Con l’approvazione della legge numero 80/2014, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 27 maggio scorso, il Parlamento ha definitivamente approvato la legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge numero 47/2014, contenente misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015. Proprio in questa sede ha previsto una disciplina specifica per una situazione - assai paradossale, invero - che si era verificata nell’ambito del fenomeno delle “locazioni in nero”.
Ed infatti, per facilitare quanto più possibile l’emersione dei contratti in nero della abitazioni il legislatore aveva individuato un meccanismo che aveva iniziato a dare i propri frutti dal momento che prevedeva un regime di particolare favore per l’inquilino che avesse chiesto all’Agenzia delle Entrate la registrazione del contratto anche verbale di locazione. Triplo della rendita catastale. Regime di favore per l’inquilino perché i commi 8 e 9 dell’articolo 3 d.lgs. numero 23/2011 c.d. federalismo fiscale aveva previsto che chi avesse chiesto la registrazione dei contratti “in nero” avrebbe visto il proprio contratto di locazione costituito ex lege per la durata di quattro anni rinnovabili 4+4 con condizioni economiche di deciso favore il canone annuo sarebbe stato fissato nel triplo della rendita catastale dell’immobile. Ecco, quindi, che molti conduttori avevano iniziato ad avvalersi di questa normativa con la conseguenza ulteriore che si era aperto un certo contenzioso civile anche sugli effetti civili della normativa fiscale che abbiamo appena ricordato in questo senso il Tribunale di Roma, ad esempio, aveva affermato che in assenza di un contratto scritto la sanatoria fiscale non poteva avere come effetto quello di costituire ex lege il contratto . Ma nell’ambito di quel contenzioso era intervenuta anche la Corte Costituzionale che, con la sentenza numero 50 del 14 marzo 2014, aveva dichiarato incostituzionale, per eccesso di delega, quella disciplina. La disciplina transitoria. Peraltro, quella sentenza, proprio perché interviene su rapporti di durata e, per di più, su una materia storicamente molto delicata dal punto di vista politico e sociale quale quella della locazione, aveva determinato il caos. Quale sarebbe stata, ad esempio, la sorte di quei conduttori che avevano versato il canone di locazione nella misura prevista dalla legge anziché quella prevista dal contratto? Avrebbero dovuti essere sfrattati per morosità? Proprio l’efficacia retroattiva della sentenza della Corte Costituzionale avrebbe potuto portare a ritenere “moroso” il conduttore che stava versando il canone legale anziché quello contrattuale con ogni possibile conseguenza sul piano della eventuale richiesta del locatore di risoluzione del contratto per morosità invero qui incolpevole . La salvaguardia degli effetti prodotti. Orbene, la legge di conversione introduce una disposizione significativamente intitolata alla «salvaguardia degli effetti di disposizioni in materia di contratti di locazione» prevedendo che «sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, numero 23». A prima lettura, quindi, almeno fino alla data del 31 dicembre 2015 la durata del contratto e il canone di locazione sarà quello previsto dal testo del decreto legislativo in materia di federalismo fiscale che abbiamo richiamato in apertura. Saranno quindi “salvi” quei conduttori che dopo la registrazione del contratto di locazione suppongo prima della sentenza della Corte Costituzionale abbiano, poi, versato il canone più mite di quello concordato con il locatore e che, quindi, potranno continuare - sempre almeno fino al 31 dicembre dell’anno prossimo - a versare il canone “legale” previsto dal d.lgs. 23/2011. Nessuna violazione del giudicato costituzionale. Peraltro, la disciplina così introdotta non può certamente dirsi lesiva del giudicato della sentenza della Corte Costituzionale dal momento che la Consulta si era limitata a sanzionare l’eccesso di delega e, quindi, come noto, un aspetto meramente formale che avrebbe legittimato il Parlamento, volendo, a reintrodurre la disposizione censurata attraverso una legge. Ed infatti, l’osservazione che si legge nella motivazione secondo cui il meccanismo sanzionatorio del d.lgs. numero 23/2011 sarebbe in contrasto con la disciplina dello Statuto del Contribuente ed in particolare con l’articolo 10, comma 3, ultimo periodo, secondo il quale «Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto» non può determinare alcun effetto conformativo per il Parlamento non essendo lo Statuto del Contribuente certamente una norma di livello costituzionale anzi e del resto neppure l’autoproclamata natura rinforzata dello Statuto può avere quale effetto quello di impedire una disciplina derogatoria viepiù se speciale quale quella delle locazioni .