“Se coltivi l’eccezione metto a verbale che hai subornato il teste”: il difensore commette reato

Costituisce violenza privata la richiesta fatta dal patrono di una parte alla controparte di non coltivare eccezioni sotto pena di rivelare la commissione di condotte contra legem assunte da questi nell’ambito della difesa del proprio assistito.

Il caso. L’imputato veniva tratto a giudizio per rispondere di tentata violenza privata e diffamazione, per avere, secondo l’accusa, quale difensore di una parte in una controversia di lavoro, tentato di costringere il difensore della controparte a rinunciare alla proposizione di una eccezione procedurale sotto minaccia di far verbalizzare che detto difensore aveva avvicinato assieme alla propria assistita un teste e per aver successivamente all’opposto rifiuto fatto verbalizzare effettivamente la circostanza. Assenza di intenti diffamatori? I Giudici di prime e seconde cure ponevano a sostegno della propria decisione le dichiarazioni rese dalla persona offesa e del testimone che veniva indicato quale avvicinato dal difensore il quale dava atto d’essere stato in realtà contattato dalla parte e da una cugina di questa, non ritenendo applicabile al caso concreto la scriminante dell’articolo 51 ovvero quella inerente dall’esercizio di un diritto e neppure quella portata dall’articolo 598. Frapponeva ricorso per cassazione l’imputato deducendo come la sentenza fosse oggetto di vizio motivazionale posto che il convincimento maturato dal Giudice si poggiasse esclusivamente su di un soggettivo convincimento della persona offesa e non già sulla condotta specificamente assunta dal difensore, lamentando altresì l’assoluta assenza di intenti diffamatori nel contenuto della verbalizzazione effettuata. Venivano nuovamente invocate le scriminanti dell’esercizio del diritto e di quella ex articolo 598 c.p., oltre che lamentata la mancata concessione delle attenuanti generiche sotto il profilo del vizio motivazionale del provvedimento reso che, ai fini di escluderle, faceva esclusivo riferimento alla particolare intensità del dolo che aveva sorretto l’agire del ricorrente. La Corte ha rigettato il ricorso. È violenza privata. La Corte viene chiamata a pronunciarsi in relazione al contenuto di una norma incriminatrice che invero appare assai chiaro. La disposizione infatti indica come elemento oggettivo del reato sia costituito dalla minaccia rivolta a taluno anche al fine di fargli omettere qualche cosa e, quindi, conseguentemente, anche di “non coltivare” una eccezione processuale che era stata evidentemente proposta. Non pare che in ordine alla fattispecie sussistano particolari problemi di ordine ermeneutico, semmai, più interessante è il profilo relativo alla possibilità di connettere la richiesta alla scriminate prevista dall’articolo 51 c.p., ovvero all’esercizio di un diritto del difensore. La Corte in punto non offre spiegazioni appaganti, limitandosi a richiamare la pronuncia resa dal Giudice dell’appello e ad escludere l’applicabilità della causa di giustificazione invocata. A parere di chi scrive si tratta di una scelta indubitabilmente corretta. Le condotte non costituiscono esercizio di un diritto. La scriminante in questione richiede che l’agente abbia agito nell’esercizio di un diritto ovvero da una posizione garantita e protetta dall’ordinamento giuridico in virtù dell’esistenza di una costituzionalmente riconosciuta posizione soggettiva. In assenza di una simile posizione, e la lettura mi par legittimata da una interpretazione costituzionalmente orientata del diritto penale, non si può affermare che si agisca tutelati dalla guarentigia costituita dalla norma. Vero è che il diritto di cui si richiede esercizio potrebbe sussistere anche in forma putativa, ma altrettanto indiscutibile è che, al fine di verificare ed analizzare se detta forma, consentita per le scriminanti possa dirsi o meno integrata, permane la necessità di effettuare analisi approfondita delle conoscenze e dei saperi, ovvero del probabile elemento psicologico dell’agente. Sussistenza e intensità dell’elemento psicologico possono essere provati anche facendo riferimento alle conoscenze “professionali” dell’agente. Agente che, nel caso di specie, alla luce delle proprie qualità personali e professionali, certamente doveva conoscere i limiti del “diritto”. Ora non pare dubitabile che non sussista nell’ordinamento alcun diritto a richiedere la non adozione di strumenti di tutela della parte al patrona di questa. Anzi, esiste norma di tenore opposto che qualifica quale infedele il patrocinio svolto con simili modalità. Appare acclarata l’inesistenza di un diritto azionabile dal ricorrente proprio in virtù e ragione dell’esistenza di un positivo obbligo giuridico posto in capo alla parte destinataria della proposta di non compiere atti od assumere condotte capaci di diminuire le garanzie e le potenzialità difensive del proprio assistito. Si tratta a ben vedere di una condotta che non è relativa a diritti che le parti hanno sottoposto al giudizio del Giudice ma di una richiesta volta a diminuire le possibilità di difesa di una parte ai fini di non consentire che venga individuata e sanzionata una condotta potenzialmente dotata dei connotati di illiceità. Non v’è chi non veda come la struttura della fattispecie concreta ricalchi in modo indiscutibilmente palese quella della “minaccia” di un male, poi rivelatosi ingiusto, finalizzati all’omissione del compimento di un atto. Inesistente il diritto di richiedere il non esercizio del “diritto” non resta che una fattispecie che appare connotata da quel requisito di antigiuridicità che rende il fatto umano colpevole, meritevole di sanzione. Resta solo da considerare come la fattispecie sarebbe a mio parere integrata anche laddove la condotta di avvicinamento del teste fosse stata veramente ed effettivamente posta in essere dalla controparte posto che la minaccia di renderla pubblica era sempre ed esclusivamente finalizzata ad ottenere una omissione del tutto indebita. La richiesta di inserire a verbale la ricostruzione delle condotte contra legem costituisce diffamazione. Anche sotto questo profilo le affermazioni rese dalla Suprema Corte paiono condivisibili. L’oggetto della dichiarazione inserita a verbale appare concretamente idoneo a gettare disdoro sulla figura professionale del destinatario della medesima. L’atto, o meglio le modalità di divulgazione della notizia, appaiono idonee ed in grado di integrare il necessario requisito della propalazione. La non veridicità dell’assunto, requisito come è noto non richiesta dalla norma incriminatrice, appare concorrere a rendere ancor più evidente la potenzialità aggressiva dello stesso. Pacifica dunque la ricorrenza della fattispecie astratta. La scriminate speciale Il ricorrente invoca l’applicazione della scriminate speciale contenuta nell’articolo 598 del codice sostanziale. La Corte non ritiene sussistenti i requisiti previsti dalla disposizione richiamata posto che l’affermazione effettuata non si pone in quella «posizione di strumentalità con le tesi prospettate nell’ambito di una controversia giudiziaria» che sola rende operante la guarentigia. L’affermazione non appare sotto questo profilo condivisibile posto che, al momento della verbalizzazione l’affermazione poteva, almeno astrattamente, porsi in condizione di «strumentalità» rispetto alle tesi propugnata posto che era finalizzata ad indicare quale non genuina la testimonianza resa da un testimone nell’ambito del procedimento cui il verbale si riferiva. Versandosi in caso di scriminanti, la stessa teoria invocata ai fini di escludere l’esistenza di un diritto atto a giustificare la condotta posta in essere e qualificata quale violenza privata, ovvero la possibile esistenza della scriminante in forma putativa, avrebbe dovuto condurre, a parer mio, la Corte di Cassazione a differente pronuncia in relazione alla specifica contestazione formulata. L’intensità del dolo costituisce indice alla luce del quale valutare la meritevolezza della concessione delle attenuanti generiche. Convincente invece il riferimento, o meglio sarebbe dire il collegamento stretto che la Corte fa tra elemento intenzionale, da leggersi in relazione all’intensità del medesimo, e possibilità di riconoscere la concessione delle attenuanti generiche. Ad un dolo di particolare intensità pare difficile collegare l’esistenza dei requisiti richiesti dalla norma ai fini di dar applicazione al disposto dell’articolo 62 bis . Si tratta, in questo caso, di una diretta e corretta applicazione dei principi dettati dall’articolo 27 Cost. in tema di responsabilità personale, ovvero dir responsabilità penale costruita e dichiarata sulla scorta delle “personali” caratteristiche soggettive dell’agente. Caratteristiche fra le quali, ovviamente primeggia, l’elemento intenzionale.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 giugno – 11 ottobre 2012, numero 40169 Presidente Teresi – Relatore Dubolino Rilevato in fatto - che con l'impugnata sentenza, in conferma di quella di primo grado, F.P.L. fu ritenuto responsabile dei reati di tentata violenza privata capo A e diffamazione capo B , per avere, secondo l'accusa, quale difensore di una parte in una controversia di lavoro, tentato di costringere il difensore della controparte, avv.sa P R. , a rinunciare alla proposizione di una eccezione procedurale sotto minaccia di far altrimenti verbalizzare che essa avv.sa R. aveva avvicinato, insieme alla sua assistita, S.C. , il teste B. , e per avere quindi effettivamente fatto verbalizzare tale circostanza, come asseritamente riferitagli dal B. - che, a sostegno di tale decisione, ritenne, in estrema sintesi, la corte territoriale che la prova della colpevolezza dell'imputato emergesse, essenzialmente, dalle dichiarazioni dell'avv.ssa R. , secondo cui il F. le avrebbe detto testualmente se lei dichiara questo io dirò che lei ha avvicinato un teste , nonché da quelle del teste B. , secondo cui questi, parlando con l'imputato, gli avrebbe riferito di essere stato avvicinato soltanto dalla S. accompagnata, nell'occasione, da una sua cugina risultanze, queste, alla stregua delle quali non sarebbe stata neppure possibile l'invocata applicazione della scriminante dell'esercizio di un diritto e neppure di quella di cui all'articolo 598 c.p - che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione integrato con motivi aggiunti la difesa dell'imputato denunciando 1 violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al confermato giudizio di colpevolezza, sull'assunto, in sintesi e nell'essenziale, che 1/a frutto soltanto di soggettivo convincimento della persona offesa sarebbe stata la minacciosità delle parole a lei rivolte dall'imputato, avendo questo in realtà soltanto inteso anticipare la sua intenzione di portare a conoscenza del giudice quanto in realtà effettivamente verificatosi, e cioè che il B. era stato avvicinato dalla S. in compagnia di un non meglio identificato legale e non quindi, dell'avv.sa R. - 1/b nessuna attitudine ed intento diffamatori vi sarebbero stati nella successiva verbalizzazione di quanto al F. sarebbe stato riferito dal B. , posto che costui avrebbe originariamente dichiarato, all'udienza del 20 giugno 2006, rispondendo a domanda del pubblico ministero di aver in effetti riferito al F. che la S. era venuta a trovarlo insieme al suo legale , cambiando quindi versione, per sostenere di aver riferito che la S. era in realtà accompagnata da una sua cugina, solo a seguito di pressanti domande della pubblica accusa , e dovendosi comunque riguardare come più che ragionevole il convincimento nutrito dal ricorrente che la S. , nella sua visita, si fosse effettivamente fatta l. accompagnare da un legale, fermo restando che non si era comunque voluto in alcun modo sostenere né ciò risultando dal testo della verbalizzazione incriminata che detto legale si identificasse nell'avv.sa R. - 1/c erroneamente sarebbe stata esclusa la sussistenza della invocata scriminante di cui all'articolo 51 c.p., posto che il ricorrente avrebbe in effetti inteso soltanto portare a conoscenza del giudice, come era suo diritto, un fatto realmente avvenuto, e cioè l'approccio del teste B. da parte della S. e della cugina, identificata in M.G. , dipendente di un sindacato, la quale aveva confermato la circostanza - 1/d erroneamente sarebbe stata altresì esclusa, con riguardo alla diffamazione, la scriminante di cui all'articolo 598 c.p., attesa la piena riferibilità dell'affermazione asseritamene lesiva della reputazione della persona offesa all'oggetto della causa in corso 2 violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al confermato diniego delle attenuanti generiche, siccome basato soltanto sull'asserita, particolare intensità del dolo. Considerato in diritto - che, nonostante la data dei commessi reati 15 marzo 2004 gli stessi non possono ancora ritenersi prescritti, atteso che risultano disposti, nel corso delle fasi di merito, rinvii su richiesta della difesa per un totale di giorni 308, per cui la prescrizione verrebbe a maturarsi, tenuto conto della sospensione derivante dai detti rinvii, solo alla data del 19 luglio 2012 - che, ciò premesso, il ricorso non appare meritevole di accoglimento, in quanto a con riguardo al primo motivo - a/1 l'assunto secondo il quale il ricorrente avrebbe espresso all'avv.sa R. soltanto la propria intenzione di rivelare al giudice di aver saputo dal teste B. che questi era stato avvicinato dalla S. , accompagnata da un non meglio identificato legale , da intendersi come persona diversa dall'avv.ssa R. , risulta già sottoposto all'attenzione del giudice d'appello, il quale lo ha disatteso richiamandosi al chiaro ed inequivocabile tenore di quanto dichiarato, in sede dibattimentale, dalla persona offesa, secondo cui il ricorrente si era chiaramente espresso nel senso di voler riferire al giudice che era stata lei ad avvicinare il teste dichiarazione, questa, alla cui intrinseca attendibilità, quale ritenuta dal giudice di merito, non può certo contrapporsi, come invece si fa da parte del ricorrente, il fatto che il verbale di udienza riportasse come affermazione dello stesso ricorrente soltanto quella che la S. si era presentata, in una occasione, insieme al legale , atteso che, all'evidenza, una tale espressione avuto anche riguardo all'uso della preposizione articolata al in luogo di quella che, altrimenti, sarebbe stata più naturale ad un , non poteva che intendersi come riferita a quello che era, al momento, il legale della S. , e cioè l'avv.ssa R. - a/2 l'ulteriore assunto secondo il quale il ricorrente sarebbe stato comunque in buona fede, avendogli il B. a suo tempo riferito di essere stato avvicinato dalla S. accompagnata dal suo legale , secondo quanto da lui stesso dichiarato poi nel corso della sua deposizione testimoniale, il 20 giugno 2006, risulta anch'esso già sottoposto all'attenzione della corte territoriale, la quale lo ha disatteso osservando che dalla deposizione del B. risultava che costui aveva in realtà dichiarato di aver a suo tempo riferito al ricorrente che la S. era accompagnata non da un legale ma da una sua cugina, rimasta, nell'occasione, in silenzio ed a tale osservazione non può validamente contrapporsi, in questa sede, quella, contenuta nel ricorso, che detta dichiarazione era stata resa soltanto a seguito di pressanti domande della pubblica accusa , avendo originariamente il teste parlato invece di accompagnamento della S. da parte del suo legale , giacché, anche ad ammettere che così fosse stato, questo non significherebbe affatto che la dichiarazione in questione fosse necessariamente da considerare mendace o, comunque, meno attendibile della prima, tanto più in quanto quelle che, secondo la difesa del ricorrente, sarebbero state le pressanti domande della pubblica accusa si rivelano, alla semplice lettura del verbale allegato al ricorso, come semplici richieste di chiarimento a fronte del fatto che il B. , dopo aver affermato, già all'inizio della sua deposizione, rispondendo alla prima domanda del pubblico ministero cui si era inserito anche un intervento del giudice , che la S. era venuta a trovarlo in compagnia di una sua cugina, aveva poi in effetti sostenuto, rispondendo ad una successiva domanda circa l'incontro con l'avv. F. , di aver detto a costui che la S. era già venuto a trovarlo in compagnia del suo legale ed aveva quindi spiegato, a fronte appunto di ovvie richieste di chiarimento da parte del pubblica ministero, che in realtà era stato il F. a dirgli, nell'occasione, che non si trattava della cugina della S. ma del suo legale, di cui, peraltro, non aveva fatto il nome - a/3 anche la deduzione circa la pretesa operatività della scriminante di cui all'articolo 51 c.p. risulta già esaminata e correttamente disattesa dal giudice d'appello, sulla scorta della semplice ed ovvia considerazione, basata su di una ricostruzione dei fatti non suscettibile, per quanto sopra illustrato, di censura in questa sede, che quanto prospettato dall'imputato alla persona offesa e da lui poi fatto verbalizzare non rispondeva né verità né a quella che avrebbe potuto essere una sua ragionevole convinzione, avendo egli parlato della pretesa presenza, all'incontro della S. con il B. , non della cugina della donna ma del suo legale - a/4 relativamente, infine, alla causa di non punibilità di cui all'articolo 598 c.p., non appare meritevole di censura quanto osservato dalla corte territoriale, secondo cui sarebbe mancato il necessario nesso logico tra le espressioni offensive rivolte all'avv. R. e l'oggetto della causa di lavoro, vertente tra l'avv. F. e la S. , dovendosi al riguardo ricordare che, secondo quanto affermato nella giurisprudenza di questa Corte, l'operatività della norma in questione richiede che le offese riguardino l'oggetto della causa in modo diretto ed immediato Cass. V, 21 settembre - 15 ottobre 2004 numero 40452, Ummarino ed altro, RV 230063 , ovvero concetto del tutto analogo , siano in rapporto di strumentalità con le tesi prospettate nell'ambito di una controversia giudiziaria condizioni, queste, di cui non può dirsi che risulti in alcun modo dimostrata, nel caso di specie, la sussistenza, essendosi limitata la difesa, nel ricorso, a sostenere che il F. era parte sostanziale nella controversia con la S. e che, come tale, avrebbe avuto interesse all'assunzione come teste del B. , mentre la S. avrebbe avuto l'opposto interesse a non introdurlo nella causa pag. 25 del ricorso il che, oltretutto, rende difficilmente spiegabile quale fosse allora l'interesse del F. a inficiare, in prevenzione, la credibilità del B. con il rivelare il preteso contatto che egli avrebbe avuto con l'avvocato di controparte b con riguardo al secondo motivo, lo stesso si esaurisce nella sterile contrapposizione, all'elemento costituito dalla ragionevolmente ritenuta intensità del dolo , correlata anche alla qualità di avvocato rivestita dal ricorrente, cui la corte territoriale aveva tatto riferimento, per giustificare la mancata concessione delle attenuanti generiche, di altri elementi che, solo nella rispettabile, ma soggettiva valutazione della difesa avrebbero dovuto assumere prevalente rilievo vale a dire lo stato di incensuratezza dell'imputato e quella che sarebbe stata ma non si spiega in che senso , la impeccabile condotta da lui tenuta nel corso del processo, cui si aggiunge il richiamo all'asserita esistenza di circostanze che avrebbero dovuto far nascere in chiunque il sospetto che effettivamente la S. si fosse recata presso il B. in compagnia di un avvocato elemento, quest'ultimo, che ben poco ha a che vedere però con la concedibilità o meno delle attenuanti generiche, riguardando esso soltanto, in realtà, la configurabilità o meno del reato, sotto il profilo soggettivo, in capo all'imputato, a proposito della quale valgono, ovviamente, le considerazioni esposte con riferimento al primo motivo di ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.