La Corte di Cassazione con le ordinanze nnumero 8605 e 8606 del 28 aprile 2015 ha ammesso l’utilizzabilità dei dati bancari della c.d. “lista Falciani” ai fini probatori di verifica fiscale. I dati erano stati trasmessi dall’autorità finanziaria francese attraverso i canali di collaborazione previsti dalla Direttiva 77/799/CEE e dalla Convenzione Italia-Francia contro le doppie imposizioni
La Corte di Cassazione con le ordinanze nnumero 8605 e 8606 del 28 aprile 2015 ha ammesso l’utilizzabilità dei dati bancari della c.d. “lista Falciani” ai fini probatori di verifica fiscale. I dati erano stati trasmessi dall’autorità finanziaria francese attraverso i canali di collaborazione previsti dalla Direttiva 77/799/CEE e dalla Convenzione Italia-Francia contro le doppie imposizioni. L’uso che ne aveva fatto l’Amministrazione finanziaria italiana per avvisi di accertamento fondati su movimentazioni di conto presso banca elvetica, tratte dalla lista, aveva dato il via a ricorsi del contribuente, accolte dai giudici di merito. La Cassazione ha invece cassato con rinvio tali decisioni stabilendo che l’Amministrazione finanziaria può utilizzare “nel contraddittorio con il contribuente i dati bancari acquisiti dal dipendente infedele di un istituto bancario, senza che assuma rilievola violazione del diritto alla riservatezza dei dati bancari che non assume rilievo nei confronti del fisco ”. Una tesi, questa, in linea con altre decisioni nazionali in Europa, prima fra tutte la Corte Costituzionale tedesca che, con sentenza del 9 novembre 2010, citata nelle due ordinanze, aveva convalidato la «lista di Vaduz», cioè un altro elenco di evasori che era stato ottenuto nel 2007 dai servizi segreti tedeschi. Per l’utilizzabilità delle prove acquisite con analoghi sistemi, si era in tal caso invocato l’obiettivo cogente di assicurare una decisa lotta ai fondi illecitamente costituiti nei cd paradisi fiscali. Delle molte considerazioni svolte dalla Cassazione si passerà in esame quella, appunto, della “recessività” della riservatezza bancaria nei confronti dell’accertamento tributario, andando poi a valutare come gli ormai numerosi accordi stipulati bilateralmente anche con Stati un tempo in black list abbiano fortemente ridotto l’utilizzabilità del segreto bancario anche a livello internazionale. Che cosa è la “lista Falciani”. La “lista Falciani” è un elenco di conti e documenti relativi a quasi 130.000 clienti della HSBC Private Bank di Ginevra, provenienti da 183 Paesi, tra cui più di 10mila italiani. I file erano stati copiati dai sistemi informatici della banca da Hervé Falciani, un ingegnere italo-francese che aveva lavorato per la banca e che nel 2009 aveva invece iniziato a collaborare con le polizie di molti Paesi. Negli 8 anni di servizio presso la banca, Falciani aveva realizzato che buona parte della grande massa di denaro dei clienti sembrava provenire da fortune di origine illecita, spesso nascoste al fisco dei Paesi d’origine, ma a volte derivanti anche da reati più gravi mafia, corruzione, etc. , con fondi, spesso occultati a nome di società costituite in paradisi fiscali. Falciani, dopo aver progettato e realizzato una scientifica asportazione dei dati, alla fine del 2008 ha lasciato la Svizzera per rifugiarsi in Francia. Nel gennaio 2009 la magistratura francese – su richiesta della magistratura elvetica che lo accusava di spionaggio finanziario, violazione del segreto commerciale e del segreto bancario – ne sequestrava il computer nella sua casa di Mentone. Le informazioni finivano così nelle mani del fisco francese ed, in parte, delle autorità di altri Paesi, per l’Italia inizialmente della Procura di Torino e poi di altre. Colpito da un mandato di arresto internazionale richiesto dalla Svizzera, Falciani - che ben si può definire un whistleblower della finanza come Snowden lo è stato poi dell’intelligence – dopo aver vissuto nascosto in Francia, sarà poi arrestato in Spagna e messo in libertà vigilata ma l’Audencia Nacional spagnola ne rifiuterà l’estradizione richiesta dalla Svizzera. A partire dal novembre 2014, dapprima un tribunale belga, subito dopo due giudici istruttori parigini, hanno messo sotto accusa la banca per riciclaggio di proventi di frode fiscale ed intermediazione finanziaria illegale. Dal internet si apprende che nel febbraio di quest'anno anche la magistratura svizzera ha messo sotto accusa la Hsbc Private Bank per riciclaggio aggravato e ne ha perquisito la sede di Ginevra. Il c.d. segreto bancario. Con l’espressione “segreto bancario” viene definita una norma consuetudinaria per secoli consolidata nei rapporti bancari, in base alla quale la banca tiene riservate le notizie del cliente in ordine ad i suoi rapporti di conto e deposito. Un tempo, la norma fondante di tale consuetudine si ritraeva persino dalla Carta Costituzionale, specie dagli articoli sull’inviolabilità del domicilio e sulla segretezza della corrispondenza si riteneva, infatti, che la banca dovesse considerarsi “domicilio patrimoniale” del cliente. Il segreto bancario che ne derivava, parte di un disegno costituzionale ancor più ampio basato sull’iniziativa economica e sulla raccolta del risparmio, si poteva ricostruire come uno dei vari aspetti del “diritto alla riservatezza” del cittadino, cioè del diritto ad escludere altri dalla conoscenza di fatti o notizie private, che tali dovevano rimanere. Dapprima la giurisprudenza costituzionale e della Corte di Cassazione sent. del 18 luglio 1974 c.d. caso Banca Vonwiller poi le modifiche legislative, specie in campo fiscale, ne hanno via via ristretto l’ambito di applicazione. Ancor prima della Legge 413/1991 in materia di utilizzo di dati bancari ai fini tributari, una serie di principi elaborati in sede internazionale, quali le Raccomandazioni del G.A.F.I. del 1989 e le successive Direttive Comunitarie contro il riciclaggio del denaro sporco, tradotte poi nelle legislazioni nazionali, avevano ulteriormente limitato il cd diritto alla riservatezza bancaria. Veniva, infatti, richiesta la completa tracciabilità e ricostruibilità delle operazioni effettuate dalla clientela e l’obbligo di segnalare quelle considerate “sospette” ad una Agency nazionale chiamata ad approfondirle ed inviarle agli Organi Investigativi e Giudiziari. Si aggiunga che nel nostro Paese il reato di riciclaggio, sin dalla sua attuale formulazione risalente al 1993, prevede come “reato presupposto” qualunque delitto non colposo, ivi compreso quindi quello in materia tributaria. Aspetti di legittimità costituzionale. La Corte di Cassazione si preoccupa nelle due ordinanze di escludere dall’utilizzo dei dati bancari in questione ogni eventuale violazione di valori costituzionalmente rilevanti. Lo fa anzitutto richiamando passate sentenze della Corte Costituzionale che avevano affermato che l’evasione fiscale costituisce atto di particolare gravità che rappresenta la rottura del vincolo che lega tra loro i cittadini e comporta la violazione di uno dei doveri inderogabili di solidarietà su cui – secondo l’interpretazione data all’articolo 2 della Costituzione – si fonda la convivenza civile ordinata ai valori di libertà individuale e giustizia sociale. In particolare, in tema di legittimità di un accertamento tributario basato su informazioni bancarie, la Cassazione richiama la decisione della Corte Costituzionale sentenza 51/1992 che aveva già previsto che al diritto al riserbo - cui le banche sono tradizionalmente tenute in relazione alle operazioni e ai servizi svolte per conto dei clienti - non corrisponde in capo ai singoli una posizione soggettiva costituzionalmente protetta, né tanto meno un diritto alla personalità. Ciò in quanto la sfera di riservatezza con la quale vengono tradizionalmente trattati i conti e le operazioni degli utenti dei servizi bancari è da considerarsi direttamente strumentale all’obiettivo della sicurezza e del buon andamento dei traffici commerciali. A livello dei principi costituzionali resta quindi fermo che le scelte discrezionali del legislatore, ove si orientino a favore della tutela del segreto bancario, non possano spingersi fino al punto di fare di questo ultimo un ostacolo all'adempimento di doveri inderogabili di solidarietà, primo fra tutti quello di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva articolo 53 Costituzione . Né, tantomeno, ne può derivare il benché minimo intralcio all'attuazione di esigenze costituzionali primarie, come quelle connesse all'Amministrazione della Giustizia ed, in particolare, al perseguimento dei reati. Il segreto bancario, ritenuto in correlazione soltanto alla sicurezza e al buon andamento dei traffici commerciali, non può perciò considerarsi un diritto costituzionale della persona. Segreto bancario e accordi per lo scambio delle informazioni. Gli Stati regolano con apposite Convenzioni l’esercizio della propria potestà impositiva al fine di eliminare le doppie imposizioni sui redditi prodotti all’estero dai propri residenti . Le Convenzioni hanno anche lo scopo di prevenire l’evasione fiscale e prevedono perciò disposizioni in tema di cooperazione amministrativa e scambio di informazioni fiscali. In genere si ispirano al modello di convenzione elaborato in sede OCSE. Esigenze di contrasto all’evasione fiscale internazionale, non disgiunte dalla necessità di fare fronte, anche in tale modo, alla crisi dei debiti sovrani, hanno portato l’OCSE ad introdurre nel modello il nuovo articolo 26 per elevare lo standard in materia di scambio di informazioni. Conseguentemente, il nostro Paese ha chiesto che tale standard sia recepito nei nuovi Accordi e ha concluso numerosi protocolli di modifica per aggiornare a tale standard le Convenzioni già esistenti, molte di queste con Paesi un tempo inseriti in black list. L’Italia ha oggi in essere Convenzioni bilaterali con circa 100 Paesi, tra cui di recente la Santa Sede, che per la prima volta ha firmato un accordo del genere. L’accordo recentemente firmato con la Svizzera è una modifica, appunto, della Convenzione già esistente e riveste particolare importanza per l’Amministrazione Finanziaria italiana. La Confederazione, come noto, è stata in passato destinataria di forti flussi di denaro provenienti dal nostro Paese, spesso a seguito di illeciti fiscali. Dopo i numerosi provvedimenti di “scudo” alcune stime parlavano ancora di 250/300 miliardi di euro, non regolarizzati, che cittadini e imprese italiane deterrebbero presso intermediari finanziari svizzeri. Il Protocollo con la Svizzera, firmato il 23 febbraio 2015 a Milano, modifica l’articolo 27 della precedente Convenzione prevedendo lo scambio di informazioni anche su richiesta dell’Agenzia delle Entrate, nonché il superamento del segreto bancario. Un’apposita road map porterà, tra l’altro, Italia e Svizzera allo scambio automatico di informazioni secondo lo standard OCSE. Inoltre sono stati firmati 9 TIEA Tax Information Exchange Agreement secondo altro modello elaborato sempre in sede OCSE, destinato allo scambio di informazioni fiscali tra Paesi, giurisdizioni e territori con i quali non sono in vigore Convenzioni. Questi per l’Italia sono, al momento Bermuda, Cayman, Gibilterra, Isole Cook, Guernsey, Isola di Man, Isola di Jersey e recentemente Liechtenstein e Monte Carlo. Si tratta di informazioni finora fornite su richiesta, ma gli accordi prevedono la possibilità che lo scambio diventi automatico nel 2017/18 quando diventerà operativo il Common reporting standard di matrice OCSE. Tutte le giurisdizioni, in particolare le piazze finanziarie, sono state incoraggiate dall’OCSE - G20 a seguire tale tempistica. Nell’ottobre 2014, a Berlino, 94 giurisdizioni tra cui tutti i 28 Paesi UE hanno annunciato la loro adesione al calendario di implementazione 58 giurisdizioni si sono impegnate a scambiare informazioni automatiche nel 2017, 36 giurisdizioni si sono impegnate con una tempistica posticipata di un anno 2018 . I recenti accordi con Paesi quali la Svizzera, il Liechtenstein e Monte Carlo entreranno in vigore solo dopo le ratifiche dei Parlamenti dei rispettivi Stati, e da allora sarà possibile richiedere le informazioni, le risposte fornite tuttavia retroagiranno a dati o fatti precedenti, a partire dalla data di firma del rispettivo accordo. L’accordo, con gli Stati Uniti per lo scambio automatico di informazioni fiscali, firmato nel gennaio 2014, è invece già in corso di ratifica parlamentare. I recenti accordi con gli Stati esteri hanno fatto sì che questi ultimi non siano considerati black list ai fini della legge sulla Voluntary disclosure, con conseguente beneficio, per gli aderenti, in termini di riduzione delle sanzioni e degli anni accertabili. Come contraltare si pone un ovvio incremento di rischio per i contribuenti che non intendessero aderire alla Voluntary Disclosure ed alla correlata e temporanea sino al 30 settembre 2015 non applicabilità del nuovo reato 648 ter 1 autoriciclaggio del codice penale, che altrimenti colpirebbe l’occultamento di fondi di illecita provenienza. Dal 2014 le banche elvetiche hanno iniziato a inviare lettere ai clienti invitandoli a regolarizzare la loro situazione fiscale, consigliando loro di avvalersi del provvedimento italiano di Voluntary disclosure. In questo, le banche elvetiche sono allineate sulla posizione della loro Autorità di vigilanza FINMA . L’OCSE si era già da prima occupato anche di Voluntary Disclosure, svolgendo ampie analisi dei programmi del genere adottati dal 2009 da oltre 35 Paesi. Essi mostravano che più di mezzo milione di contribuenti avevano in tal modo fatto emergere redditi e ricchezze nascosti alle loro autorità fiscali per una somma complessiva allora calcolata in oltre 37 miliardi di euro. L’OCSE ha così consigliato a tutti i Paesi di adottare tali programmi ed ha aggiornato le politiche da seguire in questo settore in un rapporto denominato appunto «Offshore voluntary disclosure comparative analysis, guidance and policy advice». Il provvedimento italiano sulla Voluntary Disclosure recepisce tali indicazioni. Esiste ancora il segreto bancario? Pochi anni dopo la fuga di Falciani all’estero con i files dei clienti della sua banca ed il mandato di arresto internazionale conseguitone, tutti i Paesi – comprese proprie le ex “roccaforti” del segreto bancario - stanno cooperando o si accingono a farlo, sotto l’egida sovranazionale, per rimuovere ostacoli allo scambio di informazioni bancario-finanziarie sui loro clienti in contropartita con le Autorità fiscali estere. Il c.d. segreto bancario, già fortemente inciso dalle norme antiriciclaggio, non potrà più essere opposto neppure a quei fini fiscali che sinora lo hanno ampiamente motivato. Difficile dire quanto lo scandalo provocato dal whistleblower della finanza abbia, almeno in parte, inciso su questo sta di fatto che la trasparenza finanziaria esce ora dai confini nazionali ed interagisce con un mondo sinora troppo spesso caratterizzato da paradisi fiscali e paesi in black list. * Le opinioni espresse dall’Autore non impegnano in alcun modo l’Istituto di appartenenza