Inadempimento del donatario: non è risoluzione di diritto

In tema di donazione, quando il donatario venga meno agli obblighi stabiliti nell’atto, il donante, o i suoi eredi, possono chiedere la risoluzione del negozio sempre che sia stata inserita, nell’atto di liberalità, la clausola risolutiva, che però non interviene di diritto, come per i contratti sinallagmatici. Ai fini della risoluzione, inoltre, è necessario che il giudice valuti la natura dell’inadempimento, che se non sarà di importanza rilevante, non potrà essere causa di risoluzione.

Così ha deciso la Corte di Cassazione nella sentenza numero 14120, depositata il 20 giugno 2014. Il caso. Il Tribunale di primo grado dichiarava risolta per risoluzione, per l’inadempimento dell’onere, la donazione di due terreni e di un edificio fatta dagli attori ai convenuti, e condannava questi al rilascio degli immobili oggetto dell’atto di liberalità. Impugnata dai soccombenti, la decisione veniva confermata dalla Corte di Appello, che rigettava il gravame ritenendo che i donanti si erano legittimamente avvalsi della clausola risolutiva espressa inserita nel rogito di donazione, in quanto gravava sui donatari l’onere di provare di aver adempiuto le obbligazioni da loro assunte con il negozio. I soccombenti proponevano poi ricorso in Cassazione, lamentando la violazione e la falsa applicazione della donazione modale ex articolo 1456 c.c., in quanto ritenevano che i Giudici territoriali avessero applicato erroneamente la disciplina relativa alla clausola risolutiva espressa, che è dettata invece solo per i contratti di natura sinallagmatica. L’atto di donazione deve prevedere la clausola risolutiva. La Suprema Corte ricorda che in tema di risoluzione della donazione esiste una normativa specifica e completa, sicché altre disposizioni non possono trovare ingresso. Aggiunge, inoltre, che la risoluzione dell’atto di liberalità per inadempimento dell’onere può essere domandata dal donante o dai suoi eredi, se prevista nell’atto di donazione, come stabilito nell’articolo 793 c.c., ma non può avvenire ipso iure in forza di clausola risolutiva espressa. La Corte, quindi, esclude che la donazione possa essere risolta di diritto in virtù della suddetta clausola, prevista invece per i contratti a prestazioni corrispettive. Viene poi ricordato un precedente giurisprudenziale, secondo il quale l’inserimento di una simile clausola nel contratto di donazione va intesa come espressa “previsione” di risoluzione della donazione per inadempimento dell’onere, che deve essere domandata esclusivamente dal donante o dagli eredi, in conformità della particolare disciplina esistente in materia Cass., numero 13876/2005 . Tale precedente risulta essere conforme alle norme da cui è tratto, norme che delineano l’istituto della clausola risolutiva espressa come proprio dei contratti sinallagmatici, per i quali soltanto la risoluzione è configurata come effetto automatico dell’inadempimento, indipendentemente dalla gravità. Da considerare la natura dell’inadempimento del donatario. Mentre, in riferimento ad un negozio a titolo gratuito, come la donazione, non è stabilita analoga disciplina, perciò l’inadempimento dell’onere potrà essere causa di risoluzione se non abbia scarsa importanza, e non potrà operare di diritto, ma eventualmente potrà essere oggetto di domanda di semplice accertamento. Nel caso di specie, l’indagine sull’importanza dell’inadempimento era stata omessa dal giudice a quo, che l’aveva ritenuta superflua, nell’erroneo presupposto che fosse applicabile l’articolo 1456 c.c., le cui disposizioni non si estendono però all’ipotesi prevista dall’articolo 793 c.c Sulla base di tale ragionamento, la Cassazione accoglie il ricorso e cassa con rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 28 marzo – 20 giugno 2014, numero 14120 Presidente Triola – Relatore Bucciante Svolgimento del processo Con sentenza non definitiva del 23 giugno 2005 il Tribunale di Vallo della Lucania - adito da M.N. e F.A. nei confronti di G.R. e F.A.S. e da questi ultimi in via riconvenzionale - dichiarò risolta, per inadempimento dell'onere, la donazione di due terreni e di un edificio dagli attori ai convenuti e condannò questi ultimi al rilascio degli immobili oggetto dell'atto di liberalità. Impugnata dai soccombenti, la decisione è stata confermata dalla Corte d'appello di Salerno, che con sentenza del 20 novembre 2007 ha rigettato il gravame, ritenendo che M.N. e F.A. si erano legittimamente avvalsi della clausola risolutiva espressa inserita nel rogito di donazione che gravava su G.R. e F.A.S. l'onere di provare di aver adempiuto le obbligazioni da loro assunte con il negozio “somministrare ai donanti i normali e convenienti alimenti per tutto il tempo della vita dei donanti medesimi, come pure di prestare agli stessi donanti ogni assistenza, cura e medicina in caso di malattia” e di “concedere ai donanti il godimento del fabbricato sopra donato, vita loro natural durante”, con obbligo “a restituire immediatamente i beni oggetto della donazione nel caso che essi non adempiano puntualmente agli oneri sopra descritti” che anzi i convenuti avevano implicitamente ammesso di non aver adempiuto, invocando una ipotetica compensazione . G.R. e F.A.S. hanno proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi, poi illustrati anche con memoria. M.N. , anche quale unico erede di F.A. , si è costituito con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso G.R. e F.A.S. deducono che la sentenza impugnata è affetta da “violazione e falsa applicazione alla donazione modale dell'articolo 1456 c.c. - omessa e contraddittoria motivazione in relazione all'articolo 360 numero 3 e numero 5 c.p.c.” per avere la Corte d'appello dichiarato la risoluzione dell'atto di liberalità in questione indipendentemente dalla verifica della gravità del ritenuto inadempimento dell'onere, applicando erroneamente la disciplina relativa alla clausola risolutiva espressa, che è dettata invece soltanto per i contratti di natura sinallagmatica. Di questa censura il resistente ha contestato l'ammissibilità, rilevando che attiene promiscuamente alle ipotesi previste sia dal numero 3 sia dal numero 5 dell'articolo 360 c.p.c. e che non vi è precisato un fatto controverso, in relazione al quale la motivazione si assuma viziata. L'eccezione è infondata. Sebbene nella rubrica del motivo di impugnazione in esame venga menzionata anche la “omessa e contraddittoria motivazione”, in realtà la questione che vi è posta è esclusivamente di diritto i ricorrenti non criticano in alcun modo la ricostruzione in fatto della vicenda oggetto della controversia, come è esposta nella sentenza impugnata, ma sostengono che ne è stata tratta una conseguenza giuridicamente erronea, poiché la risoluzione della donazione è stata dichiarata prescindendo da ogni valutazione circa la importanza dell'inadempimento del modus, per il solo fatto che era stata prevista nell'atto appunto come effetto di tale inadempimento. Al relativo quesito di diritto formulato dai ricorrenti “La donazione - contratto di liberalità finalizzato all'arricchimento di una sola parte -, muta la sua natura giuridica qualora sia gravata da un onere? Ovvero, l'onere, apposto a una donazione, altera la causa gratuita del contratto, trasformandolo in contratto a prestazioni corrispettive cui applicare, in caso di inadempimento, l'articolo 1456 c.c.?” deve essere data risposta negativa, alla luce del principio secondo cui “poiché in tema di risoluzione della donazione modale esiste una normativa specifica e completa, altre disposizioni non possono trovare ingresso” e “la risoluzione della donazione per inadempimento dell'onere può essere domandata dal donante o dai suoi eredi, se preveduta nell'atto di donazione, ma non può avvenire ipso iure in forza di clausola risolutiva espressa, ex articolo 1456 c.c., con preclusione di qualsiasi valutazione della gravità dell'inadempimento”, sicché “avuto riguardo alla natura del negozio atto di liberalità e alla disciplina specifica articolo 793, 4 comma, c.c. , è da escludere che la donazione modale, in caso di inadempimento dell'onere, possa essere risolta di diritto ex articolo 1456 c.c. in virtù di clausola risolutiva espressa prevista per i contratti a prestazioni corrispettive . L'inserimento di simile clausola alla quale è da attribuire un significato o effetto ai sensi dell'articolo 1367 c.c. nel contratto di donazione va intesa come espressa previsione di risoluzione della donazione per inadempimento dell'onere, che deve essere domandata dal donante o dai suoi eredi, in conformità della particolare disciplina esistente in materia” Cass. 28 giugno 2005 numero 13876 . Da questo precedente, unico sulla specifica questione, per quanto consta, nella giurisprudenza di legittimità, non vi è ragione di discostarsi - né del resto il resistente ne ha prospettato alcuna - stante la sua coerenza con le norme da cui è stato tratto, le quali delineano l'istituto della clausola risolutiva espressa come proprio dei contratti sinallagmatici, per i quali soltanto la risoluzione è configurata come effetto automatico dell'inadempimento, quale che ne sia la gravità, mentre per il modus, che accede invece a un negozio a titolo gratuito, non è stabilita una analoga disciplina, sicché resta ferma la necessità che il suo inadempimento, per poter comportare la risoluzione, non abbia scarsa importanza è significativo che l'articolo 793 c.c. consente al donante o ai suoi eredi di “domandare” la risoluzione per inadempimento dell'onere, se preveduta nell'atto di liberalità, con terminologia analoga a quella utilizzata per l'azione costitutiva nell'articolo 1453 c.c., senza disporre in ordine alla risoluzione stabilita dall'articolo 1456 c.c. come effetto “di diritto”, oggetto quindi di sentenza di accoglimento di domanda di semplice accertamento. L'indagine sull'importanza dell'inadempimento del modus è stata omessa dal giudice a quo, che l'ha ritenuta superflua, nell'erroneo presupposto che fosse applicabile nella specie l'articolo 1456 c.c., le cui disposizioni invece non si estendono all'ipotesi prevista dall'articolo 793 c.c. Restano assorbiti gli altri due motivi di ricorso, con cui in sostanza vengono esposti gli elementi dai quali, secondo G.R. e F.A.S. , si sarebbe dovuta dedurre la scarsa importanza, se non l'insussistenza, di un loro inadempimento. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa nella Corte d'appello di Napoli, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso dichiara assorbiti gli altri due cassa la sentenza impugnata rinvia la causa alla Corte d'appello di Napoli, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.