Il Giudice del rinvio è tenuto ad uniformarsi ai principi enunciati nella pronuncia di legittimità

Un’analisi più ampia o differente della vicenda da parte del Giudice del rinvio che si spinga oltre detti limiti reca violazione dell’articolo 627 del c.p.p. giudizio di rinvio dopo annullamento .

Il caso. L’imputato veniva tratto a giudizio per rispondere dei reati di cui agli articoli 81 c.p. 609 ter n. 2 e quater c.p In danno di persona minore nata il 3 agosto del 1988. La sentenza resa dal Giudice di primo grado, veniva parzialmente riformata dal Giudice di Appello che escludeva che i rapporti intercorsi fossero frutto di violenza o minaccia o direttamente collegabili al consumo di sostanze alcoliche. Tuttavia riteneva che detti rapporti fossero intervenuti in virtù dell’affidamento della minore all’imputato da parte della famiglia. In forza di detta circostanza il fatto reato veniva riqualificato in quello previsto e punito dall’articolo 609 quater e seppie comma 4 n. 2 c.p Il Giudice dell’appello riteneva che la diversa qualificazione dei fatti non recasse alcuna violazione del diritto di difesa giacché la presenza della minore presso l’imputato col consenso dei genitori costituiva circostanza oggetto del processo sulla quale l’imputato aveva modo di interloquire e difendersi. La pronuncia del Giudice d’appello veniva sottoposta a ricorso per cassazione ed era oggetto di sentenza di annullamento con rinvio posto che la Corte di Cassazione procedeva ad una censura severa circa l’incompletezza dell’accertamento in fatto espresso nelle due sentenze di merito. In relazione al tema di difetto della contestazione della circostanza di cui al quarto comma dell’articolo 609 c.p., la Corte di legittimità rimarcava la totale omissione nella sentenza oggetto di cassazione di chiarimento in ordine al contesto ed alla specifica modalità con cui all’imputato venne prospettato l’affidamento della minore o comunque furono contestate le circostanze di fatto su l’ipotesi di affidamento si fondava, posto che il riferimento non poteva essere costituito solo dalle dichiarazioni rese dall’imputato stesso in sede dibattimentale. Con conseguente richiesta formulata al giudice del rinvio di porre rimedio alle carenze motivazionali relative alla ricostruzione della vicenda processuale e del complessivo svolgimento dei fatti. La Corte d’appello, giudice cui il procedimento era rimesso, dichiarava la nullità della pronuncia resa dal giudice di prime cure per difetto di correlazione tra contestazione e condanna, disponendo la restituzione degli atti al giudice medesimo per l’ulteriore corso. Configurazione dell’aggravante? Affermava il Giudice del rinvio che il giudice del primo grado aveva ritenuto la configurabilità della circostanza aggravante di cui all’articolo 609 septies , connessa all’affidamento della minore all’imputato per ragioni di lavoro per come sostenuto dallo stesso imputato in dibattimento. Tale punto di vista veniva confermato, sia pure solo in parte dalla Corte d’Appello che ne ravvisava però l’affidamento non per motivi di lavoro ma per motivi di custodia. Alla luce della differente perseguibilità del reato, a querela di parte o di ufficio, l’accertamento circa la natura dell’intervenuto affidamento appariva essere decisivo ai fini della soluzione processuale della vicenda. Nell’effettuare la propria analisi la Corte d’Appello affermava che la circostanza inerente l’affidamento modificando la struttura stessa della contestazione attraverso l’inserimento di un dato fattuale che non era mai stato addebitato all’imputato e su cui la difesa dell’imputato doveva essere posta in grado di interloquire e di difendersi, dando altresì atto di come la circostanza in parola si fosse concretizzati in due differenti titoli nei due differenti gradi di giudizio, con ciò violandosi i principi posti dall’articolo 521 e 522 del codice di rito e dall’articolo 6 della CEDU. Contro la pronuncia formulava ricorso l’imputato il quale denunciava violazione dell’articolo 627 del codice di procedura penale per aver il giudice del rinvio violato il principio che prevede che esso debba uniformarsi alla sentenza adottata per ogni questione di diritto già decisa. Precisando come nel, ai sensi del quarto comma della medesima norma nel giudizio di rinvio non possano rilevarsi nullità anche assolute o inammissibilità verificatesi nei precedenti giudizi o nella fase delle indagini preliminari. Sostanzialmente richiamando l’obbligo del giudice del rinvio ad uniformarsi e ad effettuare solo ed esclusivamente le valutazioni, in ordine alla formale configurazione della contestazione, ad esso demandate dalla Corte di legittimità. In altre parole si doleva della valutazione della Corte d’Appello che in luogo dell’ipotizzato vizio motivazionale sulla contestazione ne aveva invece ravvisato esistenza sotto il profilo della mancata contestazione formale. Vizio che non era stato ravvisato dalla Corte di Cassazione. A fronte della profluvie di questioni giuridiche sottoposte all’attenzione di ben quattro giudici differenti la Corte di Cassazione, investita dal ricorso formato dall’imputato ha, obbligatoriamente, deciso di percorrere la strada maestra del rispetto formale del disposto codicistico. E non poteva che operare diversamente. Il Giudice del rinvio deve uniformarsi al dictum della Cassazione. Il Giudice del rinvio ha obbligo di uniformarsi al dictum contenuto nella pronuncia di legittimità senza poter por mano ad altre e o differenti questioni. Il tenore dell’articolo 627 c.p.p. è chiaro. L’analisi di vicende o di aspetti di vicende non strettamente demandate dalla Corte al Giudice del rinvio è a questi, per espressa volontà legislativa, preclusa. Si tratta di un principio finalizzato a consentire la creazione di un ‘termine’ della vicenda processuale sottraendola al rischio ed alla tentazione? di trasformarsi in una infinità e differente rilettura della medesima vicenda. Certo, le questioni che restano sospese, perché private di una definitiva pronuncia da parte della Corte che su di esse non pare essersi pronunciata se non con riferimento ad una sorta di ‘silenziosa’ risposta sono molte e pesano, piuttosto evidentemente, non soltanto sulla natura e sulla struttura della vicenda processuale concreta ma anche, con un’operazione destinata e finalizzata a guardare ‘dall’alto’ la vicenda, sui diritti spettanti alla difesa. Non mi pare che si possa dire analoga ad una formale contestazione che peraltro, come correttamente posto in evidenza dal giudice del primo rinvio, influisce sulla stessa struttura della fattispecie modificandone il regime di procedibilità, la semplice emersione di una circostanza di fatto che, non formando oggetto del capo di imputazione non può essere considerata thema probandum su cui la difesa è chiamata ad esercitare i propri diritti. Anzi per dirla tutta e con franchezza mi apre che la circostanza, ove non contenuta nel capo di imputazione e solo successivamente emerse e non contestata, violi quei principi contenuti negli articoli 521 e 22 del c.p.p. ma portati con maggior forza cogente, stante la natura della norma, dall’articolo 6 della CEDU laddove essi indicano e si fanno portatori e testimoni del diritto dell’indagato di conoscere in maniera tempestiva e compiuta l’integrale contenuto della contestazione mossa nei suoi confronti. La pronuncia del giudice del rinvio, intervenuta a mio modo di vedere in contrasto al disposto di legge, ha impedito che sul tema vi fosse un’esplicita pronuncia degli Ermellini che, qualunque tenore avesse assunto, avrebbe potuto consentire di saggiare gli umori del giudice della legittimità in relazione al particolarissimo, ed altrettanto delicato, versante della conoscibilità tempestiva ed integrale della contestazione. Sarà per la prossima volta.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 11 dicembre 2013 – 16 gennaio 2014, n. 1760 Presidente Brusco – Relatore Blaiotta Motivi della decisione 1. Il Tribunale di Chieti ha affermato la responsabilità dell'imputato in epigrafe in ordine ai reati di cui agli articoli 81 cod. pen., 609 ter n. 2 e 609 quater cod. pen. in danno di persona minore nata il omissis , nonché al risarcimento del danno in favore delle parti civili. La pronunzia è stata parzialmente confermata dalla Corte d'appello di Ancona. Essa ha escluso che i rapporti sessuali certamente intercorsi siano stati frutto di violenza o minaccia e che vi sia stato un legame diretto tra il consumo di sostanze alcoliche e gli atti sessuali. Il giudice di merito ha tuttavia ritenuto che gli atti sessuali abbiano avuto comunque luogo prima del compimento del 14 anno ed in presenza di affidamento della minore all'imputato, posto che la famiglia consentiva che la ragazza andasse ad aiutarlo nei lavori campestri. In conseguenza è stato ritenuto l'illecito di cui all'art. 609 quater e 609 septies , comma 4, n. 2, cod. pen La Corte ha ritenuto che la diversa qualificazione dei fatti non rechi violazione del diritto di difesa giacché la presenza della minore presso l'imputato col consenso dei genitori costituisce circostanza oggetto del processo sulla quale l'imputato ha avuto modo di interloquire e difendersi. 2. La pronunzia d'appello è stata oggetto di sentenza di annullamento con rinvio emessa da questa suprema Corte con sentenza del 20 dicembre 2011. La pronunzia censura severamente l'incompletezza dell'accertamento in fatto espresso in ambedue le pronunzie di merito. Si considera che non è stata chiarita la genesi della vicenda processuale che non è stata determinata l'epoca dei fatti ed il contesto della loro verificazione che non è stata stabilita l'età della giovane al momento delle prime attenzioni dell'imputato che non sono state chiarite le modalità e le ragioni della frequentazione della minore con il ricorrente. Particolarmente carente viene ritenuto l'apprezzamento dei giudici a tale ultimo riguardo, non essendo stato chiarito quali fossero i termini temporali del cosiddetto affidamento, quale la posizione dei genitori quale l'accordo eventuale tra costoro ed il ricorrente. Tale carenza viene ritenuta particolarmente rimarchevole poiché la Corte d'appello non ha ritenuto l'esistenza di affidamento per ragioni di lavoro bensì di affidamento per custodia. Tale conclusione è stata raggiunta senza alcun esame delle diverse ipotesi previste dal numero due del quarto comma dell'art. 609 septies . Infine per quanto concerne il tema del difetto di contestazione della circostanza in parola, decisiva ai fini della procedibilità in assenza di tempestiva querela, la Corte di legittimità rimarca che la sentenza impugnata omette di chiarire in quale contesto e con quale specifica modalità al ricorrente fu prospettata la circostanza dell'affidamento della minore o comunque furono contestate le circostanze di fatto su cui l'ipotesi di affidamento si fonda, posto che il riferimento non può essere costituito dalle dichiarazioni rese dallo stesso ricorrente in sede dibattimentale. Si tratta di vizio motivazionale correttamente prospettato dal ricorrente. Si è conseguentemente richiesto al giudice di rinvio di porre rimedio alle carenze motivazionali relative alla ricostruzione della vicenda processuale e del complessivo svolgimento dei fatti. 3. Nuovamente decidendo, la Corte d'appello di Perugia ha dichiarato la nullità della sentenza del Tribunale di Chieti per difetto di correlazione tra contestazione e condanna ed ha disposto la restituzione degli atti a quel Tribunale per l'ulteriore corso. La pronunzia rammenta che il primo giudice ha ritenuto la configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 609 septies , connessa all'affidamento della minore all'imputato per ragioni di lavoro, come dallo stesso imputato sostenuto in dibattimento. Tale punto di vista è stato confermato, sia pure solo in parte dalla Corte d'appello di L'Aquila, che ha ravvisato però affidamento non per motivi di lavoro ma di custodia. Si aggiunge che il reato è perseguibile a querela mentre la perseguibilità d'ufficio è tra l'altro connessa all'affidamento del minore in casi espressamente elencati. L'accertamento di tale circostanza è quindi di decisivo rilievo ai fini della procedibilità. In proposito la Corte d'appello dopo aver esaminato i fatti ed aver individuato i tratti di una protratta relazione sessuale iniziatasi all'età di circa 11 anni e proseguita fino ai 16 anni, esamina il tema della ridetta circostanza ed espone preliminarmente che l'imputato ha affermato in dibattimento che i genitori gli avevano affidato la bambina per farla lavorare di pomeriggio e che lui la pagava con danaro o comprando le ricariche per il telefono. Tali dichiarazioni non sono state ritenute sufficienti dalla Corte di cassazione ai fini della contestazione. Si aggiunge che le medesime circostanze sono state negate dalla madre della minore, la quale ha riferito di rapporti di vicinanza e di amicizie ed ha aggiunto che la presenza della giovane presso l'uomo era frutto di una iniziativa spontanea della giovane che si concretizzava anche in qualche non meglio precisato lavoro. La Corte aggiunge che è indubbio che la bambina rimaneva presso l'appellante e che tale permanenza non era occasionale, sporadica ed implicava pertanto un affidamento quantomeno di fatto. Tale dato si desume dalla circostanza che la bambina si portava dall'imputato ogni pomeriggio in una situazione che per l'età implicava vigilanza e custodia specie quando realizzava piccole attività lavorativa. Tale affidamento rileva ai fini della configurabilità della circostanza in questione. Tuttavia non vi è mai stata contestazione al riguardo sicché non vi è possibilità di ritenere la ridetta circostanza arbitrariamente modificando la struttura della contestazione, attraverso l'inserimento di un dato fattuale che non è mai stato addebitato al C. e su cui la difesa dell'imputato doveva essere posta in grado di interloquire, di difendersi mentre la stessa difesa è stata menomata anche per la diversità dei titoli concretizzanti che la suddetta circostanza nei due gradi di giudizio. Si conclude che la necessità di una contestazione della circostanza di cui all'art. 609 septies non può essere superata in alcun modo essendo in questione gli articoli 521 522 cod. proc pen. nonché l'art. 6 CEDU. 4. Ricorre per cassazione l'imputato deducendo due motivi. 4.1 Con il primo motivo si rileva che l'art. 627 cod. proc pen. nel disciplinare il giudizio di rinvio dopo la sentenza di annullamento della Corte di cassazione impone che il giudice si uniformi alla sentenza adottata per ogni questione di diritto decisa. Il quarto comma aggiunge che nel giudizio di rinvio non possono rilevarsi nullità anche assoluta o inammissibilità verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari. Il giudice di rinvio ha violato entrambe le disposizioni. Si rammenta che nella sua prima sentenza la Corte d'appello aveva risolto il problema della contestazione della circostanza nel senso che l'imputato era stato messo in grado di difendersi al riguardo indipendentemente dalla formulazione del capo d'imputazione. Al riguardo la Corte di cassazione ha rilevato vizio di motivazione sulla contestazione in fatto e non per ciò che attiene alla formale configurazione della contestazione. In conseguenza la Corte d'appello di Perugia in sede di rinvio non poteva ritenere in luogo dell’ipotizzato vizio motivazionale sulla contestazione in fatto, vizio di mancata contestazione formale. Tale ultimo vizio, se effettivamente sussistente, sarebbe stato rilevato dalla Corte di cassazione. In ogni caso la Corte d'appello non poteva dichiarare la nullità per violazione degli articoli 521 e 522 cod. proc. pen. ostandovi il tenore dell'art. 627 comma 4 cod. proc pen 4.1 Con il secondo motivo, pur considerando assorbente il primo si censura la pronunzia d'appello in ordine alla ricostruzione del fatto proponendosi una lettura alternativa alla stregua di emergenze probatorie che vengono in proposito evocate. Alla stregua di tale ricostruzione si perviene tra l'altro alla conclusione che nessuna forma di affidamento della minore all'imputato si è mai concretizzata. 5. Il ricorso è fondato. Per quel che qui interessa, la Corte di legittimità aveva demandato alla Corte d'appello di accertare se vi fosse stata contestazione in fatto della circostanza dell'affidamento se cioè la circostanza fosse emersa quale dato significativo del processo di guisa che l'imputato si fosse trovato nella condizione di difendersi. Il giudice del rinvio ha dato una netta risposta a tale quesito avendo ritenuto, come si è sopra esposto, che l'affidamento della minore sia emerso come dato indiscusso da tutte le fonti di prova, sebbene minimizzato dalla sola madre. La Corte d'appello, tuttavia, non ha tratto da tale accertamento la conseguenza necessaria alla stregua del dictum della pronunzia di legittimità, cioè la sostanziale regolarità della contestazione che chiudeva il discorso al riguardo. Ultroneamente essa ha posto mano al tema della contestazione formale, pervenendo alla conclusione che essa fosse necessaria e difettasse sicché fa prima sentenza è stata annullata per difetto di contestazione e gli atti sono stati restituiti al P.M. Tale statuizione reca violazione dell'art. 627 cod. proc. pen. posto che non si è ottemperato ai principi enunciati nella indicata pronunzia di legittimità. La sentenza va dunque annullata con rinvio alla Corte d'appello di Firenze. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Firenze, per nuovo esame.