Messa in discussione in Cassazione la posizione dell’INPS, che ha detto ‘no’ alla richiesta presentata da un uomo, di oltre 90 anni, quasi cieco e che è costretto ad utilizzare un bastone per stare in piedi. Per i Giudici sono evidenti i gravi pericoli correlati alla concreta possibilità di cadute a cui può andare incontro l’uomo.
Grave cecità parziale e grosse difficoltà nella deambulazione, pur con l’aiuto di un bastone. Difficile respingere la richiesta di “indennità di accompagnamento”. Così i magistrati del Palazzaccio mettono in discussione la posizione assunta dall’Istituto nazionale di previdenza sociale nei confronti di un uomo – classe 1926 –, posizione peraltro condivisa dai giudici del Tribunale e della Corte d’Appello Cassazione, ordinanza numero 20819/18, sez. lavoro, depositata il 20 agosto . Indennità. Comuni le valutazioni compiute in Tribunale e in Corte d’Appello, valutazioni che porta a confermare il ‘no’ dell’INPS alla possibilità di riconoscere «l’indennità di accompagnamento» a un uomo, di oltre 90 anni, affetto da «cecità quasi totale», impossibilitato a «deambulare senza l’uso di un bastone per conquistare la posizione eretta». Secondo la relazione presentata in secondo grado dal consulente tecnico, peraltro, la situazione dell’uomo è resa ancora più complicata dal fatto che «l’aggravamento delle condizioni di visus gli impediscono di utilizzare il bastone, contemporaneamente, per conquistare la posizione eretta e per testare il terreno». Di conseguenza, per il consulente è logico «il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento». Ma i Giudici d’Appello si mostrano di parere diverso, soffermandosi sul «grado di incidenza delle patologie accertate rispetto alla capacità autonoma di deambulare» e affermando, in particolare, che «la riduzione della vista in entrambi gli occhi a 1/50, con percezione di luce, pur rendendo difficoltosa la deambulazione, non la esclude del tutto». Ecco spiegato il ‘no’ all’ipotesi della «indennità di accompagnamento». Pericolo. La decisione presa in Corte d’Appello viene però messa fortemente in discussione dalla Corte di Cassazione. I Giudici del Palazzaccio ritengono legittime e giustificate le obiezioni mosse dal legale dell’uomo e centrate in particolare sulla «impossibilità di deambulare» del suo cliente a causa del «grave deficit visivo» che lo ha colpito. I magistrati ritengono rilevanti «i gravi pericoli correlati alla concreta possibilità di cadute a cui può andare incontro l’uomo». E a questo proposito essi ricordano – rivolgendosi ai Giudici d’appello, che dovranno riesaminare la vicenda – che «il difetto di autosufficienza capace di giustificare il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento ricorre certamente anche quando – senza che si sia in presenza di una totale ed oggettiva impossibilità di movimento – la deambulazione del soggetto si presenti particolarmente difficoltosa e limitata nello spazio e nel tempo ed inoltre fonte di grave pericolo in ragione di una incombente e concreta possibilità di cadute, tanto da tradursi di fatto in una incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita e da rendere, conseguentemente, necessario il permanente aiuto di un accompagnatore».
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 30 gennaio – 20 agosto 2018, numero 20819 Presidente D’Antonio – Relatore Perinu Rilevato che To. Mi. impugna la sentenza numero 1210, depositata il 19/9/2012, con la quale la Corte d'appello di Catanzaro confermava la sentenza di primo grado, di rigetto della domanda avanzata dal To. per ottenere il riconoscimento del diritto all'indennità di accompagnamento la vicenda processuale può così sintetizzarsi a Mi. To. presentava due domande per l'indennità di accompagnamento, davanti al Tribunale di Lamezia Terme b il Tribunale decidendo sui due separati ricorsi, successivamente riuniti, tenuto conto di due consulenze tecniche d'ufficio aventi esito contrapposto, concordava con quella disposta nel primo procedimento ct incaricato-dr.ssa Sgarella , che pur riconoscendo il deficit di visus parziale da cui era risultato affetto il To., sosteneva che ciò non incidesse sulla possibilità di compiere le funzioni quotidiane di vita la Corte d'appello disponeva nuova ctu che, avuto conto, anche delle patologie concorrenti impossibilità di deambulare senza l'uso di un bastone che consentisse di conquistare la posizione eretta , e dell' aggravamento delle condizioni di visus che impedivano di utilizzare il bastone, contemporaneamente, per conquistare la posizione eretta e per testare il terreno, concludeva per il riconoscimento del diritto all'indennità di accompagnamento la Corte territoriale, per quanto qui rileva, pur concordando con le valutazioni diagnostiche formulate nella ctu, non riteneva di concordare con la valutazione concernente il grado di incidenza delle patologie accertate, rispetto alla capacità autonoma di deambulare, in particolare, affermava che la riduzione della vista in entrambi gli occhi a 1/50, con percezione di luce , di per sé pur rendendo difficoltosa la deambulazione, non la escludeva del tutto avverso la pronuncia d'appello ricorre il To. affidandosi ad un unico motivo l'INPS ritualmente intimato difende con controricorso. Considerato che 1. con l'unico motivo di ricorso, articolato sotto un duplice profilo, viene denunciata in relazione all'articolo 360, numero 3, c.p.c., la violazione della legge numero 382/1970 e della legge numero 138/2001, ed in relazione all'articolo 360, numero 5, c.p.c, l'apparente ed insufficiente motivazione 2. dall'esame della normativa che il ricorrente assume essere stata violata si desume a la cecità totale costituisce titolo sufficiente per conseguire i benefici di cui alla legge numero 382/1970 b la cecità parziale, a seguito anche della sentenza della Corte Costituzionale 22 giugno 1989 numero 346, dichiarativa in parte qua dell'illegittimità dell'articolo 1, della legge . 346/1989, si pone quale fattore concorrente, unitamente ad altre patologie, utile, per integrare lo stato di totale inabilità che attribuisce il diritto all'indennità di accompagnamento 3. in particolare, con riferimento a tale ultimo profilo, il ricorrente deduce vizi di motivazione inerenti l'erronea valutazione, operata dalla Corte territoriale, rispetto alle conclusioni formulate nella consulenza tecnica d'ufficio espletata nel secondo grado del giudizio, in merito all'impossibilità per il To. di deambulare autonomamente in presenza del grave deficit visivo da cui, lo stesso, era affetto 4. le censure rivolte dal ricorrente, appaiono sotto tale profilo fondate 5. infatti, ben poteva la Corte territoriale discostarsi dalle conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio, nel rispetto del principio del libero convincimento e del libero apprezzamento dei fatti e delle prove, spettanti al giudice di merito, a condizione però di dar conto, con congrua motivazione immune da vizi logici, delle ragioni idonee a suffragare la diversa soluzione adottata 6. nel caso che occupa, invece, la Corte di secondo grado, ha disatteso le conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico, senza indicare principi o norme tecniche che potessero consentirle di discostarsi dalle valutazioni contenute nella consulenza tecnica d'ufficio 7. inoltre, atteso che il consulente tecnico nominato in appello aveva giustificato il riconoscimento della indennità con la peculiarità delle accertate infermità, costituite dalla quasi totale cecità, poi aggravatasi nel corso del giudizio, e dall'impossibilità di poter utilizzare il bastone d'appoggio, contemporaneamente, per conquistare la posizione eretta del corpo e deambulare correttamente in rapporto alla direzione di marcia, compromessa dall'esistenza del grave deficit visivo ciò posto, in mancanza di utili riferimenti a parametri condivisi dalla scienza medica in materia ortopedica ed oculistica, la Corte di merito era tenuta, non condividendo le conclusioni del consulente tecnico a disporre nuovi accertamenti al riguardo 8. parimenti, s'appalesa deficitario il plesso motivazionale del giudice d'appello, che a fronte del richiamato orientamento giurisprudenziale di legittimità Cass. numero 3228/99 , ha del tutto omesso di motivare in relazione ai principi affermati nella citata pronuncia di questa Corte , in riferimento ai gravi pericoli correlati alla concreta possibilità di cadute a cui poteva andare incontro il ricorrente a causa delle accertate patologie da cui lo stesso era affetto, ponendosi così in contrasto con i principi affermati dalla sentenza succitata il difetto di autosufficienza capace di giustificare il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento ricorre certamente anche allorquando - senza che si sia in presenza di una totale ed oggettiva impossibilità di movimento - la deambulazione del soggetto si presenti particolarmente difficoltosa e limitata nello spazio e nel tempo ed inoltre fonte di grave pericolo in ragione di una incombente e concreta possibilità di cadute, tanto da tradursi di fatto in una incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita e da rendere, conseguentemente, necessario il permanente aiuto di un accompagnatore 10. conclusivamente, in accoglimento, per quanto precede, del ricorso, va cassata la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro, che, nel rispetto dei principi e delle considerazioni sopra enunciati, procederà a nuovo esame della controversia e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Corte d'appello di Catanzaro che in diversa composizione provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.