Amministratore preleva denaro per pagare i debiti ... ma il creditore è la sua ditta individuale

L’amministratore che si ripaghi di un proprio credito verso la società, risponde di bancarotta fraudolenta patrimoniale non potendo scindersi la qualità di creditore da quella di amministratore, come tale vincolato alla società dall’obbligo della fedeltà e da quello della tutela degli interessi sociali nei confronti dei terzi.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, pronunciandosi su un ricorso contro una sentenza confermativa della Corte d’appello. Quest’ultima, infatti, aveva ribadito la condanna di un amministratore di una s.r.l. - dichiarata fallita - e di un socio della stessa per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione. Bancarotta per distrazione o preferenziale? I due imputati, hanno proposto autonomi ricorsi. La prima censura, comune a entrambi i ricorrenti, riguarda l’insussistenza dei presupposti del reato di bancarotta per distrazione. A loro dire, i giudici di secondo grado non hanno considerato che l’operazione considerata avente natura distruttiva - consistita nell’avere l’amministratore prelevato, dal conto corrente acceso dalla società fallita, una somma di denaro, a mezzo di assegni poi girati al coimputato, da cui aveva ricevuto il relativo importo in contanti - non poteva qualificarsi tale perché la somma era stata utilizzata per provvedere al pagamento dei creditori della società, tra cui vi erano gli stessi imputati, come si evince dal raffronto tra la scheda di cassa e il libro del giornale. Pertanto, per ambedue, in tale condotta sarebbe da rinvenirsi l’ipotesi di bancarotta preferenziale, reato che sarebbe già prescritto. La Suprema Corte ha rilevato l’infondatezza del motivo di impugnazione. Ciò, in quanto, la Corte territoriale, nel disattendere i rilievi degli appellanti sul punto, ha rilevato come le scritture contabili della società fallita non consentano di riscontrare la fondatezza delle tesi esposte. Quindi, per gli Ermellini, le osservazioni difensive sul punto si risolvono in censure di merito, che propongono una lettura alternativa delle risultanze processuali e, in quanto tali, non consentite in sede di legittimità. I prelievi di denaro non erano volti a pagare i compensi per il lavoro dell’amministratore. Inoltre, Piazza Cavour ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale in base al quale l’amministratore che si ripaghi di un proprio credito verso la società risponde di bancarotta fraudolenta patrimoniale ricordando che tale indirizzo risulta derogato, in favore della configurabilità della bancarotta preferenziale, limitatamente al caso dell’amministratore che si ripaghi di suoi crediti relativi a compensi per il lavoro prestato, prelevando dalle cassi sociali una somma congrua rispetto a tale lavoro. I supremi giudici della Quinta sezione Penale hanno, quindi, ritenuto di non aderire al minoritario orientamento giurisprudenziale secondo cui, nei casi come quello in esame, l’amministratore risponde sempre di bancarotta preferenziale, grazie alla presenza dell’elemento caratterizzante di tale tipo di bancarotta rispetto alla fraudolenta patrimoniale, rappresentato dalla alterazione della par condicio creditorum . Inoltre, il socio, con un secondo motivo, ha anche evidenziato di non poter essere ritenuto responsabile del reato, non svolgendo nemmeno i compiti dell’amministratore di fatto. Omnia vincit la tutela degli interessi sociali. Sul punto, i giudici di legittimità, hanno parimenti rilevato l’infondatezza, in quanto il socio risponde del reato di bancarotta per distrazione, non per aver rivestito un ruolo formale o quello di amministratore di fatto della società fallita, come lamentato, ma secondo le regole tipiche del concorso nel reato proprio dell’amministratore di diritto della società di capitali fallita. Infatti, alla condotta distrattiva consistente nel mettere all’incasso gli assegni giratigli dal coimputato, consegnandogli il relativo importo monetizzato , egli ha fornito un apporto volontario, con la consapevolezza ammessa dalla stessa difesa della destinazione di parte della somma al pagamento dei debiti contratti dalla s.r.l. nei confronti della ditta individuale dell’amministratore e, quindi, dell’inevitabile depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori che tale operazione determinava. Ciò posto, ed escluso che nella specie si verta in tema di recupero di crediti per attività di lavoro prestata nei confronti della società fallita, il S.C. ha rigettato i ricorsi.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 8 febbraio - 9 luglio 2013, n. 29380 Presidente Ferrua – Relatore Guardiano Fatto e diritto Con sentenza pronunciata il 14.12.2011 la corte di appello di L'Aquila confermava la sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Teramo, in sede di giudizio abbreviato, in data 18.1.2007 aveva condannato L.D. e S.M. , rispettivamente amministratore della Tir Italy s.r.l. , dichiarata fallita dal tribunale di Teramo con sentenza del omissis , e socio della stessa società, ciascuno alla pena ritenuta di giustizia in relazione al reato di cui agli artt. 110, c.p., 216, co. 1, n. 1, 223, l.f., esclusa la circostanza aggravante di cui all'art. 219, l.f Avverso tale decisione, di cui chiedono l'annullamento, hanno proposto autonomi ricorsi i due imputati, articolando distinti motivi di impugnazione. Il L. , in particolare, lamenta i vizi di cui all'art. 606, co. 1, lett. b ed e , c.p.p., in relazione all'art. 216, l.f., in quanto i giudici di secondo grado non hanno considerato che l'operazione considerata avente natura distrattiva, consistita nell'avere il L. prelavato dal conto corrente acceso dalla società fallita la somma di L. 152.000.000, derivanti da un precedente pagamento e da rimborsi i.v.a., a mezzo di assegni poi girati al S. , da cui riceveva il relativo importo in contanti, non poteva qualificarsi distrattiva perché tale somma venne utilizzata per provvedere al pagamento dei creditori della società, tra cui vi erano gli stessi L. e S. , come si evince dal raffronto tra la scheda di cassa ed il libro giornale, da cui risulta annotato l'incasso della somma di L. 135.000.000 e tutti i pagamenti effettuati in favore dei creditori, non potendosi in tale condotta rinvenirsi, come erroneamente affermato dalla corte territoriale, gli estremi, comunque, della ipotesi di bancarotta per distrazione, trattandosi, invece di bancarotta preferenziale, reato che sarebbe già prescritto alla data della pronunzia di secondo grado. Con il secondo motivo di ricorso l'imputato lamenta il vizio di cui all'art. 606, co. 1, lett. e , c.p.p., in relazione al mancato riconoscimento in suo favore della circostanza attenuante di cui all'art. 219, l.f., che, invece, va concessa, riguardando la presunta distrazione la somma di appena 77.000,00 Euro, utilizzata per pagare i debiti della società fallita, senza considerare, peraltro, che il dissesto è da addebitare ai precedenti amministratori e che durante la gestione del L. l'esposizione debitoria si è ridotta. Il S. , dal suo canto, propone due motivi di ricorso. Con il primo il ricorrente reitera le medesime osservazioni anche dal punto di vista grafico svolte dal coimputato sull'inesistenza dei presupposti del reato di bancarotta per distrazione. Con il secondo motivo di impugnazione il S. lamenta il vizio di cui all'art. 606, co. 1, lett. e , c.p.p., in relazione all'art. 223, l.f., in quanto egli non può essere ritenuto responsabile del reato per cui è stato condannato, non rivestendo alcuna delle qualifiche previste dal menzionato 223, l.f. l'unico amministratore, infatti, era il L. , né svolgendo i compiti dell'amministratore di fatto. Tanto premesso i ricorsi non possono essere accolti per le seguenti ragioni. Quanto al primo motivo di impugnazione, comune ad entrambi i ricorrenti, se ne deve rilevare l'infondatezza. Ed invero la corte territoriale, nel disattendere i rilievi degli appellanti sul punto sostanzialmente riprodotti nei motivi dei ricorsi per Cassazione , ha rilevato come le scritture contabili della società fallita non consentano di riscontrare la fondatezza delle tesi esposte, vale a dire che le somme corrisposte dal S. al L. dopo avere messo all'incasso gli assegni che gli erano stati girati da quest'ultimo, siano state utilizzate dallo stesso L. per pagare i creditori della società, evidenziando, al riguardo, che la ricostruzione contabile del L. non da atto se non di una parte modesta della somma incassata su L. 152.000.000, circa 50 milioni di lire, dei quali 35.000.000 utilizzati per pagare crediti dello stesso L. nei confronti della società, con evidente lesione, per questa part, della par condicio crditorum, che integra una bancarotta per distrazione , mentre S. opera una ricostruzione coincidente solo in parte con quella del L. e deduce che lo stesso L. vantava crediti di importo considerevole nei confronti della società cfr. pp. 2-3 dell'impugnata sentenza . Sul punto le osservazioni difensive si risolvono in parte in censure di merito, che propongono una lettura alternativa delle risultanze processuali, con particolare riferimento al contenuto delle scritture contabili, già disattesa, con motivazione immune da vizi, dalla corte territoriale ed, in quanto tali, non consentite in questa sede di legittimità. Non può, peraltro, non rilevarsi l'infondatezza della tesi difensiva volta a qualificare in termini di bancarotta preferenziale, e non per distrazione, la condotta posta in essere dal L. nell'utilizzare parte della somma di denaro in precedenza indicata per pagare debiti della società fallita nei confronti della Lizzi Domenico Autotrasporti , ditta artigiana che aveva svolto prestazioni in favore della Tir Italy s.r.l. . Ed invero va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte è in massima parte orientata nel senso che l'amministratore il quale si ripaghi di un proprio credito verso la società, risponde di bancarotta fraudolenta patrimoniale non potendo scindersi la qualità di creditore da quella di amministratore, come tale vincolato alla società dall'obbligo della fedeltà e da quello della tutela degli interessi sociali nei confronti dei terzi cfr. Cass. 17616/2008, rv. 240069 Cass. 2273/2004, rv. 231289 Cass. 2647/2006, rv. 236293 Cass. 19557/2007, rv. 236645 . Tale indirizzo risulta derogato, in favore della configurabilità della bancarotta preferenziale, limitatamente al caso dell'amministratore che si ripaghi di suoi crediti relativi a compensi per il lavoro prestato, prelevando dalle casse sociali una somma congrua rispetto a tale lavoro cfr. Cass. 21570/2010, rv. 247964 Cass. 43869/2007, rv. 237975 Cass. 46301/2007, rv. 238291 . Mentre minoritario risulta l'orientamento giurisprudenziale secondo cui l'amministratore che si ripaghi di propri crediti verso la società fallita, risponde sempre di bancarotta preferenziale, grazie alla presenza, in tal caso, dell'elemento caratterizzante di tale tipo di bancarotta rispetto alla fraudolenta patrimoniale,, rappresentato dalla alterazione della par condicio creditorum, essendo irrilevante, al fine della qualificazione giuridica del fatto - dal momento che la norma incriminatrice prescinde dalla relazione dell'autore con l'organismo societario -, la specifica qualità dell'agente di amministratore della società, se del caso censurabile in sede di commisurazione della sanzione a fronte di una possibile maggior gravità, per tale ragione, del reato cfr. Cass. 23730/2006, rv. 235325 . Ciò posto, ed escluso che nella specie si verta in tema di recupero di crediti per attività di lavoro prestata nei confronti della società fallita, si ritiene di aderire al primo orientamento, considerata in particolare la natura del credito del L. verso la Tir Italy s.r.l. , nascente da prestazioni aventi ad oggetto attività di trasporto svolta in favore della suddetta società cfr. Cass., sez. V, 30.5.2012, n. 25292, Massocchi, rv. 253001 . Inammissibile è il secondo motivo del ricorso L. , perché la corte territoriale, nel non riconoscere all'imputato la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità di cui all'art. 219, co. 3, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, ha fatto correttamente riferimento alla entità della distrazione ritenuta, per il suo importo, affatto minimale , in ciò conformandosi alla consolidata giurisprudenza di legittimità al riguardo, che impone di prendere in considerazione il danno cagionato dal fatto reato e non quello derivante dal passivo del fallimento cfr. Cass., sez. V, 16.4.1986,. n. 5707, Izzo, rv. 173156 Cass., sez. V, 4.7,2012, n. 44443, Robbiano e altro, rv. 253778 , con valutazione immune da vizi logici, rispetto alla quale i rilievi difensivi si risolvono in censure di merito non consentite in questa sede di legittimità. Quanto alle osservazioni svolte dal S. , del pari se ne deve rilevare l'infondatezza, in quanto egli risponde del reato di bancarotta per distrazione, non per avere rivestito un ruolo formale o quello di amministratore di fatto della società fallita come lamentato dalla difesa, ma secondo le regole tipiche del concorso nel reato proprio dell'amministratore di diritto della società di capitali fallita L. , alla cui condotta distrattiva egli ha fornito un apporto volontario consistente nel mettere all'incasso gli assegni giratigli dal coimputato, consegnandogli il relativo importo monetizzato , con la consapevolezza ammessa dalla stessa difesa della destinazione di parte della somma al pagamento dei debiti contratti dalla Tir Italy s.r.l. nei confronti della ditta individuale del L. e, quindi, dell'inevitabile depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori che tale operazione determinava cfr. Cass., sez. V, 24.3.2010, n. 16579, rv. 246879 . Sulla base delle svolte considerazioni i ricorsi proposti nell'interesse del L. e del S. vanno, dunque, rigettati, con conseguente condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.