No alla presunzione assoluta di adeguatezza per chi non è associato

La posizione dell’autore dei delitti commessi avvalendosi del c.d. metodo mafioso” o al fine di agevolare le attività delle associazioni di tipo mafioso, delle quali egli non faccia parte, si rivela non equiparabile a quella dell’associato o del concorrente nella fattispecie associativa.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 30704, depositata il 17 luglio 2013. Reati commessi con metodo mafioso per favorire il clan. Un soggetto sottoposto a custodia in carcere, in relazione al reato di concorso esterno in associazione mafiosa, ha proposto ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza della Corte d’Appello con la quale era stata rigettata l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare. In particolare, la Corte aveva evidenziato la accertata contiguità con un sodalizio criminale di natura mafiosa, capace di influenzare in modo assolutamente negativo le strutture amministrative del Comune, con particolare riferimento alle modalità di pagamento delle proprie obbligazioni in favore delle imprese destinatarie. Avverso tale ordinanza, l’imputato ha proposto ricorso. La Suprema Corte ha annullato la decisione impugnata, con rinvio al Tribunale per un nuovo esame, in virtù della strada tracciata dalla Corte Costituzionale. Infatti, la Consulta, ha ribadito il concetto secondo cui dalla gravità del fatto non possa essere fatta discendere in via automatica una presunzione insuperabile di pericolosità estrema. Revoca della misura cautelare solo quando vengono meno le esigenze esistenti al momento dell’adozione del provvedimento. Gli Ermellini hanno spiegato che la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere resta valida solo per la condotta associativa di tipo mafioso e che l’obbligo della custodia in carcere non è compatibile con i reati maturati in un contesto mafioso, ma commessi da chi non è stabilmente affiliato. Quindi, con l’avvenuta trasformazione della presunzione da assoluta a relativa, il giudice, nell’applicare nel caso concreto una misura diversa dalla custodia in carcere, dovrà individuare analiticamente elementi di positiva e concreta attuazione del valore sintomatico del fatto.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 12 aprile – 17 luglio 2013, n. 30704 Presidente Macchia – Relatore Diotallevi Ritenuto in fatto B.C. ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza della Corte d'appello di Messina in data 27 agosto 2012 con la quale è stata rigettata l'istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, cui lo stesso è sottoposto in relazione al reato di cui agli artt. 110 e 317 c.p. e 7. d.l. n. 152/1991. In particolare la Corte ha evidenziato la accertata contiguità con un sodalizio criminale di natura mafiosa, capace di influenzare in modo assolutamente negativo le strutture amministrative del Comune di Giardini, con particolare riferimento alle modalità di pagamento delle proprie obbligazioni in favore delle imprese destinatane. Ciò premesso, fermo il rigetto dell'istanza di revoca per l'ininfluenza del decorso del tempo, in assenza della prospettazione di ulteriori elementi certamente sintomatici di un mutamento della complessiva situazione inerente i presupposti della misura, per quanto riguarda la possibilità di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con altra misura meno afflittiva, la Corte ha dichiarato di aderire al prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale la presunzione legale di inadeguatezza di ogni altra misura cautelare diversa dalla detenzione in carcere, in riferimento ai reati specificatamente indicati dall'art. 275, comma 3 c.p.p., opera anche nel corso della cautela, impedendone la surrogazione con misure meno gravi, e consentendone solo la revoca qualora le esigenze originariamente ritenute siano venute meno. Considerato in diritto Osserva la Corte che, rispetto al principio affermato dalla giurisprudenza, in base al quale, la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere di cui all'art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. opera non solo nel momento di adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva, ma anche nelle successive vicende che attengono alla permanenza delle esigenze cautelari, la Corte di cassazione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 275, comma terzo, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3, 13, comma primo, e 27, comma secondo, Cost., nella parte in cui faceva operare la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere in riferimento ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste all'art. 416-bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare le attività delle associazioni di tipo mafioso. Cass., Sez. un., 19 luglio 2012, ordinanze n. 34473 e n. n. 34474 del 2012 . Con la sentenza del 29 marzo 2013, n. 57, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la previsione della custodia obbligatoria in carcere per i reati di contesto mafioso ma non per le condotte di partecipazione o concorso nell'associazione di tipo mafioso . La Corte ha evidenziato la differenza tra la previsione sottoposta al suo giudizio e le precedenti, che riguardavano singoli reati o gruppi di reati. Nella fattispecie concreta, in particolare, il meccanismo faceva riferimento a qualsiasi delitto, a prescindere dai suoi elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, con l'unico limite della pena edittale pari o superiore a quattro anni di reclusione, in ossequio alla regola generale prevista dall'art. 280, comma 2 c.p.p Nella valutazione operata dalla Corte è stata tenuta presente la circostanza relativa al fatto che un reato commesso in un contesto caratterizzato dalla mafiosità del crimine è più grave di un fatto analogo, sganciato da tale condizione, ed in tal senso è stato giustificato l'aumento di pena previsto. Tuttavia nella sua analisi la Corte ha ribadito il concetto, già espresso in precedenza prendendo in esame la costituzionalità della norma con riferimento, ad esempio, ai reati di omicidio volontario, come dalla gravità del fatto non possa essere fatta discendere in via automatica una presunzione insuperabile di pericolosità estrema. D'altra parte la realtà storica coperta dall'aggravante in esame appare talmente multiforme da giustificare un giudizio di irragionevolezza rispetto all'automaticità della ritenuta regola d'esperienza. Sotto questo aspetto la Corte ha dunque sottolineato che anche sotto questo profilo [ .] la posizione dell'autore dei delitti commessi avvalendosi del cosiddetto metodo mafioso o al fine di agevolare le attività delle associazioni di tipo mafioso, delle quali egli non faccia parte, si rivela non equiparabile a quella a dell'associato o del concorrente nella fattispecie associativa, per la quale la presunzione delineata dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. risponde, come si è detto, a dati di esperienza generalizzati”. In base al principio affermato dalla Corte costituzionale dunque la carcerazione non può essere irrimediabilmente imposta sulla sola base della pertinenza del fatto al contesto mafioso”, mentre tale presunzione rimane legittima quanto alla condotta associativa di tipo mafioso. In base a questi arresti della Corte costituzionale deve dunque ritenersi, tra l'altro, che, nell'ipotesi in cui l'appartenente ad una organizzazione criminale debba rispondere anche di reati diversi da quello associativo, e riconducibili al contesto” nel senso che si è sopra chiarito, che la presunzione assoluta comunque venga meno anche in questi casi, anche se il giudizio in concreto dovrà necessariamente parametrarsi con la legittimità della presunzione nell'ipotesi di condotta associativa. Con l'avvenuta trasformazione della presunzione da assoluta a relativa il giudice, pertanto, nell'applicare nel caso concreto una misura diversa dalla custodia in carcere, dovrà individuare analiticamente elementi di positiva e concreta attenuazione del valore sintomatico del fatto. E questa attività ermeneutica dovrà trovare i suoi paletti di riferimento specifici, in base all'affermazione della Corte costituzionale, a seconda che emerga l'appartenenza dell'agente ad associazioni di tipo mafioso ovvero la sua estraneità ad esse”. Ciò premesso, nel caso in esame, la valutazione in ordine alla possibile sostituzione della misura cautelare nel corso di esecuzione della cautela, dovrà essere rimodulata sulla base dei nuovi parametri fissati dalla Corte costituzionale, e non più sui principi giurisprudenziali applicati, in base ai quali la revoca della originaria misura poteva essere adottata soltanto qualora le esigenze originariamente ritenute fossero venute meno. L'ordinanza impugnata deve essere quindi annullata con rinvio al Tribunale di Messina per nuovo esame. Manda alla Cancelleria perché provveda ai sensi dell'art. 94 disp. att. cod. proc. pen P.Q.M. Annulla l'impugnata ordinanza con rinvio al Tribunale di Messina per nuovo esame. Si provveda a norma dell'art. 94 disp.att. cod. proc. Pen