Beni direttamente connessi all’oggetto del procedimento: sulla legittimità del sequestro preventivo non si discute

Il sequestro preventivo richiede una specifica relazione tra il bene e il reato, nonché la finalità di evitare il perfezionamento dell’ iter criminoso e il consolidamento degli effetti dell’illecito.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 13905 del 24 marzo 2014. Il caso. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Benevento convalidava il sequestro compiuto dalla polizia giudiziaria nel procedimento a carico di un uomo, relativo a sette telecamere, un decoder e denaro, relativamente all’imputazione di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990 Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope . L’uomo ricorre per cassazione, lamentando il difetto di una concreta e diretta relazione con il reato commesso. Connessione diretta. Il ricorso è palesemente infondato facile comprendere che le telecamere e il decoder erano chiaramente funzionali allo scopo di venire a conoscenza per tempo dell’eventuale presenza delle forze dell’ordine nelle vicinanze il denaro derivava, evidentemente, dalla vendita dello stupefacente. Si tratta, quindi, di beni costituenti corpo del reato ai sensi dell’art. 253 c.p.p., essendo utilizzati per commetterlo e costituendone il prodotto, il profitto o il prezzo. Il ricorso deve, quindi, essere rigettato, in quanto se i beni sequestrati sono strettamente e direttamente connessi con l’oggetto del procedimento, il riferimento alla disciplina di cui agli artt. 253 Oggetto e formalità del sequestro e 355 c.p.p. Convalida del sequestro e suo riesame è obbligato.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 febbraio – 24 marzo 2014, n. 13905 Presidente Romis – Relatore Blaiotta Motivi della decisione 1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Benevento ha convalidato il sequestro compiuto dalla polizia giudiziaria nel procedimento a carico di F.N., relativo a sette telecamere, un decoder, danaro per complessivi 9000 euro circa in relazione all'imputazione di cui all'art. 73 del d.p.r. 309 del 1990. Il provvedimento è stato oggetto di richiesta di riesame, respinta dal Tribunale di Benevento. 2. Ricorrono per cassazione F.N., indagato, nonché P.R. e G.D., nella veste di proprietarie. Si espone che il sequestro preventivo richiede una specifica relazione tra il bene ed il reato, nonché la finalità di evitare il perfezionamento dell'iter criminoso ed il consolidamento degli effetti dell'illecito. Nel caso di specie l'unico bene riconducibile a tale fattispecie è il danaro, senza che venga tuttavia esplicitata la relazione di esso con gli specifici illeciti oggetto del procedimento. Analogamente è a dirsi degli altri beni, oggetto di sequestro probatorio, difettando l'indicazione di una concreta e diretta relazione con il reato commesso. 3. L'impugnazione può essere decisa nell'udienza odierna, nonostante l'adesione del difensore all'astensione dalle udienze dichiarata dalla Categoria. Invero questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare il condiviso principio che nei procedimenti relativi a misure cautelari reali non è consentita l'astensione dalle udienze da parte del difensore che aderisce ad una protesta di categoria, ciò in quanto l'art. 4 del Codice di Autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati , adottato il 4 aprile 2007, e avente valore di normativa secondaria, escludendo la possibilità di astenersi nelle udienze afferenti misure cautelare si riferisce a tutte le misure cautelari, e, quindi, non solo a quelle personali ma anche a quelle reali Cass. VI, 12 luglio 2013, Rv. 256444 . 4. Il ricorso è infondato. Il provvedimento impugnato pone in luce che il ricorrente è indagato in ordine al reato sopra indicato e che è sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari. Si espone altresì che in relazione all'ipotesi accusatoria oggetto del procedimento la polizia giudiziaria è addivenuta al sequestro di un decoder, di telecamere a circuito chiuso, di numerose banconote per oltre 9000 euro occultate in alcune tazze ed in un borsello, nonché di un bilancino di precisione rinvenuto sul terreno in adiacenza ad una delle finestre dell'abitazione. Le telecamere ed il decoder sono chiaramente funzionali allo scopo di tenere sotto stretta sorveglianza l'androne del palazzo, la porta d'ingresso dell'abitazione, il pianerottolo e tutta la zona antistante in modo tale da poter controllare in tempo l'eventuale presenza delle forze dell'ordine. Da tale ricostruzione dei fatti emerge che si è chiaramente nell'ambito di cose costituenti corpo del reato ai sensi dell'articolo 253 essendo state utilizzate per commettere il reato e costituendone il prodotto, il profitto o il prezzo. Tale valutazione non mostra il dedotto vizio di violazione di legge. Infatti, con lineare analisi della vicenda si espone la stretta e diretta connessione dei beni sequestrati con l'oggetto del procedimento le telecamere erano accessori al fine di consentire lo svolgimento dell'attività illecita contestata e le cospicue somme di denaro derivavano, evidentemente, dalla vendita dello stupefacente. Correttamente dunque si fa riferimento alla disciplina di cui agli articoli 253 e 355 cod. proc. pen. Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.