Salva la posizione dell’uomo, condivisa la linea del Gup, che aveva legato le condotte anche alla problematica situazione familiare. Respinta l’istanza della madre, costituitasi parte civile, ma resta la possibilità di valutare diverse, ulteriori fattispecie di reato.
Come educare i propri figli? Pure ricorrendo alle maniere forti? Oggi più che mai, i confini della legalità, in questa materia, si sono fatti labili, come raccontano, spesso, le cronache. Alle volte, però, i giudici vanno controcorrente, stabilendo – come da sentenza della Cassazione, numero 34978/2012, Sesta Sezione Penale, depositata oggi – che un calcio nel sedere della figlia non può portare a contestare al padre il reato di maltrattamenti in famiglia. Separazione in corso. A indicare questa linea era già stato il Giudice dell’udienza preliminare, che, valutando i fatti, aveva chiarito che gli episodi ‘incriminati’, ossia «offese, minacce e un calcio nel sedere», seppure «censurabili», non erano «espressione di una volontà di sottoporre a sofferenze fisiche o morali». Piuttosto, andava valutato, con attenzione, «il profondo stato di disagio in cui si trovava» il padre per la «separazione dalla moglie», e il fatto che «la bambina viveva abitualmente con la madre e solo saltuariamente aveva passato momenti di incontro con il padre». Nessun addebito possibile, quindi, secondo il Gup, nei confronti dell’uomo, anche per le difficoltà vissute a seguito della separazione. Ricatalogare. A contestare la pronuncia positiva per l’uomo è la madre della bambina. Ella, costituitasi parte civile, sceglie il ricorso per cassazione, e, tramite il proprio legale, evidenza alcuni elementi che, a suo avviso, andrebbero nuovamente presi in considerazione. Più in dettaglio, la certezza delle condotte tenute dall’uomo, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, e la mancata considerazione dell’ipotesi dell’«abuso dei mezzi di correzione e disciplina». Decisivo, secondo il legale, poi è anche «lo stato di ansia» vissuto dalla bambina, che «non gradiva restare sola durante la notte con il padre» evidente la malattia, in questa ottica, provocata dalle condotte del padre come la costrizione a «scrivere una lettera» per far dire alla bambina di «volere recarsi in vacanza col padre» . Per i giudici della Cassazione, però, l’ottica utilizzata dal Gup è condivisibile gli episodi di prevaricazione nei confronti della bambina erano «sporadici, non contraddistinti dal carattere dell’abitualità». Di conseguenza, nessun fondamento è ravvisabile per il reato di maltrattamenti in famiglia. Però, allo stesso tempo, i giudici riconoscono che le condotte in ballo possono essere inquadrate «in diverse fattispecie di reato», ma è il titolare dell’azione penale a doversi attivare «secondo tali diverse prospettive».
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 2 luglio – 12 settembre 2012, numero 34978 Presidente Agrò – Relatore Conti Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, il Giudice della udienza preliminare dei Tribunale di Tivoli dichiarava non luogo a procedere nei confronti di G.F. in ordine al reato di maltrattamenti in famiglia in danno della figlia minore F. a lui ascritto con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Osservava il G.u.p. che i limitati episodi contestati, alcuni non ben collocati temporalmente costrizione della figlia a scrivere una lettera con la quale dichiarava di volere recarsi in vacanza con il padre offese, minacce e un fatto di aggressione fisica, costituito da un calcio nel sedere , sebbene censurabili, non potevano dirsi espressione di una volontà del F. di sottoporre abitualmente la figlia a sofferenze fisiche o morali, ma piuttosto del profondo stato disagio in cui il F. si trovava a seguito della separazione dalla moglie il tutto considerando anche che la bambina viveva abitualmente con la madre e solo saltuariamente aveva passato momenti di incontro con il padre. 2. Ricorre per cassazione G.M., costituitasi parte civile per conto della figlia F.F., con atto sottoscritto dal difensore avv. A.C., il quale espone i seguenti motivi. 2.1. Erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in punto di elemento soggettivo del reato contestato. Usando la formula di proscioglimento “perché il fatto non costituisce reato” il G.u.p. ha implicitamente dato per accertata, sotto il profilo oggettivo, la condotta di maltrattamenti. Ma, trattandosi di reato per il quale è sufficiente il dolo generico, una volta provata la volontarietà della condotta pesanti minacce e offese, umiliazioni, costrizioni fisiche, azioni fisicamente violente e la consapevolezza della sua ripetitività, non potevano residuare dubbi sull’elemento soggettivo. 2.2. Erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in punto di mancata ravvisabilità, quanto meno, della fattispecie di abuso di mezzi di correzione e disciplina, di cui all’articolo 571 cod. penumero , dato che gli atti di violenza fisica e psicologica attuati dall’imputato avevano determinato uno stato di ansia nella bambina, che non gradiva restare sola durante la notte con il padre, integrante il requisito della malattia nel corpo o nella mente, nel senso più volte precisato dalla giurisprudenza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Al di là della formula liberatoria usata, il G.u.p. ha ritenuto, con valutazione non sindacabile in questa sede di legittimità, che gli sporadici episodi di prevaricazione accertati a carico del F. nei confronti della figlia non fossero contraddistinti dal carattere dell’abitualità, necessario per la ravvisabilità della fattispecie di cui all’articolo 572 cod. penumero 3. La condotta posta in essere dal F. è peraltro suscettibile di essere inquadrata in diverse fattispecie di reato certamente appaiono profilabili estremi di minaccia, ingiurie, percosse, perseguibili su querela di parte, e, nell’episodio della costrizione usata sulla bambina nel farle scrivere una lettera sotto dettatura, quelli di violenza privata, perseguibile di ufficio. Spetta tuttavia al competente titolare dell’azione penale, cui gli atti vanno doverosamente trasmessi, attivarsi secondo tali diverse prospettive. 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi gli atti al P.m. presso il Tribunale di Tivoli per l’ulteriore corso.