A chi spetta il potere di rappresentanza nei partiti politici?

E' tipico delle questioni processuali che giungono all'attenzione della Cassazione il fatto che poi si discuta di tutt'altro rispetto a quello che è l'oggetto della causa di primo grado.

Così, infatti, anche per la sentenza della Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, n. 14110 del 4 giugno 2013 in teoria” la causa verterebbe sul diritto dell'avvocato a essere retribuito dal partito politico, nel caso di attività prestata a favore di alcune centinaia di aziende in contenziosi amministrativi gerarchici e giurisdizionali su mandato asseritamente conferito dal partito all'avvocato. Sia in primo che in secondo grado e per la verità anche nel giudizio di legittimità la richiesta viene respinta con la motivazione che non risulta prova del conferimento del mandato al legale da parte del partito politico. Ma la questione giuridica più interessante dibattuta in Cassazione riguarda un aspetto diverso, ovvero la pretesa carenza di poteri di rappresentanza in capo al procuratore generale del partito. Il mandato conferito dal segretario come mandato generale ad negotia. Sostiene la difesa del professionista che il procuratore generale nominato dal segretario federale della Lega Nord fosse privo, al momento del conferimento del mandato agli avvocati, del potere di rappresentanza in quanto non munito delle delibere autorizzative degli organi del partito. In realtà, la corte d'appello, prima, e la Corte di Cassazione, poi, hanno rigettato la relativa eccezione sul presupposto che la procura generale conferita al procuratore generale rappresentava un mandato di natura sostanziale 'ad negotia' attributivo di poteri sostitutivi dei quelli del rappresentato dal quale, autonomamente, derivavano le prerogative delegate, indipendentemente dall'adozione preventiva di delibere autorizzative . Il punto è che tali delibere autorizzative, per quanto previste dallo statuto del partito, hanno una mera rilevanza interna, dal momento che, trattandosi per l'appunto di un mandato generale ad negotia , si deve ritenere che le prerogative delegate derivino automaticamente dall'assegnazione al mandatario dell'esercizio dei poteri sostitutivi. Gli Ermellini hanno ritenuto quindi corretta la decisione del giudice d'appello nel ritenere che il rilascio del mandato generale alle liti implicasse un potere dispositivo di natura sostanziale esulante dal ristretto ambito della procura alle liti, in considerazione dell'ampia gamma delle facoltà dettagliatamente attribuite con il conferimento . A chi spetta il potere di rappresentanza nei partiti politici? Nell'argomentare i giudici di legittimità ricordano il loro precedente Cass. n. 14766/07 secondo cui il potere di rappresentanza processuale, con annessa facoltà di conferire la procura alle liti al difensore, non può mai essere attribuito disgiuntamente dal potere di rappresentanza sostanziale . In ogni caso, va detto che nel corso del giudizio di secondo grado era stata prodotta la delibera del partito con cui era stato ratificato l'operato del procuratore generale, con ciò superandosi la questione, visto che la regolarizzazione della costituzione in giudizio produce effetti ex tunc e non soggiace ai limiti delle preclusioni derivanti da decadenze processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 febbraio - 4 giugno 2013, n. 14110 Presidente Felicetti – Relatore Carrato Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato l'8 aprile 2005 il Partito della Lega Nord, in persona del Segretario federale pro tempore, proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal giudice designato del Tribunale di Bologna su ricorso dell'Avv. P.F. per l'importo di Euro 2.032.432,98, a titolo di competenze professionali assunte come vantate dall'istante. Con il formulato atto di opposizione il suddetto Partito deduceva che analogo procedimento monitorio era stato instaurato presso altro Tribunale con riferimento alle medesime causali, ovvero per la richiesta di onorari relativi alle prestazioni rese a favore di alcune centinaia di aziende agricole in contenziosi amministrativi gerarchici e giurisdizionali nell'ambito di rivendicazioni di categoria a cui il predetto professionista era rimasto estraneo, poiché esso opponente non aveva mai conferito all'ingiungente alcun incarico professionale, dal momento che, per converso, i mandati erano stati rilasciati in suo favore dagli agricoltori interessati, con il conseguente difetto di legittimazione passiva dell'ingiunto. Nella costituzione dell'opposto che formulava varie eccezioni processuali, ivi inclusa quella di supposto difetto di ius postulandi in capo al difensore dell'opponente , il Tribunale adito, con sentenza n. 1398 del 2008, previa reiezione delle questioni pregiudiziali di rito avanzate dal professionista opposto, accoglieva l'opposizione formulata dal Partito della Lega Nord e, per l'effetto, revocava l'impugnato decreto ingiuntivo , sul presupposto che non era risultato conferito alcun mandato all'Avv. P. dal menzionato Partito o da suoi rappresentanti a tanto legittimati, quale il sig. R.G. evocato in giudizio quale terzo dall'opponente e rimasto, peraltro, contumace . Interposto appello da parte dell'Avv. P. riferito a tre motivi e nella resistenza del Partito appellato oltre che nella persistente contumacia del R. , la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 1054 del 2010 depositata il 23 settembre 2010 , rigettava il gravame e condannava l'appellante alla rifusione anche delle spese del secondo grado. A sostegno dell'adottata decisione, la Corte territoriale felsinea riteneva, in primo luogo, infondate le doglianze riguardanti la pretesa carenza di poteri di rappresentanza in capo al procuratore generale nominato dal segretario federale della Lega Nord trattandosi di mandato di natura sostanziale generale ad negotia ed alla conseguente assunta illegittimità dell'attribuzione, al nominato procuratore generale, del potere di rappresentanza processuale oltre che alla connessa facoltà di conferire la procura al difensore da ritenersi, invece, validamente assegnati anche con mero riferimento ad una categoria omogenea di affari, come era accaduto nella fattispecie . Quanto al merito dei motivi dedotti a fondamento dell'appello, la Corte emiliana rilevava l'assenza della prova necessaria per l'accertamento del rilascio del mandato professionale in relazione al quale i compensi azionati in via monitoria sarebbero, in ipotesi, spettati all'Avv. P. , rilevandosi l'inconferenza della copiosa produzione documentale inerente l'attivismo della forza politica orientato alla promozione di rivendicazioni collettive di categoria nonché l'irrilevanza dell'articolata prova orale. Avverso la suddetta sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione l'Avv. F P. , basato su otto motivi, avverso i quali si è costituito in questa fase con controricorso il Partito della Lega Nord. I difensori del ricorrente hanno anche depositato memoria illustrativa ai sensi dell'art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente principale ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 83 e 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 4 c.p.c., nonché il difetto di motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. , avuto riguardo al rigetto della doglianza riguardante la carenza di poteri di rappresentanza in capo al procuratore generale nominato dal Segretario federale della Lega Nord, sul presupposto che, nella specie, si trattava di mandato di natura sostanziale generale ad negotia attributivo di poteri sostitutivi di quelli del rappresentato dal quale, autonomamente, derivavano le prerogative delegate, indipendentemente dall'adozione preventiva di delibere autorizzative per come stabilito dallo statuto del suddetto Partito. In particolare, con tale motivo, il ricorrente ha inteso denunciare che, diversamente dal quanto ritenuto dalla Corte territoriale, l'Avv. M B. al quale era stata conferita la contestata procura generale , proponendo l'opposizione in nome e per conto del Partito della Lega Nord aveva agito in totale difetto di mandato non essendogli stati attribuiti propriamente poteri di rappresentanza sostanziale, siccome, peraltro, subordinati all'autorizzazione dell'organo del Consiglio Federale, alla stregua delle previsioni statutarie , con inefficacia od inesistenza del mandato dallo stesso conferito, a sua volta, agli avvocati Ba. e F. , con la conseguente inesistenza o nullità assoluta dell'atto di opposizione, come tale insanabile, che si rifletteva sulla costituzione del Segretario federale del suddetto Partito in appello, rendendola irrilevante. 1.1. Rileva il collegio che il motivo è da ritenersi infondato e deve, pertanto, essere rigettato. Con motivazione logica ed adeguata la Corte territoriale, sulla base dell'esame e dell'interpretazione complessiva del mandato generale alle liti conferito all'Avv. M B. con il quale allo stesso era stato legittimamente riconosciuto anche il potere di nominare altri procuratori o sostituti processuali con gli stessi o più limitati poteri cfr. Cass., S.U., n. 24179 del 2009 dal segretario nazionale del Partito della Lega Nord, on. Bo.Um. quale legale rappresentante pro tempore di detta associazione non riconosciuta, legittimato a tanto anche in relazione al disposto generale di cui all'art. 36 c.c. cfr. Cass. n. 17921 del 2007 , ha ritenuto che tale procura involgesse anche l'attribuzione di un mandato di natura sostanziale generale ad negotia , tale da legittimare all'assegnazione al mandatario dell'esercizio di poteri sostitutivi del mandante da cui derivavano autonomamente le prerogative delegate, indipendentemente dal preventivo rilascio di delibere autorizzative di organi del predetto Partito aventi, peraltro, una mera rilevanza interna . A tal proposito, la Corte bolognese, riconfermando sul punto il percorso logico seguito dal primo giudice, ha congruamente rilevato che il rilascio del mandato generale alle liti dedotto in controversia, al di là del mero tenore formale della rubricazione, implicasse un potere dispositivo di natura sostanziale esulante dal ristretto ambito della procura alle liti, in considerazione dell'ampia gamma delle facoltà dettagliatamente attribuite con il conferimento - tra gli altri - anche del potere di rispondere all'interrogatorio formale, di rimettere querele e, comunque, con promessa di rato e valido , in tal modo assegnando al mandatario una sorta di legittimazione sostitutiva essenzialmente piena. Del resto, nel ricostruire la suddetta procura generale in tali termini, la Corte di merito si è conformata alla più incisiva giurisprudenza di questa Corte sulla questione v. Cass. n. 14766 del 2007 per opportuni riferimenti v., anche, Cass., S.U., n. 4666 del 1998 , ad avviso della quale il potere di rappresentanza processuale, con la connessa facoltà di conferire la procura alle liti al difensore, non può mai essere attribuito disgiuntamente dal potere di rappresentanza sostanziale, specificandosi, altresì, che il conferimento di tale potere di rappresentanza sostanziale non esige, peraltro, la previa individuazione dei rapporti controversi che ne formano l'oggetto, ma può validamente essere attribuito con riferimento ad un coacervo di rapporti omogenei e litigiosi. Pur volendo prendere in considerazione la connessa censura del ricorrente in ordine alla supposta necessità, secondo le clausole statutarie, della preventiva deliberazione del Consiglio Federale in favore del segretario generale del predetto Partito, occorre evidenziare che, in ogni caso, l'indicata delibera del suddetto organo del Partito in data 23 giugno 2008 , relativa alla sopravvenuta ratifica della procura generale alle liti in contestazione, è stata ritualmente prodotta nel corso del giudizio di secondo grado, in tal senso facendo venir meno ogni questione afferente la legittimazione a stare in giudizio del Partito della Lega Nord,con la conseguente regolarizzazione della relativa costituzione in giudizio, la quale - secondo gli indirizzi più recenti della giurisprudenza di legittimità v. Cass., S.U., n. 9217 del 2010 Cass. n. 17683 del 2010 e Cass. n. 20052 del 2010 riferiti all'alveo di applicabilità dell'ari 182, comma 2, c.p.c. ratione temporis vigente – produce la sanatoria del vizio appunto verificabile in ogni stato e grado del giudizio, salvo il giudicato , indipendentemente dalle cause del predetto difetto e con efficacia ex tunc , senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali. 2. Con il secondo motivo l'Avv. P. ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 48, 298 e 307 c.p.c. quanto ai giudizi di opposizione già pendenti in Lamezia Terme avverso i decreti ingiuntivi nn. 259/00 e 229/02 nonché degli artt. 1988 e 2909 c.c., 647 c.p.c. con riferimento al decreto ingiuntivo n. 199/02 avente ad oggetto sempre l'unico rapporto negoziale dedotto in controversia , il tutto in relazione all'art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. ed avuto riguardo alla supposta formazione del giudicato in relazione agli indicati decreti monitori riferiti al medesimo rapporto sostanziale e dichiarati definitivamente esecutivi ai sensi del citato art. 647 del codice di rito. 2.1. Anche questo motivo si prospetta infondato e non merita, perciò, accoglimento. In termini essenziali, con tale doglianza, il ricorrente ha inteso lamentare che la Corte felsinea aveva illegittimamente disatteso i profili attinenti alla allegata sussistenza di una ipotesi di continenza, litispendenza o pregiudizialità con le altre cause di opposizione a decreto ingiuntivo, omettendo di valutare i rapporti fra i vari giudizi pendenti, malgrado la dedotta emergenza di un unico rapporto negoziale. L'Avv. P. ha assunto, inoltre, la mancata pronuncia sulle asserite estinzioni dei giudizi di opposizione ai decreti n. 259/00 e n. 229/02 oltre che sugli effetti del giudicato prodotti in relazione al decreto ingiuntivo opposto nella controversia in questione, alla stregua dello stesso rapporto di connessione tra gli stessi intercorrente. In particolare, il ricorrente ha sostenuto che la Corte territoriale avrebbe omesso di rilevare gli effetti di giudicato nel giudizio a cui si riferiva la sentenza impugnata, conseguenti alla formazione della cosa giudicata in ordine al decreto ingiuntivo n. 199/02, sul presupposto che quest'ultimo era stato dichiarato definitivamente esecutivo. Ciò posto, rileva il collegio, in primo luogo, che, sul punto prospettato con il motivo in esame, la Corte di appello si era limitata, nella sentenza qui impugnata riferita al giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo n. 865/05 emesso dal Tribunale di Bologna , a dare atto che il primo giudice aveva disatteso gli eccepiti profili di continenza, litispendenza e pregiudizialità per diversità della materia del contendere sottoposta al giudizio del Tribunale di Lamezia Terme, senza, peraltro, riesaminare direttamente tali aspetti, siccome gli stessi non avevano formato oggetto di una specifica censura in sede di gravame. Tuttavia, avendo il ricorrente riproposto l'eccezione da intendersi, oltretutto, non in senso propriamente tecnico cfr. Cass., S.U., n. 226 del 2001 Cass., S.U., n. 24664 del 2007 e, da ultimo, Cass. n. 12159 del 2011, ord. di asserito giudicato in ordine al fatto del conferimento del mandato professionale nei suoi riguardi da parte del Partito della Lega Nord in conseguenza della prospettata estinzione dei giudizi di opposizione ai citati decreti ingiuntivi nn. 259/00 e 229/02, occorre farsi carico di essa con la derivante legittimità dell'accesso diretto agli atti processuali nella presente sede di legittimità, poiché - per giurisprudenza di questa Corte ormai consolidata - l'eventuale esistenza di un giudicato, anche esterno, è deducibile oltre che rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado, senza che, al riguardo, sia riscontrabile una violazione dei principi del giusto processo v. Cass., S.U., n. 13916 del 2006 Cass. n. 26041 del 2010 e la cit. ord. n. 12159 del 2011 . Orbene, al di là della circostanza che sarebbe stato onere del ricorrente riscontrare adeguatamente la sussistenza dei presupposti per l'estensione degli effetti del supposto eccepito giudicato esterno riconducibile ai due indicati decreti monitori sulla domanda oggetto del giudizio definito con la sentenza impugnata in questa sede avuto riguardo alla necessaria dimostrazione dell'identità del petitum tra le cause in questione e, quindi, della medesimezza della materia del contendere, già esclusa dal giudice di primo grado nella controversia in esame , dall'analisi degli atti processuali prodotti non si evince che i due decreti ingiuntivi nn. 259/00 e 229/02 siano divenuti definitivamente esecutivi. Infatti, i due decreti monitori appena richiamati risultano - per quanto emergente dalle due allegate sentenze del Tribunale di Milano nn. 9164 del 2010 e 9166 del 2010 dinanzi al quale era avvenuta la riassunzione dei giudizi - essere stati annullati a seguito delle due ordinanze di cancellazione delle cause dal ruolo disposte dal Tribunale di Lamezia Terme, a seguito dell'accordo derogatorio della competenza territoriale manifestato dalle parti sulla necessità della revoca e, quindi, della caducazione in tal caso dei decreti ingiuntivi opposti, v. Cass. n. 6106 del 2006 e, per opportuni riferimenti, Cass. n. 14594 del 2012, ord., con la quale è stato evidenziato che la dichiarazione di incompetenza del giudice che ha emanato il decreto ingiuntivo comporta, oltre all'accoglimento in rito dell'opposizione, anche la caducazione per nullità del decreto opposto, la quale rappresenta una conseguenza necessaria della quale non possono disporre né il giudice, dichiaratosi per l'appunto incompetente, né le parti del giudizio . Pertanto, in virtù di tale evento processuale sopravvenuto dinanzi al Tribunale calabrese, con l'avvenuta riassunzione tempestiva attestata anche nelle riportate sentenze del Tribunale di Milano dinanzi al giudice ritenuto concordemente competente, deve ritenersi che la prosecuzione dei giudizi non concerneva più le cause di opposizione, ormai definite, ma soltanto le cause relative alle pretese azionate dal creditore, ragion per cui il giudice ad quem era tenuto ad interpretare le domande contenute negli atti di riassunzione esclusivamente come dirette ad investirlo della disamina delle azioni di cognizione ordinaria sulle pretese del professionista asseritosi creditore e sulle altre eventualmente introdotte cfr. Cass. n. 16755 del 2009, ord., e, da ultimo, Cass. n. 16762 del 2012, ord. . Ed in tali sensi si è pronunciato il Tribunale di Milano nelle due menzionate sentenze, con le quali aveva accertato e dichiarato che le pretese creditorie azionate nei due giudizi dal convenuto in riassunzione avv. P. nei confronti del Partito della Lega Nord erano infondate e, pertanto, da rigettare con conseguente condanna del professionista alle spese giudiziali, anche ai sensi dell'art. 96 c.p.c. . In proposito, deve, altresì, rilevarsi l'infondatezza della tesi sostenuta dal ricorrente in relazione alla supposta intempestività delle intervenute riassunzioni, poiché risulta che esse, correttamente per come ritenuto dallo stesso Tribunale di Milano , furono esperite nel termine di tre mesi decorrenti dall'emissione dei provvedimenti di cancellazione delle cause dal ruolo costituendone il presupposto imprescindibile , rispettando il disposto previsto dall'art. 38, comma 2, c.p.c. cfr., per riferimenti, Cass. n. 913 del 1995 e, in generale, sulla decorrenza della riassunzione della causa di cognizione, Cass. n. 10796 del 2003 e Cass. n. 30432 del 2011, ord. , essendo emerso, altresì, che il ricorso per cassazione formulato avverso detti provvedimenti fu dichiarato inammissibile. Né ha alcuna diretta influenza, nella controversia in questione, l'intervenuta emanazione della sentenza n. 622 del 2008 del Tribunale di Lamezia Terme con la quale fu dichiarata l'inammissibilità dell'opposizione tardiva avanzata dal Partito della Lega Nord avverso il decreto ingiuntivo n. 199/2002 che inerisce un diverso titolo , dal momento che, ex actis , risulta, allo stato, che l'efficacia esecutiva di detta sentenza è stata sospesa dalla Corte di appello di Catanzaro, con provvedimento depositato il 14 novembre 2008. Pertanto, alla stregua delle complessive argomentazioni esposte e dei riscontri documentali globalmente emersi, deve ritenersi che non risulta provata l'eccezione di giudicato formulata nell'interesse del ricorrente e, quindi, la propagazione dei suoi effetti sul giudizio definito con la sentenza di appello in questa sede impugnata . 3. Con il terzo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata condizionatamente al rigetto delle prime due esaminate doglianze per la supposta violazione dell'art. 295 c.p.c. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., in ordine alla mancata sospensione del giudizio malgrado la contemporanea pendenza degli altri giudizi, attinenti allo stesso oggetto sostanziale, dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme. 3.1. Il motivo si prospetta inammissibile perché afferisce ad una questione di rito nuova che non ha formato oggetto dei precedenti gradi di merito né risulta che sia stata specificamente proposta con l'atto di appello, il cui esame è consentito anche in questa sede alla stregua della natura processuale della formulata doglianza. Infatti, dal gravame avanzato nell'interesse dell'Avv. P. emerge che lo stesso ebbe a fondare l'impugnazione su quattro motivi di cui i primi tre formulati in via principale e l'ultimo in linea subordinata . In particolare, il primo motivo involgeva la censura prospettata come prima doglianza con il ricorso in discorso, ovvero la supposta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto sussistenti poteri di rappresentanza sostanziale in capo all'Avv. M B. che aveva rilasciato procura alle liti all'opponente Partito della Lega Nord, con consequenziale inammissibilità dell'opposizione proposta il secondo motivo ineriva l'asserita nullità della sentenza di prime cure per omessa valutazione degli elementi di fatto già posti a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, congiuntamente alla prospettazione di una motivazione apparente, illogica e contraddittoria il terzo riguardava la supposta nullità della sentenza di prima istanza per omessa fissazione dell'udienza ex art. 184 c.p.c. e per essere stata pretermessa e impedita la fase istruttoria doglianza, peraltro, riproposta in questa sede con il settimo motivo del ricorso, che sarà successivamente affrontato il quarto ed ultimo motivo proposto in estremo subordine concerneva l'assunta nullità della sentenza di primo grado per mancata rimessione sul ruolo della causa in presenza di fatti sopravvenuti nelle more e determinanti una diversa disciplina giuridica della fattispecie quanto alla dedotta eccezione di difetto di legittimazione processuale dell'opponente Partito e, in subordine, agli effetti legali di giudicato da farsi valere nello stesso giudizio . Nelle stesse conclusioni dell'atto di appello l'attuale ricorrente si era limitato ad invocare l'annullamento della sentenza appellata per i riportati motivi, con la dichiarazione che l'opposizione a decreto ingiuntivo n. 865 del 2005 proposta dal Partito della Lega Nord, come rappresentato dall'Avv. B.M. , era inammissibile e/o improcedibile per difetto di legittimazione processuale del medesimo e, in subordine, nel merito, previa eventuale ammissione dei mezzi istruttori specificati nello stesso atto di appello, l'annullamento della sentenza impugnata e l'accoglimento della domanda di cui al ricorso monitorio, formante parte integrante del gravame, con vittoria delle spese del doppio grado di giudizio. Pertanto, alla stregua del petitum complessivamente devoluto in appello e per quanto emergente dalla stessa sentenza di secondo grado, non risultava essere stata proposta una specifica doglianza attinente all'invocata sospensione, ragion per cui essa non può ritenersi ammissibile in questa sede. Deve, perciò, ribadirsi il principio in base al quale, nel giudizio di cassazione, è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni non abbiano formato oggetto di gravame o di contestazione nel giudizio di appello condizioni queste ultime non verificatesi nella fattispecie . 4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 1393, 1706 e segg. e 2729 c.c. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c. , in ordine all'omessa considerazione, da parte della Corte bolognese, delle dichiarazioni del sen. R. e dei ritenuti univoci riconoscimenti dallo stesso operati con riguardo al rapporto intercorso tra lo stesso Avv. P. ed il Partito della Lega Nord con riferimento all'oggetto dedotto in giudizio. 4.1. Ritiene il collegio che questa censura è priva di fondamento e deve, pertanto, essere disattesa. Nella sentenza impugnata, dopo aver posto riferimento al ruolo del Partito della Lega Nord nell'assunzione di iniziative politiche a livello locale e nazionale per la tutela delle categoria di imprenditori agricoli interessati al c.d. crac Federconsorzi , la Corte territoriale, nell'esercizio dell'autonomo potere di valutazione probatoria conferitole dall'art. 116 c.p.c., ha sufficientemente giustificato la sua decisione escludendo che il sen. R. il quale aveva cessato la carica di parlamentare fin dal 1995 potesse aver conferito il mandato all'Avv. P. nell'interesse della Lega Nord, per la quale si era, invece, attivato sul piano politico e sindacale o, comunque, per altre attività giudiziarie che esulavano dalle prestazioni oggetto della richiesta monitoria. A tal proposito, la Corte distrettuale ha, in modo pertinente, evidenziato che dalla ingente produzione documentale acquisita agli atti del processo non era emersa alcuna prova diretta di tale conferimento di mandato da parte del sen. R. , nel mentre sarebbe stato necessario, in merito, allegare e documentare tale circostanza mediante la prova scritta relativo al rilascio del mandato professionale in ordine al quale i compensi azionati in via monitoria sarebbero in ipotesi spettati ragion per cui le prove orali relative alle circostanze del ruolo svolto dal sen. R. nei sensi appena precisati si sarebbero rivelate inammissibili, quanto meno per difetto di rilevanza rispetto al concreto oggetto del giudizio e alla indispensabilità dell'acclaramento documentale del conferimento del suddetto mandato . Del resto risulta pacifico - per quanto emergente dagli atti processuali e per ciò che è rimasto accertato all'esito dell'esame del primo motivo - che la rappresentanza legale di fronte ai terzi e in giudizio spettava al solo Segretario federale del Partito della Lega Nord, che, in tale qualità, aveva conferito la procura generale oggetto della censura mossa con la prima doglianza. Oltretutto, l'impostazione processuale adottata dal ricorrente appare - per certi versi - contraddittoria, poiché, da un lato come dedotto con il primo motivo ha eccepito la carenza di poteri rappresentativi e processuali in capo all'Avv. B. e dei legali dallo stesso nominati in virtù della procura generale rilasciatagli dal Segretario federale del Partito ratificata successivamente anche dal Consiglio federale e, dall'altro lato, in modo quanto meno incoerente, ha sostenuto che il conferimento dell'incarico da parte della Lega Nord non potesse derivare da una procura rilasciata dal legale rappresentante del Partito o da una delibera dello stesso Consiglio federale , ma dal sen. R. al quale intenderebbe riconoscere l'attribuzione di una rappresentanza del partito che, per statuto, spettava al solo on. Bo. , quale segretario federale della Lega Nord. Inoltre, sul piano strettamente giuridico, occorre rimarcare che - secondo l'indirizzo costante della giurisprudenza di questa Corte cfr., ad es., Cass. n. 1244 del 2000 Cass. n. 24010 del 2004 Cass. n. 4489 del 2010 e, da ultimo, Cass. n. 4959 del 2012 - ai fini di individuare il soggetto obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore, occorre distinguere tra rapporto endoprocessuale nascente dal rilascio della procura ad litem e rapporto che si instaura tra il professionista incaricato ed il soggetto che ha conferito l'incarico, il quale può essere anche diverso da colui che ha rilasciato la procura, con la conseguenza che, in tal caso, chi agisce per il conseguimento del compenso ha l'onere di provare il conferimento dell'incarico da parte del terzo, dovendosi, in difetto dell'assolvimento di tale onere probatorio come accaduto nella fattispecie in virtù degli adeguati accertamenti di fatto operati dalla Corte territoriale , presumere che il cliente sia colui che ha rilasciato la procura e, nel caso in esame, non è comunque emerso che fosse stato il Partito della Lega Nord a conferire la procura al ricorrente per le controversie dedotte in via monitoria, per le cui prestazioni era stato richiesto il pagamento dei compensi professionali . 5. Con il quinto motivo il ricorrente ha prospettato la violazione dell'art. 2384 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., con riferimento alla reiezione della domanda di affermazione della responsabilità del Partito della Lega Nord in ordine alle eventuali obbligazioni assunte da persone diverse dal Segretario federale, dovendosi rilevare l'applicabilità, anche nei confronti delle associazioni non riconosciute, delle disposizioni relative alle società. 5.1. Anche questo motivo si profila inammissibile perché - alla stregua di quanto evidenziato con riferimento al terzo motivo e sulla scorta delle doglianze complessivamente dedotte in appello e della portata contenutistica della sentenza di secondo grado - investe uni questione del tutto nuova, che non può, quindi, essere esaminata per la prima volta nella presente sede di legittimità. 6. Con il sesto motivo il ricorrente ha denunciato in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c. la violazione degli artt. 1189 e 1393 c.c., nonché - in ordine all'art. 360 n. 5 c.p.c. - il vizio di omessa pronuncia e difetto di motivazione sulla tutela dell'affidamento e sull'apparenza alla luce degli univoci e concordanti elementi di fatto richiamati nei due precedenti motivi con riferimento all'attività espletata dal sen. R. per conto e nell'interesse del Partito della Lega Nord. 6.1. Ritiene il collegio che anche questa censura è da dichiarare inammissibile perché, con essa, risulta direttamente introdotto un tema di indagine nuovo in questa sede processuale, che non può, perciò, essere qui vagliato. 7. Con il settimo motivo il ricorrente ha dedotto, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., l'omessa pronuncia ed erroneità della sentenza impugnata per mancata fissazione dell'udienza ex art. 184 c.p.c. e per essere stata pretermessa ed impedita la fase istruttoria, avuto riguardo alla ritenuta inammissibilità, da parte della Corte territoriale, per difetto di rilevanza degli argomenti capitolati per le prove orali siccome tese a fondare in via meramente induttiva il presupposto, invece, unicamente dimostrabile mediante atto sottoscritto dal patrocinato ed autenticato dallo stesso legale incaricato ed essendo risultato che lo stesso ricorrente, all'udienza ex art. 183 c.p.c., aveva esplicitamente chiesto al giudice di procedere direttamente alla fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni ai fini dell'accoglimento delle eccezioni preliminari senza deduzioni istruttorie. 7.1. Questa censura è priva di pregio e deve essere disattesa. Oltre a richiamare quanto già evidenziato in risposta al quarto motivo, occorre porre in risalto che la Corte territoriale, oltre a ravvisare l'irrilevanza delle prove orali dedotte nell'interesse dell'Avv. P. sulla scorta delle considerazioni già precedentemente richiamate in relazione al ricordato 4 motivo , ha attestato che il difensore del ricorrente, nell'ambito del giudizio di primo grado, all'udienza ex art. 183 c.p.c., aveva instato per la immediata fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni anche ai fini del presumibile ed auspicato accoglimento delle eccezioni pregiudiziali e preliminari sollevate senza formalizzare le deduzioni istruttorie, ragion per cui il giudice istruttore aveva legittimamente provveduto in conformità sulla base, perciò, della stessa richiesta del patrono dell'Avv. P. , che, pertanto, aveva inteso implicitamente rinunciare all'esercizio della facoltà di articolare mezzi istruttori , senza che da tale condotta processuale adottata dal Tribunale monocratico potesse discendere un effetto comportante la nullità degli atti processuali conseguenti. Questa ricostruzione operata dalla Corte bolognese risponde alla ratio e alla impostazione sistematica del giudizio di civile di primo grado disciplinato dalla legge novellatrice del codice di rito n. 353 del 1990 ratione temporis applicabile, ma la soluzione non cambia anche con riferimento alla nuova disciplina dell'art. 183 c.p.c., come introdotta dalla legge n. 80 del 2005 e succ. modif. ed integr., che ha, sostanzialmente, accorpato le previsioni dei pregressi artt. 183 e 184 c.p.c. , secondo cui, qualora il giudice, al termine della prima udienza di trattazione, in difetto della proposizione di istanze istruttorie o di ulteriori richieste probatorie rispetto a quelle formulate fin dagli atti introduttivi ed in mancanza della istanza di assegnazione del termine di cui all'art. 184, comma 1, c.p.c. ora art. 183, comma 7, c.p.c. , avesse rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni senza fissare, in proposito, un'apposita udienza per le deduzioni istruttorie, non prevista obbligatoriamente dalle disposizioni processuali applicabili, restava definitivamente sancita la decadenza delle parti dal potere di formulare ulteriori richieste istruttorie. In altri termini cfr., specificamente, Cass. n. 16751 del 2002 , nel processo regolato dal rito introdotto con la legge n. 353 del 1990 ma tale principio è applicabile anche a seguito della novellazione, intervenuta nel 2005, degli artt. 183 e 184 c.p.c. , qualora, a chiusura dell'udienza di trattazione, in difetto di istanze istruttorie, il giudice avesse rinviato ad altra udienza per rassegnare le conclusioni nella specie, peraltro, sollecitata proprio dal difensore del professionista opposto , egli non avrebbe potuto revocare tale ordinanza all'udienza di precisazione delle conclusioni, ammettendo le prove solo in quella sede formulate, in quanto si era già prodotta la preclusione istruttoria, ed il potere di revoca e modifica delle ordinanze, previsto dall'art. 177 c.p.c., non era esercitabile al fine di rendere inoperante una decadenza già verificatasi, perché di essa neppure il giudice avrebbe potuto disporre. 8. Con l'ottavo ed ultimo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in ordine all'art. 360, nn. 3,4 e 5, c.p.c. , con riferimento all'illegittima condanna alle spese pronunciata a suo carico, senza tener conto né di tutte le eccezioni formulate né del particolare andamento complessivo del giudizio. 8.1. Anche quest'ultima censura è destituita di fondamento e, perciò, deve essere respinta, avendo il giudice di appello applicato legittimamente il principio della soccombenza peraltro, nella specie, totale a carico dell'appellante. Del resto la Corte territoriale si è conformata sul punto ai principi predicati dalla giurisprudenza di questa Corte, in base ai quali si configurerebbe la violazione del precetto di cui all'art. 91 c.p.c. costituente anche un'applicazione del principio di causalià - che impone di condannare la parte soccombente al pagamento totale delle spese giudiziali, salvi i casi di compensazione totale o parziale delle stesse, come consentito dal successivo art. 92 c.p.c. - ogni qualvolta il giudice ponesse, anche parzialmente, le spese di lite a carico della parte risultata totalmente vittoriosa. Oltretutto, in materia di spese processuali, l'identificazione della parte soccombente è rimessa al potere decisionale del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, con l'unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa. 9. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 applicabile nel caso di specie in virtù dell'art. 41 dello stesso D.M. cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 25.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.