Confermata come salva la posizione del figlio che espone sul parabrezza della propria automobile il contrassegno assegnato al padre, utilizzandolo, pur non accompagnando il parente invalido, per accedere nelle zone a traffico limitato e per parcheggiare gratis. Per i giudici condotta deprecabile, ma nessun reato penale. Unica soluzione è la revocazione del permesso di fronte al ripetersi degli abusi.
«Condotta deprecabile» e «assai diffusa, purtroppo», ma sempre qualificabile solo come «illecito amministrativo». Nessuna conseguenza penale, quindi, per l’utilizzo ‘improprio’ del ‘permesso’ riservato agli invalidi per agevolarne la mobilità su quattro ruote – come chiarisce, ancora una volta, la Cassazione, con sentenza numero 7966, sezione Seconda Penale, depositata oggi –, ma, come extrema ratio, possibilità di «revoca dell’autorizzazione». Di padre in figlio. Ennesimo episodio, ennesima ‘fotografia’ gli italiani si raccontano anche con la capacità di interpretare la norma. Exemplum l’utilizzo ‘alternativo’ dei permessi riservati agli invalidi, ovvero l’impiego – come in questa vicenda – da parte di un figlio del pass consegnato al padre. I fatti sono semplici contrassegno, riconosciuto al padre, esposto sul parabrezza della vettura in possesso del figlio, e, quindi, possibilità di accedere «tramite corsie preferenziali e porte telematiche alla ‘zona a traffico limitato’» e parcheggio «senza pagare». Tutto ciò fidando del proprio status – falso – di «accompagnatore di servizio». Pulito. Semplici, e consequenziali, anche le accuse mosse al figlio sostituzione di persona e truffa. Ma, nelle aule di giustizia, l’uomo si salva il Giudice dell’udienza preliminare, difatti, dichiara il «non luogo a procedere» perché «i fatti non sussistono». Due visioni sostengono questa decisione da un lato, nessuna possibilità di sostenere l’ipotesi della «sostituzione di persona», perché l’uomo si è «limitato a godere di una prerogativa o ad utilizzare un permesso cui non aveva diritto» dall’altro, nessuna truffa, mancando, secondo i giudici, «l’atto di disposizione patrimoniale», «l’ingiusto profitto» e il «danno altrui», nonostante non sia stato possibile «contestare le infrazioni amministrative» e l’ente comunale abbia dovuto subire «il mancato versamento delle somme che sarebbero state dovute in conseguenza delle violazioni amministrative o per la sosta del veicolo all’interno di zone a traffico limitato». Pessime abitudini. A contestare la pronuncia è il Pubblico Ministero, che critica ogni aspetto delle valutazioni compiute dal Giudice dell’udienza preliminare e che chiede, col ricorso per cassazione, un sovvertimento totale, ossia il riconoscimento tout court delle accuse mosse all’uomo. Per sostenere questa tesi, peraltro, il Pubblico Ministero sottolinea che l’uomo si è attribuito «una falsa qualità» a cui «l’ordinamento attribuisce effetti giuridici», e che col suo comportamento ha creato un danno economico all’amministrazione comunale, soprattutto tenendo presente il valore riconosciuto, nei Bilanci, agli «introiti» legati alle violazioni del Codice della Strada. Di fronte alla vicenda – l’ennesima su un fronte sempre caldo – dai giudici della Cassazione arriva una doppia valutazione quella etica e quella giuridica. Da quest’ultimo punto di vista, anche alla luce di una giurisprudenza che si va facendo più corposa, l’esposizione «sul parabrezza dell’automobile» di un «contrassegno per invalidi, rilasciato ad altra persona che non si trova a bordo del veicolo» non può essere catalogata come reato penale, né inteso come sostituzione di persona né come truffa. Per molteplici ragioni «la mera esposizione, sul parabrezza, del contrassegno è un comportamento del tutto neutro» «poco significativo che l’invalido, al momento del presunto abuso, non si trovi sull’automobile» «dall’utilizzazione abusiva del permesso» nessuna «attribuzione per il conducente del veicolo» «se il profitto conseguito era quello derivante dalla circolazione abusiva dell’autovettura al servizio dell’invalido, esso era un fatto del tutto neutro agli effetti di un ipotetico danno del Comune, perché quella condotta non era destinata a spostare risorse economiche». Resta, infine, il fronte etico in questo caso, l’uso «indebito ed abusivo» dell’autorizzazione alla circolazione rilasciata a persona invalida è «condotta invero deprecabile e purtroppo assai diffusa» e oggetto di una «specifica previsione normativa che riconduce il fatto nell’ambito di un mero illecito amministrativo». Ma, mettendo da parte l’etica, il ricorso del Pubblico Ministero va rigettato in toto di conseguenza, viene definitivamente considerata salva la posizione del figlio, di fronte alle accuse di sostituzione di persona e di truffa.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 30 novembre 2011 – 29 febbraio 2012, numero 7966 Presidente Sirena – Relatore Cervadoro Svolgimento del processo Con sentenza del 1.3.2011, il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Firenze dichiarava non luogo a procedere nei confronti di A.P. in ordine ai reati di sostituzione di persona e truffa continuata, perché i fatti non sussistono, ritenendo che il fatto così come descritto al capo a dell'imputazione per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, indebitamente utilizzato in più occasioni il permesso per invalidi numero 125 rilasciato dal Comune di Campi Bisenzio in favore del padre A.G. e telepass abbinato numero 0150146942, esponendoli sul veicolo nella sua disponibilità targato AS536GB, in assenza dell'invalido permesso grazie al quale, accedeva tramite corsie preferenziali e porte telematiche alla ZTL ove parcheggiava senza pagare alcunché, così attribuendosi falsamente per almeno 100 volte lo status di “accompagnatore al servizio” non sia neppure astrattamente riconducibile al delitto di sostituzione di persona la “sostituzione di persona” comporta l'assunzione da parte di qualcuno dell'identità di altra persona e non si assume l'identità di altra persona semplicemente con l'esposizione sul cruscotto dell'automobile di un permesso di sosta intestato a quest'ultima. Nel. caso di specie, l'incolpato si è limitato a godere di una prerogativa o ad utilizzare un permesso di cui non aveva diritto. Anche il reato di truffa di cui al capo b non è ipotizzabile, i n quanto nella fattispecie manca l'atto di disposizione patrimoniale che è causa dell'ingiusto profitto con altrui danno. Ciò perché non è ravvisabile un atto di disposizione nel fatto che gli organi proposti al controllo, indotti in errore, non abbiano potuto contestare le infrazioni amministrative, né nel fatto che l'ente comunale abbia subito l'inadempienza dell'agente, per il mancato versamento delle somme che sarebbero state dovute in conseguenza delle violazioni amministrative o per la sosta del veicolo all'interno di zone a traffico limitato. Avverso la suddetta sentenza, il P.M. presso il tribunale di Firenze ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi 1. - Violazione dell'articolo 494 c.p. per avere il g.u.p disatteso la giurisprudenza di questa Corte di legittimità la quale ha ravvisato la sostituzione di persona nell’ipotesi in cui un soggetto si attribuisca una falsa qualità alla quale l'ordinamento attribuisce effetti giuridici 2. - Violazione dell'articolo 640 C.P. atteso che sarebbe limitativa ogni interpretazione riduttiva di patrimonio e di “atto di disposizione negativo” in quanto «oggi gli introiti delle violazioni al CDS sono addirittura poste attive dei bilanci, sia preventivi che consuntivi, delle amministrazioni comunali e quindi il loro mancato introito costituisce sia di fatto che di diritto un vero e proprio atto di disposizione negativo» 3. - Violazione dell'articolo 448 C.P. perché in ogni. caso, la condotta dell'imputato sarebbe penalmente rilevante con riferimento alle ipotesi di cui agli articolo 323 o 47 c.p. per avere indotto in errore i funzionari comunali avendo loro fatto falsamente avvalorare ed attestare come regolari i passaggi registrati dalle porte telematiche invece irregolari e conseguentemente inducendoli in errore e facendo loro omettere di elevare le dovute violazioni al CDS. Chiede pertanto l'annullamento dell'ordinanza. Motivi della decisione Il ricorso è infondato, e va rigettato. 1. - Questa Corte pronunciando su casi del tutto analoghi, ha più volte affermato che non integra il delitto di sostituzione di persona, né quello di truffa ai danni dell'ente territoriale che esercita la vigilanza della viabilità, la condotta di colui che, al fine di accedere all'interno di una zona a traffico limitato, e percorrere le corsie preferenziali di un centro urbano, esponga sul parabrezza dell'auto un contrassegno per invalidi, rilasciato ad altra persona che non si trova a bordo del veicolo v. Cass. Sez. II, sent. numero 4490 del 18.1.2012, P.M. Firenze c/Covali Sez. II sent. numero 42988/2011 rv. 251068 Sez. II, sent. numero 45328/2011 rv. 251220 Sez. II, sent. numero 24454 del 24 marzo 2011, P.G. Firenze c/Cerchiai +1 Sez. II, sent. numero 35004/2010 rv. 248249 Sez. II, sent. numero 1389/2010, e - in riferimento al solo reati di cui all'articolo 4944 c.p. - Sez. V, sent. numero 18080/2010 rv. 247139 in senso contrario, e in riferimento al solo reato di cui all'articolo 494 c.p., Sez. V, sent. numero 10203/2011 Rv. 249950, nella quale si, ritiene che la condotta in questione possa integrare gli estremi del reato dì sostituzione di persona, ed il fatto diverso da quello sanzionato in via amministrativa dall'articolo 188 comma quarto c.d.s, che invece concerne la condotta di chi non sia munito del eletto contrassegno o dello stesso disabile che non rispetti, le condizioni ed i limiti prescritti . 2. - Il Collegio, condividendo la giurisprudenza assolutamente prevalente in riferimento all'insussistenza di entrambi i reati ipotizzati, ritiene sufficiente osservare, che il reato di sostituzione di persona prevede, nell'indurre in errore, un comportamento attivo del soggetto agente la sostituzione illegittima e consapevole della propria all'altrui persona, o l'attribuzione di un falso nome, di un falso stato, ovvero di una qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici , e che la condotta - come contestata all'A. - non integra gli estremi del reato in questione, in virtù della mera esposizione dell'autorizzazione. Il “permesso invalidi” rappresenta, infatti, esclusivamente l'autorizzazione amministrativa per circolare in zone altrimenti interdette, rilasciata per quell'autovettura, in quanto al servizio della persona invalida e la mera esposizione, sui parabrezza dell'autovettura autorizzata, del relativo contrassegno, è un comportamento del tutto neutro ed è, poco significativo che l'invalido, al momento del presunto “abuso” non si trovi sull'auto, in quanto ad esempio potrebbe essere sceso per recarsi a visita medica o altrove , che non implica di per sé una “dichiarazione” di attestazione della presenza del titolare del permesso a bordo dell'autovettura medesima, come presupposto dell'autoattribuzione della qualità di “accompagnatore” da parte del conducente. Dall'utilizzazione abusiva del permesso, e in assenza, di qualsivoglia dichiarazione a riguardo né dal capo di imputazione, né dal provvedimento impugnato, né dal ricorso si evince che l’A. sia stato in qualche occasione fermato dai vigili, né che abbia dichiarato alcunché non può ritenersi infatti alcuna attribuzione, neppure indiretta, per il conducente del veicolo, di una qualifica soggettiva. Quanto, al reato di truffa, rileva il Collegio che, nel caso in esame, manca, come requisito implicito della fattispecie tipica del reato di truffa, l'atto di disposizione patrimoniale che costituisce l'elemento intermedio derivante dall'errore ed è causa dell'ingiusto profitto con altrui danno. Ciò perché, pur ammettendosi la configurabilità di un atto dispositivo di carattere omissivo, l'atto di disposizione patrimoniale non potrebbe essere ravvisabile nel fatto che gli organi comunali di controllo, indotti in errore, non abbiano contestato le infrazioni amministrative, né nel fatto che l'ente comunale abbia subito l'inadempienza dell'agente. Il reato non sarebbe infatti comunque ipotizzabile, perché manca in casi del genere la necessaria cooperazione della vittima. Inoltre, non ricorrerebbe la necessaria sequenza “artificio - induzione in errore - profitto”, perché, al contrario, il profitto della condotta contestata agli imputati sarebbe realizzate immediatamente, grazie all'elusione dei controlli, e al conseguente, mancato versamento delle somme che sarebbero dovute in conseguenza delle violazioni amministrative, o per la sosta del veicolo all'interno di zone a traffico limitato. Peraltro, tra i contravventori e la pubblica amministrazione non sussisteva, prima delle violazioni amministrative che costituirebbero il sostrato economico della truffa, alcun rapporto di “debito”, tributario o di altra natura sicché il comportamento fraudolento in nessun modo poteva correlarsi ad un “danno” dell'ente territoriale interessato, neppure dilatando al massimo la nozione di atto di disposizione di carattere omissivo. Se il profitto conseguito dagli imputati, infatti, era quello derivante dalla circolazione “abusiva” dell'autovettura al servizio dell'invalido, esso era un fatto del tutto neutro agli effetti. di un ipotetico danno del comune di Firenze, proprio perché quella condotta non era destinata a spostare “risorse” economiche dal soggetto in ipotesi “truffato” all'autore di tale condotta. Simili. principi, d'altra parte, ha applicato la giurisprudenza di questa Corte, anche quando ha affermato che non integra il delitto di tentata truffa la condotta costituita dalla produzione di falsa documentazione a sostegno di un ricorso al Prefetto avverso l'ordinanza-ingiunzione di pagamento di una. sanzione amministrativa per violazione delle norme sulla circolazione stradale. 3. - A ciò aggiungasi che la condotta di uso indebito ed abusivo dell'autorizzazione alla circolazione rilasciata a persona invalida, condotta invero deprecabile e purtroppo assai diffusa, è oggetto di una specifica previsione normativa, che riconduce il fatto nell'ambito di un mero illecito amministrativo, al quale peraltro l'Amministrazione potrebbe far conseguire la ben più efficace misura della revoca dell'autorizzazione, ove reiteratamente utilizzata in modo “abusivo”, e per interessi diversi da quelli dell’invalido. Nell'articolo 188 C.d.S., comma 4 e nel 5, sono infatti contemplate tutte le possibili ipotesi di abuso delle strutture stradali riservate agli invalidi, dalla loro utilizzazione in assenza di autorizzazione, o fuori delle condizioni e dei limiti dell'autorizzazione, all'uso improprio dell'autorizzazione. Dal confronto tra “eccesso d'uso” e l’”uso improprio” dell'autorizzazione, si evince chiaramente la volontà del legislatore di “coprire” con la norma speciale anche i casi di chi utilizzi indebitamente un permesso invalidi altrui, consentendo - anche in questo caso - l'operatività del principio di specialità di cui alla L. 24 novembre 1981, numero 689, articolo 9, applicabile quando il medesimo fatto sia punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa come, ad esempio, in tema di inottemperanza del conducente di un veicolo all'invito a fermarsi da parte di un ufficiale di polizia municipale, nel qual caso questa. Corte ha ritenuto ravvisabile l'illecito amministrative previsto dall'articolo 192 C.d.S., comma 1, e non il reato di inosservanza dei provvedimenti dell'autorità previsto dall'articolo 650 c.p. V. Cass. Sez. I, sent. numero 36736/2008 rv 241127 Sez. I, sent. numero 3943/2008 rv 213382 . 4. - La censura di cui all'ultimo motivo circa la violazione dell'articolo 48 c.p. in riferimento ad ipotesi di cui all'articolo 323 c.p. o 477 c.p., per aver fatto avvalorare ai funzionari comunali come regolari i passaggi invece irregolari registrati dalle porte telematiche, è del tutto generica. Nel ricorso, il pubblico ministero non ha contestato la ricostruzione dei fatti, effettuata dal giudice delle indagini preliminari, nel provvedimento emesso a seguito di richiesta di decreto penale di condanna per i reati. di cui all'articolo 494 e 640, così come rubricati nella richiesta medesima, né indica. quali siano gli estremi in fatto e in diritto in relazione alla condotta descritta al capo b per la configurabilità, dei reati, attribuibili all'autore mediato ex articolo 48 c.p., di abuso di ufficio o, in alternativa, di falsità materiale in certificati o autorizzazioni amministrative, limitandosi invero a citare una sentenza di questa Corte Sez. V sent. numero 15860/2006 Rv. 234601 , che - pronunciando nella ben diversa ipotesi di produzione di false planimetrie a corredo di una richiesta di permesso a costruire e di induzione del pubblico ufficiale a commettere abuso di ufficio - ha ritenuto insussistente il reato di cui all'articolo 323 c.p., avendo la volontà viziata del pubblico ufficiale semmai prodotto un falso ideologico. Peraltro, proprio la motivazione della citata e non pertinente sentenza, avrebbe dovuto suggerire al ricorrente una più approfondita articolazione del motivo, nonché qualche opportuna riflessione circa la configurabilità di ulteriori e diversi reati essendo chiaro che, se il fatto commesso dall'autore immediato non ha integrato il reato ex articolo 323 c.p., dello stesso non può comunque rispondere l'autore mediato , e la diversità ontologica dei fatti, riconducibili in astratto ai reati accennati nel motivo, in via alternativa. Né la genericità delle deduzioni a riguardo consente, comunque, di ritenere che gli elementi presi in considerazione dal giudice possano essere superati in dibattimento, in riferimento ad una eventuale riqualificazione giuridica dei fatti, tramite l'acquisizione di nuovi elementi di prova. P.Q.M. Rigetta il ricorso.