomeno inutili se non decettive - fornite dalla persona offesa in ordine alla sua rintracciabilità, la successiva scomparsa di quella doveva ritenersi imprevedibile. È fin troppo ovvio che laddove fosse, invece, risultata siffatta volontà, il quadro normativo di riferimento da valutarsi da parte del giudicante si sarebbe dovuto arricchire dell'esame anche della previsione di cui all'art. 526, comma I bis, cod. proc. penumero , norma adottata in diretta attuazione del precetto costituzionale di cui all'art. 111, quarto comma, Cost. del quale ne riproduce ad verbum parte del testo, il cui chiaro tenore prevede che la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore ciò tanto più ove si consideri che, secondo l'insegnamento di questa Corte, ai fini della operatività della disposizione ultima citata non è necessaria la prova di una specifica volontà di sottrarsi al contraddittorio, ma è sufficiente la volontarietà della assenza determinata da una sua qualsiasi libera scelta Corte di cassazione, Sezioni unite penale, numero 27918 del 2011, cit. . Vi è, peraltro e conclusivamente da osservare, che, onde prestare il dovuto rispetto al fondamentale precetto di cui all'art. 6 della Convenzione EDU che, diversamente, ne resterebbe vulnerato, non è, comunque, possibile che le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, costituiscano in modo esclusivo o significativo fondamento dell'affermazione della responsabilità penale dell'imputato Corte di cassazione, Sezione unite penali, numero 27918 del 2011 cit. né la validità di tale rigoroso principio, ha avuto successivamente modo di affermare questa Corte, viene meno o è derogabile nelle ipotesi in cui si sia pure fatta corretta applicazione dell'art. 512 cod. proc. penumero Corte di cassazione, Sez. I, 18 aprile 2012, numero 14807 . Poiché nel caso che interessa le dichiarazioni resa dalla K. sono state, come detto, se non l'esclusiva certamente l'essenziale fonte di prova adoperata dalla Corte di Lecce per affermare la responsabilità penale del F. , la sentenza, che abbia in tal senso fatto cattivo governo dei principi in tema di utilizzabilità e rilevanza decisiva delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari da chi non sia stato successivamente sentito in contraddittorio fra le parti, deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce, cui è rimessa la corretta applicazione dei principi dianzi enunziati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce.