“Se vuoi puoi esserci”: quando la “cortesia” nasconde un obbligo giuridico del giudice

Una volta appurato lo stato detentivo dell’imputato il giudice ha l’obbligo di disporre nei confronti di questi, oltre alla notifica dell’estratto di verbale contenente la data di fissazione dell’udienza differita, la traduzione dello stesso in udienza. Spetterà poi all’imputato medesimo decidere se comparire o rinunciare, attraverso atto formale. Lo stato di detenzione, infatti, implicando l’assenza di libertà di locomozione, condizionata al volere delle autorità carcerarie o dal tenore delle disposizioni applicative della misura domiciliare, costituisce impedimento assoluto a comparire con la conseguenza che ove a tale situazione non sia posto rimedio, mediante l’ordine di traduzione, l’imputato è privato del diritto di intervenire e di difendersi, anche personalmente nel processo. Diritto che deve essergli incondizionatamente assicurato.

La pronuncia numero 23757, depositata il 4 giugno 2015, della sez. II Penale della Cassazione, di per sé, ed in un mondo giuridico ordinato, non dovrebbe rivestire alcun interesse. In essa si afferma che un imputato ha diritto ad assistere al proprio processo al fine di espletare al meglio, da lui ritenuto ovviamente, la propria difesa. Difesa che assume rilievo e rilevanza sotto due distinti profili l’uno connotato tecnicamente, la difesa demandata all’avvocato, l’altro invece totalmente caratterizzato dalla possibilità di svolgere, nei termini e con i limiti previsti dall’ordinamento, la propria autodifesa. Le nullità assolute. L’articolo 179 c.p.p., sancendo una nullità di carattere generale in relazione alla disposizione portata dall’articolo 178, comma, 1 lett. c intervento dell’imputato al giudizio , parrebbe essere da sola elemento sufficiente a far si che non possano sussistere dubbi in ordine alla portata delle disposizioni inerenti la conoscenza del processo da parte dell’imputato e la sua possibilità, non obbligo, di partecipare, fisicamente, al medesimo. Ma così non è e quindi in punto è sorto addirittura contrasto giurisprudenziale definito con pronuncia delle Sezioni Unite numero 37483/2006. Le SS.UU. del 2006. La sez. V Penale, remittente, rilevava l’insorto contrasto nella giurisprudenza della Suprema Corte individuando due orientamenti un primo che riteneva che, salva l'ipotesi di carcerazione ovviamente in diverso procedimento avvenuta a ridosso immediato dell'udienza, l'imputato avesse l’onere di segnalare tempestivamente il suo stato di detenzione e la sua volontà di partecipare al processo, sicché in difetto di tempestiva segnalazione non sussisterebbe per il giudice, venuto poi a conoscenza dell'impedimento, obbligo alcuno di rinviare la trattazione del processo al fine di disporre la traduzione dell'imputato medesimo il secondo indirizzo giurisprudenziale riteneva, invece, l’insussistenza di un siffatto onere a carico dell'imputato, rilevando solo l'accertato assoluto impedimento dello stesso a comparire. Come si può bene vedere il principio era, nella vigenza del medesimo codice, piuttosto chiaro in punto, tutt’altro che pacifico. La questione venne così sintetizzata dalle SS.UU. «se la detenzione per altra causa, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integri un legittimo impedimento a comparire dell'imputato preclusivo del giudizio contumaciale , anche nel caso in cui egli avrebbe potuto comunicare al giudice il sopravvenuto stato di detenzione, in tempo utile per consentirne la traduzione». Un caso che, come si vede si attaglia perfettamente a quello oggetto della pronuncia in commento. Ai fini di dirimere il contrasto la Suprema Corte, nella Sua più alta espressione, decideva di aprire dal tenore del codice del 1930 e dall’interpretazione che dello stesso si era data e fornita. Un’attività certo meritoria sul piano storico ma giuridicamente insensata posto che nel 2006 il codice di rito, il nuovo codice, si accingeva a divenire maggiorenne. L’evidente italica necessità di prolungare l’adolescenza e la gioventù sine die , influenzando anche gli Ermellini li induceva a ragionar dei padri per comprendere i figli e, dunque, ad argomentare partendo dal dettato del codice Rocco per chiarire la portata del codice Vassalli. E così si è ritenuta legittima la declaratoria di contumacia dell'imputato detenuto per altra causa quando l'impedimento a comparire sia imputabile a sua condotta che non abbia reso possibile la tempestiva traduzione in udienza Cass. numero 4682/1990 , chiarendosi che quando il giudice non ha conoscenza dello stato detentivo dell'imputato, e non ha perciò potuto provvedere alla sua tempestiva traduzione, l'imputato medesimo ha l'onere di informarlo, e se a tanto non adempie non può addurre l'esistenza di un assoluto impedimento Cass. numero 7064/1989 . S'è ulteriormente chiarito che «un tale onere non risulta legislativamente imposto ma rientra certamente fra i principi intesi ad un sollecito svolgimento del processo » Cass. numero 5299/1987 . Indirizzo «confermato nel vigore dell'attuale disciplina codicistica Cass. numero 36916/2005 numero 46001/2003 numero 12927/2001 numero 5689/2000 numero 7161/2000 numero 4230/1998 numero 2119/1997 ». Anche l’opposto indirizzo traeva e vantava nobili ed antiche origini poiché «ripetutamente espresso sotto il vigore del previgente codice del 1930, affermandosi che il sopravvenuto stato di detenzione per altra causa dell'imputato, cui sia stato ritualmente notificato in stato di libertà il decreto di citazione a giudizio, non seguito dall'ordine di traduzione in udienza, è causa di legittimo impedimento preclusivo della dichiarazione di contumacia, quando lo stato di detenzione sia stato portato a conoscenza del giudice prima della sentenza Cass. numero 12075/1980 numero 312/1981 numero 3634/1983 numero 10810/1984 . S'è chiarito che non può ritenersi sussistente a carico dell'imputato, regolarmente citato a comparire in stato di libertà, l'onere di richiedere la sua traduzione in udienza qualora, successivamente alla notifica del decreto di citazione a giudizio ma prima dell'udienza fissata per il dibattimento, venga posto in stato di detenzione per altra causa, sicché in tale ipotesi il giudice non può legittimamente dichiararne la contumacia, deve disporne la traduzione in udienza Cass. numero 6994/1985 numero 13074/1987 numero 2622/1979 . Anche questo orientamento «è stato ribadito sotto il vigore della vigente disciplina codicistica Cass. numero 6490/1003 numero 41252/2002 numero 13593/2001 numero 5776/2000 numero 9446/1999 numero 738/1998 numero 5989/1997 numero 11193/1994 numero 10413/1993 numero 9721/1992 numero 5834/1991 numero 13715/1990 ». La soluzione del contrasto. Partendo dalla disciplina dettata in tema di contumacia, ora profondamente innovata, e poggiando sulle colonne che reggono, ormai e sempre più l’intero sistema processuale, costituite dalle norme Europee, oggi di terzo pilastro, dal paragrafo 6.3 della CEDU e dall’articolo 111 Cost., le SS.UU. affermarono che «Dall'esame delle norme interne e pattizie teste richiamate, anche alla stregua dei principi espressi dalla giurisprudenza interna ed europea, si deve, dunque, inferire che il sistema, in sostanza, è improntato al principio -che va qui affermato ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p. - che a la conoscenza di un legittimo impedimento preclude la dichiarazione di contumacia, e solo ove l'imputato impedito esplicitamente consenta che l'udienza avvenga in sua assenza, o, se detenuto, rifiuti di assistervi, trova applicazione l'istituto dell'assenza, ai sensi dell'articolo 420- quinquies c.p.p b costituisce legittimo impedimento la detenzione dell'imputato per altra causa anche nel caso in cui questi avrebbe potuto comunicare al giudice la sua condizione in tempo utile per consentirne la traduzione. E dunque, la accertata presenza di un legittimo impedimento, del quale il giudice sia comunque cognito, in mancanza di qualsivoglia dichiarazione di rinuncia, non sortisce, evidentemente, alcun effetto abdicativo, ed in mancanza di un atto di tal genere la dichiarazione di contumacia è illegittimamente resa.» Il principio espresso dalla Seconda Sezione Penale della Cassazione. Sulla linea descritta si colloca la pronuncia della sez. II della Corte che, ribadendolo, allarga, in qualche modo i limiti del principio che, parrebbe divenire, finalmente e definitivamente, assolutamente generale. Rendendo giustizia e al dettato dell’articolo 179 c.p.p. Che, il Legislatore, in fondo, ha pur sempre voluto.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 15 maggio – 4 giugno 2015, numero 23757 Presidente Gallo – Relatore Pellegrino Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 07.12.2006, il Tribunale di Vasto dichiarava C. A. responsabile del reato di rapina ascritto in esso assorbito il reato di tentata rapina pure contestata in rubrica e, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di anni due, mesi otto di reclusione ed euro 1.000,00 di multa oltre al risarcimento dei danno a favore della costituita parte civile con assegnazione di provvisionale pari ad euro 8.000,00. 1.1. Avverso detta sentenza, veniva proposto appello dalla difesa dell'imputato con sentenza della Corte d'appello di L'Aquila in data 27.01.2014, il gravame veniva respinto e la pronuncia di primo grado confermata. 2. Avverso la sentenza d'appello, con due distinti ma identici gravami, C. A. propone ricorso per cassazione lamentando -violazione degli articolo 157, comma 8 bis, 179 cod. proc. penumero primo motivo -omessa traduzione dell'imputato secondo motivo -omessa considerazione del legittimo impedimento dell'imputato in appello terzo motivo . 2.1. Con il primo motivo, lamenta il ricorrente come il decreto di citazione in appello destinato all'imputato era stato notificato al difensore di fiducia ex articolo 157, comma 8 bis cod. proc. penumero mentre lo stesso andava notificato all'imputato presso il luogo ove si trovava detenuto. 2.2. Con il secondo motivo, si censura l'omessa traduzione dell'imputato in udienza, cosicchè il processo è proseguito in sua assenza, anzi in sua contumacia. 2.3. Con il terzo motivo, si censura la decisione assunta dalla Corte d'appello in data 27.01.2014 che ha respinto la richiesta di rinvio avanzata dalla difesa per legittimo impedimento dell'imputato causa il suo stato di salute invero, la Corte ha disatteso il certificato medico senza effettuare una valutazione della gravità della malattia diagnosticata, limitandosi a valutare che la patologia non era tale da comportare un assoluto impedimento a comparire. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono, solo in parte e - segnatamente - con riferimento al secondo motivo assorbente fondati e, come tali, appaiono accoglibili. 2. In relazione al primo motivo, rileva il Collegio come, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, deve considerarsi legittima la notificazione del decreto di citazione in appello mediante consegna al difensore di fiducia ai sensi dell'articolo 157, comma 8 bis, cod. proc. penumero , nel caso in cui - come verificatosi nella fattispecie - lo stato di detenzione per altra causa dell'imputato non emerga dagli atti, ed egli abbia omesso di comunicare all'autorità giudiziaria il proprio stato di detenzione ai fini delle notifiche ex articolo 156 cod. proc. penumero Sez. 6, sent. numero 45691 del 24/04/2012, dep. 22/11/2012, Santonocito, Rv. 253702 . La censura, in quanto manifestamente infondata, è inammissibile. 2.1. Invero, il decreto di citazione in appello, per ammissione dello stesso ricorrente, risulta essere stato notificato, a norma dell'articolo 157 cod. proc. penumero , comma 8 bis, mediante consegna al difensore di fiducia. Tale forma di notificazione deve ritenersi validamente eseguita, considerato che, nel momento in cui fu disposta, non risultava dagli atti del presente procedimento lo stato di detenzione arresti domiciliari per altra causa dell'imputato, ne' costui si era fatto carico di comunicare al giudice del gravame il proprio stato di detenzione ai fini delle relative notifiche ex articolo 156 cod. proc. penumero . D'altra parte, il legame fiduciario tra l'imputato e il proprio difensore e il connesso dovere d'informazione gravante su quest'ultimo posero certamente l'imputato nella condizione di conoscere la data dei giudizio d'appello, circostanza questa non contestata, tanto che il difensore di fiducia, regolarmente comparso all'udienza del 16.10.2013, nulla eccepì al riguardo. Alla predetta udienza, compariva il nuovo difensore dell'imputato che si limitava a far rilevare lo stato di detenzione, per altra causa, del proprio assistito. La Corte d'appello, verificata la persistenza de dichiarato stato di detenzione dell'imputato come detto, agli arresti domiciliari, nell'ambito di altro procedimento , differiva il dibattimento alla successiva udienza dei 27.01.2014, ordinando la notifica dell'estratto del verbale all'imputato, giusta la previsione di cui all'articolo 420 ter cod. proc. penumero , comma 1. Alla successiva udienza, ove l'imputato non compariva, il difensore deduceva, esclusivamente, il legittimo impedimento a comparire del proprio assistito a ragione delle proprie condizioni di salute, senza eccepire alcunché in merito alla notifica del nuovo avviso. 2.2. Di fronte a tale situazione, dei tutto infondata, anche per la sua palese tardività, si rivela la doglianza, in ordine alla pretesa irregolarità della notifica della citazione in appello dell'imputato ricorrente sia sotto il primo profilo notifica ex articolo 157 cod. proc. penumero , comma 8 bis e non presso il luogo di detenzione dell'imputato che per il secondo profilo nuova notifica del solo verbale per estratto e non anche della citazione in appello per le ragioni dinanzi esposte. 3. Fondato è il secondo motivo di ricorso, il cui accoglimento finisce per assorbire la doglianza articolata con il terzo motivo. 3.1. Una volta appurato io stato detentivo dell'imputato appellante, la Corte territoriale aveva l'obbligo di disporre nei confronti dell'imputato - oltre alla effettuata notifica dell'estratto di verbale contenente la data dei differimento - la traduzione dello stesso in udienza, non risultando né che lo stesso avesse rinunciato a comparire né che fosse stato autorizzato a raggiungere l'aula d'udienza senza scorta, in forza di ipotetico provvedimento in tal senso da parte dell'autorità giudiziaria competente in merito al procedimento per il quale il C. risultava detenuto. Né, tantomeno, si può pensare che l'omessa traduzione potesse trovare giustificazione postuma in conseguenza del dichiarato, ma non accertato, legittimo impedimento a comparire per ragioni di salute da parte dei C., non fosse altro perché la Corte, disattendendo la richiesta, aveva illegittimamente disposto procedersi oltre, senza differire invece l'udienza onde consentire la traduzione dell'imputato e la sua partecipazione salvo rinuncia dell'interessato alla stessa. 3.2. Di tal che - riconosce la Suprema Corte - deve considerarsi illegittimo il rigetto dell'istanza di differimento dell'udienza - proposta in ragione della detenzione dell'imputato, sopravvenuta per altra causa, successivamente alla notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello e comunicata solo in udienza - considerato che lo stato di detenzione, implicando l'assenza della libertà di locomozione, condizionata al volere delle autorità carcerarie, costituisce impedimento assoluto a comparire, con la conseguenza che, ove a tale situazione non sia posto rimedio mediante l'ordine di traduzione, l'imputato è privato del diritto di intervenire e di difendersi, anche personalmente, nel processo, diritto che, invece, deve essergli incondizionatamente assicurato. D'altro canto, in tale ipotesi, non sussiste a carico dell'imputato un onere di preventiva comunicazione della propria materiale impossibilità a comparire, né tale onere può essere desunto dalla diversa ed esplicita previsione dettata per il difensore articolo 420 ter, comma 5, cod. proc. penumero - che trova ragione nella insindacabile scelta di bilanciare con esclusivo riferimento alla difesa tecnica i valori costituzionali in gioco - la quale, al contrario, consente di escludere che un analogo onere di tempestiva deduzione possa implicitamente desumersi dal sistema per l'imputato, anche alla luce delle norme sovranazionali ed in particolare della Convenzione europea dei diritti dell'uomo - come interpretati dalla giurisprudenza della CEDU - alle quali lo Stato italiano ha l'obbligo di conformarsi cfr., ex multis, Sez. 5, sent. numero 37620 del 17/10/2006, dep. 15711/2006, Serra, Rv. 235227 nello stesso senso, Sez. U, sent. numero 37483 del 2006, Rv. 234600 . 3.3. Ne consegue che, sotto questo profilo, la mancata partecipazione al giudizio d'appello da parte dei C. a ragione della sua omessa traduzione, costituisce una evidente violazione del proprio diritto di intervento, con conseguente doverosità di annullamento della sentenza impugnata. 4. Alla pronuncia consegue il rinvio alla Corte d'appello di Perugia per nuovo giudizio P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Perugia per nuovo giudizio.