La falsificazione del libro sociale non determina la nullità dell'atto di cessione presupposto

La falsificazione del libro sociale implica la non opponibilità ai terzi dei fatti in esso riportati.

La decisione del giudice penale con cui si da atto della falsità di una pagina del libro dei soci di una società a responsabilità limitata, non costituisce automatica e precostituita prova di falsità dell'atto anche nel giudizio civile. Il giudice civile dovrà compiere autonoma valutazione in merito alla falsità dell'atto e dovrà articolare indipendenti motivazioni a sostegno della sua decisione. La falsificazione di una pagina del libro soci non implica automaticamente la falsità dell'atto in essa annotato. E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 26500 del 27 novembre 2013. Il caso . Due soci di una società a responsabilità limitata si contendevano giudizialmente le partecipazioni sociali, assumendo reciprocamente di essere soci unici della società. Il primo chiedeva ed otteneva sequestro giudiziale della partecipazione sociale del secondo, assumendo di esserne proprietario in ragione di lecito acquisto. Successivamente al provvedimento cautelare, si instaurava il giudizio di merito volto ad accertare quale dei due contendenti fosse effettivo titolare delle quote sociali. Nelle more, la società veniva posta in liquidazione, inoltre, terzi soggetti sostenevano di aver acquistato una parte delle quote e instauravano diversi giudizi di cognizione finalizzati ad accertare le predette acquisizioni. Da quanto è dato comprendere, i terzi, oltre a coltivare le iniziative giudiziarie introdotte autonomamente, intervenivano anche nel giudizio attivato dai due soci originari al fine di far valere il diritto di proprietà delle quote. Il tribunale chiariva che il tema decidendum doveva essere individuato nella contesa del diritto di proprietà delle quote tra i due soci originari, qualificava la pretesa dei terzi come intervento adesivo dipendente, dunque, gli intervenuti non avevano introdotto un argomento processuale nuovo ma si ponevano a sostegno delle tesi difensive articolate dalle originarie parti processuali. Il Giudice di merito osservava che, nel corso del giudizio, i due soci contendenti avevano rinunciato al giudizio, dunque, anche le pretese dei terzi dovevano intendersi rinunciate infine, riconosceva alla parte attrice la titolarità della quota sociale così come richiesta in giudizio. La corte territoriale, confermava la sentenza di primo grado e chiariva che l'intervento dei terzi doveva essere qualificato come adesivo dipendente. Le parti proponevano ricorso per cassazione. Intervento volontario adesivo dipendente. Chi assuma di essere titolare di un rapporto giuridico in qualche modo collegato ad un rapporto già dedotto in un processo pendente, può intervenire e costituirsi in giudizio al fine di far valere il suo diritto. Detto intervento può essere effettuato allo scopo di far valere un autonomo diritto oppure un diritto collegato e dipendente da un rapporto giuridico introdotto dalle parti originariamente contendenti. In tale ultima ipotesi non si attiva una nuova ed autonoma pretesa, quindi, la condotta processuale degli intervenuti dipende da quella principale c.d. intervento adesivo dipendente . In ragione di tale assunto, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata nella parte in cui ha individuato il tema decidendum richiamando il solo rapporto giuridico individuato e delimitato dalle parti che avevano originariamente introdotto il giudizio. Validità della prova penale nel giudizio civile. Tribunale e corte d'appello, riportandosi ad una sentenza penale che aveva deciso i medesimi fatti storici sottesi alla fattispecie in commento, avevano rilevato la palese falsità del foglio in cui era stato annotato l'atto di cessione della quota sociale ed avevano concluso per l'inesistenza e conseguente inopponibilità della cessione ai terzi nonché per l'inesistenza dell'atto di cessione stesso. Sul punto la cassazione ha osservato che il giudice di merito non può limitarsi a richiamare e fare propria la decisione del giudice penale che ha statuito la falsità di un dato documento, dovendo, invece, individuare ed accertare gli elementi che dimostrano la falsità dell'atto e articolare conseguenti ed adeguate motivazioni a supporto della declaratoria di falsità. Inoltre, ha chiarito che la falsità di una pagina del libro sociale non implica inesistenza dell'atto annotato ma al più pone dei problemi di opponibilità dello stesso ai terzi. Sotto quest'ultimo profilo il giudice di legittimità ha rinviato la causa ad altro giudice territoriale affinché decida la questione uniformandosi al principio testé enunciato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 ottobre - 27 novembre 2013, n. 26500 Presidente Carnevale – Relatore Piccininni Svolgimento del processo Con ricorso ex artt. 670 e 700 c.p.c., depositato il 20.4.1994 presso il Tribunale di Parma, C.M. sollecitava il sequestro giudiziario del 50% delle quote della Piacenza 47 s.r.l., che S.G. già proprietaria del residuo 50% assumeva di aver acquistato da N.B. con contratto del 6.3.1989, annotato nel libro dei soci il 5.4.1989. Il giudice autorizzava il sequestro, poi eseguito mediante iscrizione su libro soci - appositamente costituito per smarrimento dell'originale - con la forma del pignoramento presso terzi, ed il P. , a fronte della dichiarazione della S. nella qualità di legale rappresentante della Piacenza 47 di essere l'unica socia di quest'ultima, rimetteva gli atti al Tribunale per il giudizio in ordine alla titolarità delle quote. Riuniti i due processi e deceduta la S. , si costituivano in giudizio gli eredi Ch.Ro. e Sa. ed intervenivano anche a la I.T.C. in persona dell'amministratore unico T.N. , che dichiarava di aver acquistato dai Ch. con atto del 21.10.1994 l'intero capitale sociale cella Piacenza 47 b T.N. , in proprio e quale legale rappresentante della SILPA s.r.l., alla quale nel luglio 1995 veniva ceduto l'intero pacchetto delle quote c M.A. , il quale affermava di aver acquistato in data 1.9.1995 il capitale sociale della Piacenza 47 dalla I.T.C., amministratore unico R. , tale nominato nello stesso giorno dell'acquisto. Nel corso del giudizio la difesa dei Ch. riconosceva che la C. era effettivamente titolare del 50% delle quote della Piacenza 47, mentre il liquidatore di quest'ultima società si limitava ad evidenziare che davanti al Tribunale di Napoli pendevano quattro giudizi, aventi ad oggetto la validità dei diversi atti di cessione. Il Tribunale, dopo aver precisato che l'oggetto del giudizio doveva essere individuato esclusivamente nell'accertamento della titolarità del 50% delle quote della Piacenza 47 cedute dal B. , nonché nella validità ed efficacia del sequestro giudiziario autorizzato ante causam , qualificava come adesivi dipendenti gli interventi effettuati nel corso del giudizio affermava che conseguentemente le relative posizioni assunte non potevano essere confliggenti con i loro danti causa, per il cui sostegno avevano partecipato al giudizio rilevava inoltre che le parti principali avevano rinunciato a far valere la loro pretesa, e che da tale circostanza doveva conseguentemente discendere l'impossibilità di far proseguire il processo concludeva infine riconoscendo alla C. la titolarità del 50% del capitale sociale della Piacenza 47, per averlo questa acquistato nell'aprile 1993 da N.B. con atto opponibile alla società, in quanto debitamente annotato sul libro soci. La Corte di appello di Bologna dichiarava inammissibili le impugnazioni proposte da I.T.C. e M. , mentre rigettava l'appello incidentale di C. . Questa Corte, successivamente adita da Eurocredito s.r.l. già I.T.C. e da M.A. , accoglieva poi i ricorsi qualificando i due interventi in questione come autonomi in ragione della prospettazione offerta nella domanda, e la Corte di appello di Bologna, giudicando nuovamente in sede di rinvio, confermava la decisione del primo giudice. In particolare, prendendo in esame gli appelli di ITC e M. , la Corte territoriale rilevava, quanto alla prima posizione, che la ITC avrebbe indicato il titolo posto a base della pretesa su un documento accertato come falso e pertanto l'acquisto avrebbe dovuto essere considerato tamquam non esset . A maggior ragione la qualità di proprietario non avrebbe potuto essere riconosciuta al M. , che aveva acquistato le quote da soggetto che non ne era proprietario e non avrebbe avuto dunque titolo per operare il trasferimento. Avverso la decisione proponevano ricorso per cassazione sia Eurocredito, con un motivo, che M. , con due motivi, ricorsi entrambi resistiti da C. e dai due Ch. con controricorso, atti tutti successivamente illustrati da memoria. La controversia veniva quindi decisa all'esito dell'udienza pubblica del 10.10.2013. Motivi della decisione Con il solo motivo di impugnazione Eurocredito ha denunciato violazione degli artt. 99, 100, 110, 111, 112, 115, 116, 384, 392 c.p.c., 2697, 2909 c.c. e vizio di motivazione sotto i seguenti aspetti C.M. aveva chiesto di accertare la sua qualità di socio della Piacenza 47 per l'intervenuto acquisto di una quota pari al 50% del capitale sociale dal precedente titolare N.B. , ma il tribunale aveva spostato la sua attenzione sulla dichiarazione dei Ch. , omettendo l'esame di ulteriori elementi il tribunale conseguentemente nulla aveva deciso rispetto alla sussistenza dei presupposti perché potesse riconoscersi la titolarità della partecipazione in questione in capo a C.M. analogamente la prima sentenza della Corte territoriale del 2010 non aveva affrontato la questione prospettata, avendo ritenuto inammissibile l'appello delle parti intervenute nel processo nel successivo giudizio di legittimità la Corte di Cassazione aveva affermato l'irrilevanza della quiescenza alla domanda della C. da parte dei convenuti Ch. e la Corte di Appello, anziché riformare la sentenza di primo grado in ossequio all'indicato principio di diritto, aveva viceversa confermato nel merito la decisione del tribunale la Corte di appello aveva omesso di esaminare la documentazione prodotta da essa ricorrente, a sostegno della propria legittimazione la stessa Corte aveva richiamato la circostanza che la qualifica di socio della I.T.C. e di M. sarebbe stata contestata dai Ch. , rilievo inesatto e non supportato dall'indicazione del giudizio in cui si sarebbe manifestata la contestazione la falsità della copia del libro soci da cui risultava la titolarità delle quote della Piacenza 47 in capo ai Ch. avrebbe costituito un dato insignificante rispetto all'atto di acquisto delle quote da parte di essa ricorrente la Corte di appello avrebbe omesso di compiere il solo accertamento dovuto, consistente nel verificare che la C. , in realtà, non aveva mai operato alcun acquisto la stessa Corte aveva disatteso il principio stabilito dal giudice di legittimità, per il quale l'esame di merito della vicenda della titolarità della C. doveva avvenire prescindendo dalla dichiarazione dei Ch. la pretesa falsità della fotocopia del libro soci avrebbe riguardato, semmai, soltanto il 50% delle quote sociali, non essendo stata mai posta in discussione la titolarità del residuo 50%. Con i due motivi di impugnazione il M. , dal canto suo, ha rispettivamente denunciato 1 violazione degli artt. 112, 99, 100, 384 c.p.c., 1147, 1153, 2697, 2909 c.c. e vizio di motivazione in quanto la Corte territoriale aveva ritenuto che la valutazione della effettività dell'acquisto della qualità di socio dovesse prescindere dalla eventuale buona fede dell'acquirente, con ciò dimenticando che esso appellante aveva dichiarato di essere intervenuto nel giudizio per far valere un proprio autonomo diritto, nella sua qualità di socio la qualità di terzo acquirente in buona fede avrebbe dovuto comportare il riconoscimento in suo favore della titolarità delle quote della Piacenza 47 il vincolo del sequestro giudiziario avrebbe avuto ad oggetto il 50% delle quote sociali già di proprietà del Buia, non essendo stata mai messa in dubbio la titolarità del rimanente 50% in capo alla S. la quota nella società a responsabilità limitata costituisce un bene immateriale equiparato ai beni mobili non iscritti in pubblici registri, che determina l'opponibilità dell'alienazione del bene al creditore pignorante ed ai creditori intervenuti nell'esecuzione, principio da cui discenderebbe l'inopponibilità ad esso ricorrente del sequestro e delle pretese connesse 2 violazione degli artt. 112, 99, 100, 110, 111, 115 e 116 c.p.c., 2479, 2697, 2909 c.c., oltre che delle norme disciplinanti gli effetti e la buona fede nei contratti, nonché vizio di motivazione, atteso che l'avvenuto patteggiamento del notaio in relazione al delitto di falso addebitatogli non avrebbe riguardato il negozio giuridico con il quale le quote erano state vendute, ma la conseguente iscrizione nel libro soci, fatto che non avrebbe inciso sulla validità del negozio e, conseguentemente, dell'acquisto. Per di più l'acquisto delle quote da parte della I.T.C. sarebbe stato regolarmente iscritto nel libro soci, e quindi sarebbe stato opponibile alla società Piacenza 47, che peraltro nulla avrebbe mai contestato al riguardo. Osserva il Collegio che i due ricorsi possono essere esaminati congiuntamente poiché pongono sostanzialmente le stesse questioni, essenzialmente consistenti a nella individuazione dell'oggetto della controversia b nella pretesa inosservanza del principio di diritto indicato da questa Corte nel disporre il rinvio al giudice del merito per un nuovo esame c nella rilevanza attribuibile all'intervenuto patteggiamento del notaio, in relazione all'addebito di falsità dell'atto asseritamente comprovante il trasferimento delle quote della Piacenza 47 in favore dei Ch. . Sul primo punto è agevole rilevare come le concordi indicazioni risultanti dall'esame delle decisioni adottate nel corso della trattazione della controversia in questione depongano, con assoluta chiarezza, nel senso della limitazione del thema decidendum” all'accertamento in ordine all'esistenza o meno di un valido atto di cessione del 50% delle quote della Piacenza 47 in favore di C.M. oltre che alla validità ed efficacia del sequestro e all'opponibilità del detto atto di cessione alla società. Ne consegue quindi che resta esclusa ogni ulteriore questione concernente la validità o l'efficacia degli ulteriori atti di acquisto successivamente intervenuti, essendo stati questi dedotti soltanto come presupposto della richiesta di rigetto dell'originaria domanda della C. contro la S. si vedano segnatamente sul punto pp. 18, 19 della sentenza di primo grado, p. 17 di quella di appello, pp. 6, 11, 14 di quella di cassazione, p. 6 della successiva sentenza di secondo grado . Passando poi all'esame del secondo aspetto sopra considerato, occorre evidenziare, ai fini della corretta interpretazione dei principi affermati da questa Corte cui, secondo i ricorrenti, la Corte territoriale non avrebbe dato corretto seguito, che con la prima decisione la Corte di Appello aveva dichiarato inammissibili le impugnazioni di I.T.C. e M. , per essere i loro interventi puramente adesivi alla domanda originaria. Secondo detta Corte, dunque, avendo l'adiuvato rinunciato a far valere la pretesa originariamente azionata, sarebbero venute meno le condizioni per una delibazione delle domande dei soggetti intervenuti, che come detto si erano limitati a sostenere le ragioni dell'originario convenuto, e da ciò sarebbe conseguentemente discesa l'inammissibilità degli appelli da essi proposti. Tale giudizio non era stato tuttavia condiviso da questa Corte successivamente adita dagli odierni ricorrenti, e ciò in quanto con il loro intervento nel giudizio essi avrebbero fatto valere una posizione autonoma, derivata dalla loro qualità di aventi causa degli originari convenuti. Sotto questo riflesso dunque, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del merito, sarebbe stata irrilevante la circostanza che gli intervenuti non avessero chiesto specificamente di accertare la loro qualità di successori a titolo particolare della S. . Al fine di stabilire se essi fossero stati o meno legittimati a proporre impugnazione sarebbe stato infatti necessario verificare soltanto la prospettazione di una titolarità astratta del diritto controverso sulla base della domanda, e non anche la questione di fatto relativa all'effettiva titolarità del diritto controverso, che va accertata in un momento successivo, ai fini della pronuncia sul merito della domanda p. 15 . Da ciò il giudice di legittimità ha coerentemente fatto discendere l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata produzione della documentazione che avrebbe dovuto comprovare la qualità di successori a titolo particolare di Eurocredito e M. , essendo tali profili attinenti al merito della controversia ed essendo viceversa rilevante, sotto l'aspetto della legittimazione, l'astratta allegazione della predetta qualità p. 16 . Nella specie gli interventi in questione erano stati effettuati ai sensi dell'art. 111 c.p.c. e pertanto, alla luce di tale autonoma posizione, nessuna influenza avrebbe potuto avere al riguardo l'intervenuta acquiescenza alla domanda da parte dell'attrice C. . Per effetto delle esposte considerazioni questa Corte nel precedente giudizio ha dunque cassato la sentenza impugnata, ritenendola errata nella parte in cui la Corte di appello aveva dichiarato inammissibile l'impugnazione di Eurocredito e M. , in ragione dell'avvenuta qualificazione del loro intervento come adesivo anziché come autonomo. A seguito della cassazione della sentenza il giudice di legittimità ha conseguentemente disposto il rinvio al giudice del merito per una nuova delibazione, da effettuare sulla base dell'affermato dovere del giudice di verificare, di fronte alla contestazione delle altre parti, se i ricorrenti avessero dato la prova dell'effettivo acquisto della qualità di soci della s.r.l. Piacenza 47 pp. 16 e 17 . Alla luce della diffusa esposizione e delle articolate argomentazioni svolte nella parte motiva, sviluppate anche in ragione della previa delimitazione dell'ambito del giudizio domanda della C. di vedersi riconoscere la proprietà del 50% delle quote sociali , è dunque da ritenere che detto dovere debba essere interpretato nel senso della sollecitazione all'accertamento dell'acquisto della titolarità di quote da parte dei due odierni ricorrenti e quindi, scendendo al concreto, dell'avvenuto acquisto delle quote della Piacenza 47 da parte di I.T.C. e M. e non anche a quello concernente l'eventuale opponibilità all'originaria attrice degli acquisti successivamente intervenuti in favore di altri soggetti. In questi termini ed in questi limiti avrebbe quindi dovuto svolgersi ed essere definito il contestato giudizio di rinvio. Resta infine da esaminare il terzo profilo di censura prospettato dai ricorrenti, incentrato sulla pretesa erroneità della statuizione della Corte di Appello nella parte in cui questa ha ritenuto indimostrata la qualità di proprietaria delle quote da parte di I.T.C. e M. , quanto alla prima, per aver la società basato la cessione su documento foglio 8 del libro soci incontestabilmente risultato falso e contraffatto il notaio che l'aveva autenticato, imputato del reato di falsità ideologica, aveva patteggiato la pena in sede penale , quanto al secondo, per aver egli acquistato le quote dalla ITC, ossia da chi non aveva alcun titolo su di esse e che, di conseguenza, non ne poteva disporre . Secondo i ricorrenti, tuttavia, il detto giudizio non sarebbe condivisibile, atteso che la falsità in questione non riguarderebbe il negozio giuridico con il quale le quote erano state cedute ma, più semplicemente, l'annotazione dell'atto di cessione nel libro soci, incombente il cui espletamento non inciderebbe sulla validità dell'atto di cessione, ma riguarderebbe piuttosto l'opponibilità dell'acquisto alla società e ai terzi. La censura è fondata poiché la Corte di appello ha disatteso la domanda di accertamento della propria qualità di proprietaria delle quote da parte di I.T.C., per il fatto che il relativo titolo di acquisto sarebbe stato individuato in un documento che è stato accertato essere falso all'esito di procedimento penale. Di detto documento, tuttavia, la Corte ha omesso di indicare gli estremi ed il contenuto, sicché il contestato giudizio emesso risulta sorretto da motivazione insufficiente. Né può dirsi che la rappresentata omissione in realtà non sia tale, per effetto del riferimento alla falsità e contraffazione del foglio 8 del libro soci che riportava la proprietà del 100% delle quote della Piacenza 47 ai due Ch. , verificata dal giudice penale nel procedimento contro il notaio che lo aveva autenticato. Il detto accertamento di per sé non sarebbe infatti esaustivo, poiché la falsità del foglio del libro soci i cui termini, come detto, non risultano fra l'altro esattamente delineati non costituisce il presupposto da cui far automaticamente discendere anche la nullità del negozio di cessione oggetto dell'annotazione, atteso che l'iscrizione del trasferimento è richiesta soltanto ai fini dell'opponibilità dell'atto alla società art. 2479, secondo comma c.c. all'epoca vigente . Nei limiti indicati, dunque, i ricorsi devono essere accolti, mentre risulta priva di pregio la doglianza concernente l'asserito mancato accertamento relativo all'acquisto del 50% delle quote della Piacenza 47 da parte della C. , rilievo che si pone in contrasto con la pronuncia della Corte di Appello nella sua prima decisione, laddove questa ha precisato che le indicazioni contenute nella lettera degli eredi di S.G. in ordine al riconoscimento dell'acquisto del 50% del capitale sociale da parte della C. non risultano contrastate da altri elementi di segno divergente p. 26 , affermazione che per di più non è stato oggetto di specifica censura al riguardo. Restano infine assorbiti gli ulteriori profili di doglianza prospettati. Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere cassata nei termini sopra precisati, con rinvio alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione per una nuova delibazione in ordine all'avvenuto acquisto delle quote oggetto di controversia da parte di I.T.C. e M. , essendo la precedente statuizione basata su motivazione insufficiente. Resta viceversa esclusa dall'ambito del giudizio di rinvio ogni questione concernente l'opponibilità al primo acquirente C.M. degli ulteriori acquisti delle quote sociali che ipoteticamente fossero successivamente intervenuti. Il giudice del rinvio provvedere infine anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie i ricorsi nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili accolti e rinvia alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.