Donna e madre di un bimbo di neanche 3 anni, ma incline al delitto: sì al carcere

Di fronte alla condotta tenuta dalla donna, capace di violare ripetutamente i vincoli imposti col regime degli arresti domiciliari, passa in secondo piano la sua situazione familiare, ossia il suo ruolo di madre di un bambino, con lei convivente.

Dato di fatto indiscutibile la giovane donna, finita sotto accusa per aver preso parte ad una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, è madre di un bambino di neanche 3 anni di età. Ma ciò non può rappresentare un mezzo da utilizzare per evitare il peggioramento della misura cautelare subita, ossia il passaggio dai semplici arresti domiciliari alla custodia in carcere. Decisiva è la valutazione della condotta tenuta dalla donna, capace di replicare, più e più volte, la violazione dei domiciliari, provando poi ad appigliarsi strumentalmente al proprio ruolo di madre. Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza numero 10260/14 depositata oggi Dietro le sbarre. Netta la posizione assunta dai giudici, i quali hanno valutato come corretto «l’aggravamento degli arresti domiciliari, sostituiti con la custodia in carcere» nei confronti di una giovane donna, resasi protagonista, secondo l’accusa, di un’associazione operativa sul fronte del «traffico di sostanze stupefacenti». E tale misura cautelare è ‘sigillata’ nonostante la donna sia madre. Proprio su questo punto, però, ella si sofferma con attenzione, evidenziando la propria condizione di «madre di prole di età non superiore ai 3 anni, con lei convivente», e sostenendo, quindi, la illegittimità della decisione di ‘mutare’ gli «arresti domiciliari» in «custodia in carcere». Personalità. Ma l’obiezione non regge. Almeno questa è l’opinione dei giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, alla luce della ricostruzione della vicenda, evidenziano il peso specifico del comportamento tenuto dalla donna, la quale ha violato gli «obblighi imposti con gli arresti domiciliari precedentemente concessi». Detto in maniera ancora più chiara, «se la eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari richiesta per l’applicazione della misura custodiale di massimo rigore per i soggetti contemplati dall’art.275 del c.p.p.» – in questo caso, per la precisione, «donna madre di prole di età inferiore a 3 anni, con lei convivente» – «è quella di contemperare le necessità di cautela con le esigenze di tutela di particolari condizioni personali», tuttavia «la trasgressione delle prescrizione imposte con gli arresti domiciliari palesa una situazione nella quale la sussistenza di dette condizioni perde effettivo rilievo, in quanto risulta evidente che esse non impediscono comunque la elusione delle regole dettate per la misura meno afflittiva, giustificandosi, conseguentemente» la revoca dei domiciliari e la «sostituzione con la custodia cautelare in carcere». Tale visione si attaglia perfettamente alla vicenda ciò perché la donna si è resa protagonista di «reiterate violazioni», ultima, in ordine di tempo, quella relativa a una «visita» non autorizzata al marito, «ristretto presso una casa circondariale». Peraltro, evidenziano ancora i giudici, la donna ha provato a fare un «uso strumentale della maternità». Complessivamente, è evidente la «pericolosità» della donna, in possesso di una «personalità proclive al delitto» e tendenzialmente indifferente alle «elementari regole di comportamento imposte dal regime custodiale applicato».

Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 12 febbraio – 4 marzo 2014, numero 10260 Presidente Teresi – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. II Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 2.7.13 ha respinto l'appello proposto avverso l'ordinanza con la quale, in data 15.4.2013, il Tribunale di Castrovillari aveva disposto l'aggravamento della misura cautelare degli arresti domiciliari, sostituiti con la custodia in carcere, nei confronti di A.I., quale indagata del reato di cui agli articolo 74, commi 1, 2, 3 e 4 in relazione all'articolo 80, comma 2 d.P.R. 309\90. Avverso tale pronuncia la predetta propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia. 2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rilevando che, versando ella nelle condizioni di madre di prole di età non superiore a tre anni, con lei convivente, il Tribunale non avrebbe specificato, così violando il disposto dell'articolo 275, comma 4 cod. proc. penumero , quali fossero le eccezionali esigenze cautelari giustificanti l'aggravamento della misura. Osserva, a tale proposito, che, essendosi già concluso il giudizio di primo grado, non potrebbe tenersi conto dell'esigenza contemplata dall'articolo 274, comma 1, lett a cod. proc. penumero , mentre dovrebbe escludersi il pericolo di fuga di cui alla lettera b del medesimo articolo, in quanto l'allontanamento dal domicilio sarebbe stato contenuto nel tempo, mentre il pericolo di reiterazione del reato di evasione non potrebbe essere preso in considerazione, non essendo della stessa specie di quello per il quale si procede. Aggiunge che il Tribunale si sarebbe limitato a formulare un giudizio prognostico sfavorevole circa il futuro rispetto degli obblighi imposto dal regime cautelare meno afflittivo, senza indicare la eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari. Rileva, inoltre, che il Tribunale avrebbe errato anche nel ritenere l'aggravamento della misura cautelare previsto dall'articolo 276, comma 1-ter cod. proc. penumero di automatica applicazione, mentre avrebbe dovuto invece considerare la prevalenza delle esigenze garantite dall'articolo 275, comma 4 cod. proc. penumero Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato. Come risulta dal ricorso e dal provvedimento impugnato, la ricorrente si trova nelle condizioni di cui all'articolo 275, comma 4 cod. proc. penumero in quanto madre di prole di età inferiore a sei anni e l'aggravamento della misura risulta disposto ai sensi dell'articolo 276, comma 1-ter cod. proc. penumero quale conseguenza della trasgressione degli obblighi imposti con gli arresti domiciliari precedentemente concessi. Occorre pertanto preliminarmente ricordare quale sia la lettura delle disposizioni dianzi richiamate effettuata dalla giurisprudenza di questa Corte. 4. Si è in particolare affermato che il requisito delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, richiesto dall'articolo 275, comma 4 cod. proc. penumero , costituisce un rafforzamento degli indicatori del pericolo di reiterazione il quale, nell'ipotesi di cui all'articolo 274 cod. proc. penumero , riguarda una elevata probabilità di reiterazione, che, nel caso dell'articolo 275 cod. proc. penumero , diviene certezza della ripetizione Sez. VI numero 15016, 2 aprile 2013 Sez. Il numero 32472, 30 agosto 2010 Sez. V numero 2240, 19 gennaio 2006 . Tali esigenze sono peraltro desumibili dagli stessi elementi indicati per le ordinarie esigenze cautelari specifiche modalità e circostanze del fatto e personalità dell'indagato desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali Sez. V numero 2240, 19 gennaio 2006, cit. . Si è ulteriormente specificato Sez. II numero 11714, 28 marzo 2012 che la disposizione in esame è finalizzata a garantire a determinati soggetti, che versano in condizioni particolari, l'applicazione di misure alternative alla custodia in carcere, presupponendo un affievolimento delle esigenze di cautela determinato da tali condizioni e garantendo la tutela della persona impedendo che «la stessa custodia carceraria possa atteggiarsi paradossalmente quale strumento contrario alle esigenze di umanizzazione , che la stessa esecuzione penale è chiamata a rispettare per dettato costituzionale», ricordando anche come, in altra occasione Sez. I numero 5840, 6 febbraio 2008 , si sia affermato che il divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere trova fondamento «nel giudizio di valore operato dal legislatore, nel senso che sulla esigenza processuale e sociale della coercizione intramuraria debba prevalere la tutela di altri interessi, considerati poziori in quanto correlati ai fondamentali diritti della persona umana sanciti dall'articolo 2 della Costituzione, dei quali costituisce speciale esplicazione il diritto alla salute». 5. Per ciò che concerne, invece, l'articolo 276, comma 1-ter cod. proc. penumero , si è precisato che la revoca degli arresti domiciliari in caso di trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione della misura e la sostituzione della stessa con la custodia in carcere è obbligatoria ed esclude che al giudice, una volta accertata detta trasgressione, possa essere riconosciuto un potere di rivalutazione delle esigenze cautelari Sez. VI numero 3744, 23 gennaio 2013 Sez. V numero 15053, 18 aprile 2012 Sez. V numero 1821, 17 gennaio 2012 Sez. V numero 42017, 2 novembre 2009 Sez. VI numero 12313, 19 marzo 2008 Sez. VI numero 5690, 5 febbraio 2008 Sez. VI numero 9245, 9 marzo 2005 Sez. V numero 47643, 9 dicembre 2004 . Si è anche escluso che la disposizione codicistica in esame possa porsi in contrasto con principi costituzionali, ricordando come la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza numero 40 del 2002, abbia riconosciuto in essa una presunzione di inadeguatezza degli arresti domiciliari, conseguente alla trasgressione delle prescrizioni, la quale non esclude, tuttavia, che il fatto idoneo a giustificare la sostituzione della misura possa essere comunque apprezzato dal giudice in tutte le sue connotazioni strutturali e finalistiche, per verificare se la condotta di trasgressione in concreto realizzata presenti quei caratteri di effettiva lesività alla cui stregua ritenere integrata la violazione che la norma impugnata assume a presupposto della sostituzione, dovendosi intendersi tale affermazione del giudice delle leggi nel senso che è onere del giudice verificare l'effettiva lesività e le caratteristiche strutturali della condotta dell'indagato, che deve in concreto essere qualificata come una effettiva trasgressione Sez. III numero 28606, 17 luglio 2012. Analoghe considerazioni sono contenute in Sez. V numero 42017, 2 novembre 2009, cit. V. anche Sez. VI numero 5690, 5 febbraio 2008, cit. . Un ulteriore apporto è stato peraltro fornito anche dalle Sezioni Unite SS. UU. numero 4932, 4 febbraio 2009 , le quali hanno ricordato le indicazioni date dalla Corte Costituzionale, specificando come « sia consentito al giudice che si pronuncia sull'aggravamento di prendere in adeguata considerazione le eventuali giustificazioni già fornite dall'interessato agli organi di polizia giudiziaria che abbiano constatato l'esistenza della trasgressione». 6. Avuto dunque riguardo ai criteri ispiratori delle disposizioni in esame appena ricordati, può dirsi che se, come si è detto, la eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari richiesta per l'applicazione della misura custodiale di massimo rigore per i soggetti contemplati dall'articolo 275, comma 4 cod. proc. penumero è quella di contemperare le necessità di cautela con le esigenze di tutela di particolari condizioni personali, la trasgressione delle prescrizioni imposte con gli arresti domiciliari palesa una situazione nella quale la sussistenza di dette condizioni perde effettivo rilievo, in quanto risulta evidente che esse non impediscono comunque la elusione delle regole dettate per la misura meno afflittiva, giustificandosi, conseguentemente, l'aggravamento ai sensi dell'articolo 276, comma 1-ter cod. proc. penumero Tale aggravamento, inoltre, risulta caratterizzato da un sostanziale automatismo, atteso che, come già rilevato da questa Corte v. Sez. VI numero 3744, 23 gennaio 2013, cui si rinvia anche per i richiami ai precedenti , la lettera della norma esclude la sussistenza di un potere discrezionale in capo al giudice, essendo utilizzata, nel comma 1-ter dell'articolo 276, l'espressione «dispone» in luogo di quella «può disporre» contenuta nel primo comma e, dai lavori parlamentari preparatori, emerge che detta disposizione è stata introdotta al fine specifico di sanzionare l'indagato il quale, ponendo in essere una condotta integrante gli estremi di una evasione, dia dimostrazione di non essere meritevole del regime coercitivo meno afflittivo. 7. Venendo al caso in esame, deve rilevarsi che il Tribunale ha dato correttamente conto della sussistenza delle condizioni per l'aggravamento della misura, ponendo in evidenza che la ricorrente aveva, in precedenza, già subito un aggravamento della misura degli arresti domiciliari, sostituita con la custodia in carcere, per reiterate violazioni, consistite nel ritardato rientro all'abitazione, rispetto all'orario stabilito, per ventidue volte e che, ciò nonostante, le era stata nuovamente accordata fiducia sostituendo nuovamente la misura inframuraria con gli arresti domiciliari. Aggiungono i giudici della cautela che la donna, nel frattempo condannata ad anni 15 di reclusione in primo grado per i fatti contestati, subiva un nuovo aggravamento della misura quale conseguenza di una ulteriore violazione, avendo ella ignorato un espresso diniego del Tribunale recandosi a Catanzaro per fare visita al marito, ristretto presso la locale casa circondariale. I giudici riconoscono dunque espressamente la necessità dell'aggravamento, richiamandone l'automatismo e facendo rilevare l'uso strumentale della maternità da parte dell'indagata, stigmatizzando, inoltre, la evidente volontà della prevenuta di non osservare le prescrizioni imposte e la conseguente inadeguatezza del regime custodiale meno afflittivo. 8. Si tratta, ad avviso del Collegio, di una valutazione giuridicamente corretta, perché in linea con i principi dianzi richiamati ed adeguatamente motivata, avendo i giudici chiarito diffusamente le ragioni dell'inevitabile aggravamento. Va peraltro rilevato che le motivazioni del Tribunale pongono implicitamente in risalto la pericolosità della prevenuta ed una condotta certamente sintomatica di una personalità proclive al delitto che, unita alla gravità dei fatti contestati, mediante il richiamo alla pesante condanna subita in primo grado dalla ricorrente, rendono manifesta la sussistenza di esigenze cautelari che possono considerarsi eccezionali nel senso inteso dall'articolo 275 comma 4 cod. proc. penumero , atteso che la dimostrata indifferenza alle elementari regole di comportamento imposte dal regime custodiale applicato, anche a fronte di un espresso diniego da parte del giudice, unita agli altri dati negativi valorizzati dai giudici della cautela, rende del tutto logica una prognosi di non recidività totalmente sfavorevole. 9. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.