14 anni lontani, lui a casa con i figli, lei si fa un’altra vita acquistando un altro immobile. Ma l’intervenuta separazione personale pronunciata dal Tribunale non dà diritto all’assegno di mantenimento, anche perché la donna, visto il suo reddito, è autosufficiente.
Questo è il caso affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 7954/2013, depositata lo scorso 29 marzo. Il caso. Il Tribunale, nel pronunciare la separazione personale di due coniugi, assegnava all’uomo la casa familiare, all’epoca in comproprietà delle parti, e disponeva che ciascuno provvedesse al proprio mantenimento. I giudici di appello, invece, decidevano di revocare l’assegnazione della casa al marito, ribadendo tuttavia l’insussistenza dei requisiti per la concessione alla moglie del chiesto assegno di mantenimento. Insussistenza che veniva ribadita per ben due volte dai giudici territoriali. In pratica, dopo il primo ricorso per cassazione, dove gli Ermellini avevano affermato la necessità di prendere in considerazione il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, la Corte di appello aveva comunque ritenuto che la donna fosse autosufficiente. I coniugi erano già separati di fatto da 14 anni. La separazione personale dei coniugi, infatti, era avvenuta 14 anni dopo la separazione di fatto tra le parti. La donna si era allontanata dalla casa coniugale e il marito aveva provveduto a pagare il mutuo, alle spese di utilizzazione dell’immobile, nonché al mantenimento e accadimento dei figli. Acclarata dunque, secondo la S.C., visto anche l’acquisto di altro immobile, l’autosufficienza economica della donna e la disponibilità di un reddito tale da garantirle sostanzialmente lo stesso regime di vita che aveva avuto durante la convivenza coniugale. Niente da fare quindi per la donna, anche perché i motivi presentati sono inammissibili, nemmeno dopo il secondo ricorso per cassazione.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 19 – 29 marzo 2013, numero 7954 Presidente Carnevale – Relatore Giancola Svolgimento del processo Il Tribunale di Roma, con sentenza del 27.01-1.03.1999, pronunciava la separazione personale dei coniugi M S. ricorrente e M.L M. , respingeva le reciproche domande di addebito, assegnava al S. la casa familiare, all'epoca in comproprietà delle parti, e disponeva che ciascuno dei coniugi provvedesse al proprio mantenimento, compensando le spese processuali. Con sentenza del 15-31.10.2001 la Corte di appello di Roma, decidendo sul gravame principale della M. e su quello incidentale del S. , tra l'altro revocava l'assegnazione al marito della casa coniugale e ribadiva l'insussistenza dei requisiti per la concessione alla moglie del chiesto assegno di mantenimento, rilevando che la stessa viveva in casa di proprietà ed era titolare di un reddito di quasi L. 3.000.000 mensili. Con sentenza numero 19046 del 2005, questa Corte di legittimità accoglieva soltanto il terzo dei quattro motivi del ricorso principale proposto dalla M. , motivo con cui era stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell'articolo 156 c.c., e vizio di motivazione, in riferimento al diniego di assegno di mantenimento. In tale sentenza si riteneva che fossero stati dalla Corte di merito disattesi i noti principi giurisprudenziali secondo cui condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione sono la non titolarità di adeguati redditi propri, ossia di redditi che consentano al richiedente di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e la sussistenza di una disparità economica tra le parti e secondo cui il parametro di riferimento, ai fini della vantazione di adeguatezza dei redditi del soggetto che invoca l'assegno, è dato dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l'entità delle aspettative del medesimo richiedente, non avendo rilievo il più modesto livello di vita eventualmente subito o tollerato. In particolare si riteneva che la Corte di Appello, nel confermare la non spettanza alla M. dell'assegno di mantenimento, si fosse limitata a prendere in esame le condizioni economiche della medesima senza effettuare alcuna comparazione con il tenore di vita precedente, così sostanzialmente ancorando il giudizio di non debenza dell'assegno non già al parametro di riferimento del pregresso tenore di vita ma a quello della disponibilità da parte della richiedente di mezzi sufficienti a far fronte alle ordinarie necessità e senza svolgere alcun raffronto con le potenzialità economiche dell'altro coniuge. La sentenza impugnata veniva quindi cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla Corte di appello di Roma, affinché si procedesse ad un nuovo esame della domanda di attribuzione dell'assegno di separazione, facendo applicazione dei principi di diritto sopra richiamati e tenendo conto, nel valutare le condizioni economiche del S. , dei benefici al medesimo derivati dalla percezione della indennità di fine rapporto. Con sentenza del 29.10-19.11.2008, la Corte di appello di Roma, definitivamente pronunciando in sede di rinvio e nel contraddittorio delle parti, rigettava l'appello proposto dalla M. avverso la sentenza resa il 1.03.1999 dal Tribunale di Roma. La Corte territoriale osservava e riteneva che - in applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione, occorreva nella fattispecie accertare la capacità patrimoniale di ciascuno dei coniugi e l'eventuale divario nonché verificare se le condizioni economiche della M. fossero tali da garantirle il tenore di vita da lei goduto in costanza di matrimonio, a tale ultimo scopo dovendosi fare riferimento alle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio ed ai conseguenti riflessi in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzia di benessere e di aspettative per il futuro - il matrimonio tra le parti risaliva all'anno ., epoca in cui, come dichiarato dalla M. nei suoi scritti difensivi, ella lavorava alle dipendenze di un ente minerario con un reddito di L. 120.000 mensili ed il marito era ancora militare di leva con un reddito di sole L. 95.000 i due figli della coppia erano nati nel omissis . e la M. , smessa per qualche tempo l'attività lavorativa, aveva nel ., a seguito di concorso, riiniziato a lavorare alle dipendenze del Ministero della Difesa. Nel omissis , a seguito di un lungo periodo caratterizzato da contrasti tra i coniugi, la M. si era definitivamente allontanata dalla casa familiare, acquistata da entrambi nel ., nella quale erano rimasti a vivere il S. e i due figli. La separazione di fatto tra le parti era proseguita per quattordici anni sino al ., epoca il cui il marito aveva introdotto la causa di separazione e la moglie chiesto l'assegno di mantenimento. Durante il lungo periodo della separazione di fatto, il S. aveva provveduto in via esclusiva al mantenimento ed all’accudimento dei figli, nonché al pagamento sia del mutuo contratto per l'acquisto della casa coniugale e sia delle spese di utilizzazione dell'immobile. Durante lo stesso periodo la M. aveva nel . acquistato un immobile in ., poi rivenduto nel . con reimpiego del ricavato nell'acquisto di una nuova abitazione ed aveva autonomamente provveduto alle sue esigenze di vita - pur non essendo stato possibile accertare con esattezza l'entità del reddito delle parti nel ., all'epoca della cessazione della convivenza coniugale, tuttavia dalle buste paga acquisite risultava che il reddito del marito oscillava tra L. 1.300.000 e L. 1.400.000 mensili e che quello della moglie era di poco al di sotto di L. 1.000.000, sicché, considerate pure le esigenze della prole, la comproprietà della casa familiare e i vari oneri di spesa, poteva desumersi che a quel momento il tenore della vita non fosse particolarmente elevato e che la M. , dopo il suo allontanamento, non avesse subito un peggioramento della sua situazione patrimoniale e del suo livello di vita, come anche confermato dall'acquisto immobiliare da lei compiuto nel . al prezzo dichiarato di L. 48.900.000 e dall'assenza per 14 anni di sue richieste di mantenimento - il S. , invece, con il passare degli anni aveva goduto di un incremento della propria situazione economica in relazione alla progressione nella carriera ed alla riscossione, nell'anno ., del trattamento di fine rapporto, tuttavia tale circostanza non assumeva rilievo decisivo a fronte delle considerazioni degli oneri economici che avevano gravato in via esclusiva su di lui sin dal . e della lunga durata della separazione di fatto, solo formalizzata dalla separazione giudiziale intervenuta a situazione ormai consolidata e durante la quale la M. aveva dimostrato di essere non solo autosufficiente ma di avere un reddito tale da garantirle sostanzialmente lo stesso regime di vita che aveva avuto durante la convivenza coniugale. Avverso questa sentenza, notificata il 3.02.2009, la M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi e notificato il 30.03.2009 al S. , che ha resistito con controricorso notificato l’8.05.2009. Motivi della decisione A sostegno del ricorso la M. denunzia 1. Violazione e falsa applicazione degli articolo 384 c.p.c. e 156 c.c. Violazione e falsa applicazione del principio di diritto e delle direttive espresse dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza di rinvio numero 19046/05 resa tra le parti articolo 360 numero 3 c.p.c. . Conclusivamente formula il seguente quesito, ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis “Dica la Corte Suprema se, ai fini del riconoscimento del diritto del coniuge all'assegno di separazione ex articolo 156 c.c., debba farsi riferimento al tenore di vita spettante per l'intero periodo di durata legale del matrimonio”. 2. Violazione dell'articolo 156 c.c. articolo 360 numero 3 c.p.c. . Formula il seguente quesito “Dica la Corte Suprema se il divario economico tra i coniugi nella misura di circa il 50% in più a favore del marito e il possesso gratuito da parte di costui della casa coniugale in comproprietà con la moglie, comporta, ricorrendo le altre condizioni richieste dall'articolo 156 c.c., il diritto all'assegno di separazione per la moglie”. 3. Violazione degli articolo 324, 345 e 394 c.p.c Violazione del giudicato articolo 36O numero 3 c.p.c. . Formula il seguente quesito “Dica la Corte Suprema se è stato violato il giudicato interno per avere il giudice di rinvio fatto riferimento, ai fini della valutazione della situazione economica dei coniugi, ad un periodo 1983 diverso da quello 2000 preso in considerazione dalla Corte di Appello con la sentenza cassata. Non essendo stato proposto da controparte ricorso incidentale sulla questione dell'epoca di riferimento”. 4. Violazione e falsa applicazione degli articolo 345, 394 c.p.c Vizio di motivazione ad. 360 numero 3 c.p.c. . Formula il seguente quesito “Dica la Corte Suprema se nel giudizio di rinvio è preclusa alle parti la produzione di nuovi documenti e se è fatto divieto al giudice di prenderli in considerazione, in mancanza di formale provvedimento di ammissione”. Il primo, il secondo ed il quarto motivo del ricorso sono inammissibili per inammissibilità dei quesiti di diritto formulati per ciascuno di essi, in termini generici e/o apodittici, non aderenti ai condivisi principio di diritto affermati da questa Corte, secondo cui il quesito di diritto deve compendiare a la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito b la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice c la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. In altri termini, dovendo il quesito di diritto assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l'enunciazione del principio giuridico generale - non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola lettura, l'errore asseritamene compito dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può risolversi nella mera richiesta alla S.C. di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge cfr, tra le altre, Cass. numero 19769 del 2008 numero 8463 del 2009 numero 3530 del 2012 né può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo cfr, da ultimo, Cass. numero 3530 del 2012 cit. . Il quarto motivo del ricorso deve, invece, essere respinto, dovendosi rispondere negativamente al formulato quesito, stante la non configurabilità di alcun autonomo giudicato interno rispetto ai necessari presupposto di fatto di una statuizione decisoria, cassata in questa sede di legittimità. 5. Violazione dell'articolo 360 numero 5 c.p.c. per insufficiente e contraddittoria motivazione . Il motivo è inammissibile per mancanza di sintesi cfr Cass. SU numero 20603 del 2007 Cass. numero 8897 del 2008 numero 11010 del 2011 . Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna della M. , soccombente, al pagamento, in favore del S. , delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la M. al pagamento, in favore del S. , delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.000,00 per compenso ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori come per legge.