Disciplina applicabile in caso di successione nel tempo di norme processuali

La Corte di legittimità si interroga sull’applicabilità della disposizione di cui all’articolo 629-bis c.p.p. introdotta dal legislatore con la l. numero 103/2017 in riferimento a procedimenti conclusi prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina.

La vicenda. Con la sentenza numero 40146/18, depositata il 7 settembre, la Cassazione decide sul ricorso ex articolo 625-ter c.p.p. presentato da un imputato avverso la sentenza del Tribunale di Roma pronunciata nella sua contumacia. Il ricorrente sostiene di essere stato in una situazione di incolpevole ignoranza del processo e di aver nominato nel procedimento un difensore di fiducia e di aver eletto domicilio presso il suo studio. Il Tribunale aveva disposto la rinnovazione della notifica del decreto di citazione a giudizio nei confronti dell’imputato e del suo difensore, il giudice aveva verificato la ritualità della notifica via fax ed aveva preso atto della rinuncia al difensore del mandato. Seguiva dunque la nomina di un difensore d’ufficio. Il ricorrente sosteneva però di non aver avuto comunicazione della rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia, il quale, peraltro, non avrebbe consegnato il fascicolo processuale al nuovo difensore. Disciplina applicabile. L’articolo 625-ter c.p.p. è stato abrogato da parte dell’articolo 1, comma 70, l. numero 103/2017 che ha introdotto il nuovo articolo 629-bis c.p.p. secondo il quale «la richiesta è presentata alla Corte d’Appello nel cui distretto ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento a pena di inammissibilità [] entro 30 giorni dal momento dell’avvenuta conoscenza del procedimento». Posto che la sentenza impugnata e la richiesta di rescissione sono antecedenti all’entrata in vigore dell’articolo 629-bis, la Corte affronta la questione della disciplina applicabile ratione temporis. Ripercorrendo l’evoluzione giurisprudenziale sul tema ed il dibattito dottrinale successivo, il Collegio, precisando che nel caso di specie assume rilevanza l’intervento legislativo in tema di mezzi di gravame proponibili, giunge ad affermare che, al fine dell’individuazione della disciplina applicabile ratione temporis, occorre far riferimento al momento in cui è stata emessa la decisione impugnata. Conseguentemente «i provvedimenti emessi prima della entrata in vigore del nuovo articolo 629-bis c.p.p. continueranno ad essere impugnabili secondo le norme previgenti il nuovo articolo 629-bis c.p.p. troverà applicazione solo per i provvedimenti emessi dopo l’entrata in vigore del nuovo testo normativo». Nel merito. Passando all’esame del merito del ricorso, la Corte afferma che al momento in cui fu rinnovata la notifica del decreto di citazione a giudizio l’avvocato di fiducia non aveva ancora formalizzato la rinuncia al mandato, risultando dunque regolare la notifica stessa. Essendo per il resto generiche le motivazioni addotte dal ricorrente, la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 marzo – 7 settembre 2018, numero 40146 Presidente Villoni – Relatore Silvestri Ritenuto in fatto 1. Il 14/06/2017 P.A. ha proposto personalmente ricorso ex articolo 625 ter cod. proc. penumero avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Roma il 3/02/2015. P. sostiene a di essere in una situazione di incolpevole ignoranza del processo, nel corso del quale era stato dichiarato assente b di aver nominato nel procedimento un difensore di fiducia e di avere eletto domicilio presso lo studio di questi c che il Tribunale, all’udienza del 15/07/2014, aveva disposto la rinnovazione della notifica del decreto di citazione a giudizio nei confronti dell’imputato e del suo difensore d che il Giudice, all’udienza del 3/02/2015, verificò la ritualità delle notifiche effettuate via fax, prese atto della intervenuta rinuncia al mandato del difensore - fatta pervenire da questi il giorno prima - e nominò un difensore d’ufficio, in presenza del quale il processo fu trattato e deciso e di non aver ricevuto dal difensore rinunciante la comunicazione della rinuncia f che il difensore rinunciante, contrariamente a quanto da lui affermato, non avrebbe consegnato il fascicolo processuale al nuovo difensore. Tale situazione, si afferma, avrebbe determinato una incertezza non solo sulla correttezza della notifica del decreto di citazione a giudizio, ma sulla stessa conoscenza da parte dell’imputato della celebrazione del processo, tenuto conto, da una parte, che nella comunicazione effettuata il 2/02/2015 il difensore aveva affermato di aver rinunciato al mandato dal 2013, e, dall’altra, del compromesso stato fisico e mentale dello stesso P. . Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Sotto un primo profilo, è infondato l’assunto del Sostituto Procuratore Generale secondo cui, a seguito della intervenuta abrogazione dell’articolo 625 ter cod. proc. penumero da parte dell’articolo 1, comma 70, l. 23 giugno 2017, numero 103 e dell’introduzione dell’articolo 629 bis cod. proc., ad opera del successivo comma dello stesso articolo di legge, la richiesta in esame dovrebbe essere trasmessa alla Corte di appello di Roma. Il nuovo articolo 629 bis cod. proc. penumero , in vigore dal 3 agosto 2017, dispone che la richiesta è presentata alla Corte di appello nel cui distretto ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento a pena di inammissibilità entro trenta giorni dal momento dell’avvenuta conoscenza del procedimento . 3. Il tema attiene al se la nuova disposizione processuale sia applicabile alla fattispecie in esame in cui sia la sentenza, sia la richiesta di rescissione del giudicato sono antecedenti alla entrata in vigore dell’articolo 629 bis cod. proc. penumero In caso di successioni di norme processuali, il principio a cui fare riferimento è quello del tempus regit actum che, in assenza di una norma espressa di diritto transitorio, opera alla stregua di un criterio generale. Due le direttrici fondanti da un lato, la non retroattività della nuova legge procedurale, sicché gli atti compiuti mantengono la propria efficacia anche sotto l’impero della diversa legge processuale sopravvenuta dall’altro, l’efficacia immediata della novella, di talché tutti gli atti successivi rispetto all’entrata in vigore della nuova norma devono essere compiuti secondo i presupposti richiesti dalla modifica normativa. La difficoltà è storicamente correlata alla esatta individuazione dell’actus e del tempus. Il principio tempus regit actum rappresenta in ambito processuale la trasposizione della regola generale dell’efficacia immediata dell’atto, il che postula a che intervenuta una nuova legge processuale penale, questa regola lo svolgimento del processo dal momento in cui entra in vigore b che gli atti di un procedimento, iniziato con la legge processuale abrogata, mantengono il loro vigore. I casi più complessi di diritto intertemporale sono costituiti dalle ipotesi in cui il ricambio normativo intervenga su atti in corso di compimento o su effetti non ancora esauriti. Non si pongono particolari questioni in rapporto agli atti compiuti e agli atti esauriti che saranno sempre regolati dalla norma abrogata, né per quanto concerne gli atti futuri, regolati dalla normativa sopravvenuta. Il tema attiene agli atti pendenti al momento della successione, in particolare quelli che hanno natura complessa e che non sono ancora perfettamente integrati. 4. Le Sezioni Unite si sono pronunciate più volte in relazione a vicende specifiche di modifica della legge processuale. 4.1. In particolare, Sez. U, numero 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236537 che esplicita la distinzione tra modifiche legislative che attengono alla categoria del regime delle impugnazioni l’espressione è proprio coniata dalla sentenza , catalogando in tale gruppo omogeneo diversi ambiti processuali suscettibili di modifiche legislative e ricomprendendovi tutti i casi di successione di leggi relative alla facoltà di impugnazione, alla sua estensione, ai modi ed ai termini per esercitarla, e modifiche legislative che, invece, si riferiscono al procedimento di impugnazione. Il principio affermato è il seguente ai fini dell’individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell’impugnazione. In particolare, la decisione in esame ritiene irragionevoli gli esiti ai quali condurrebbe il riferire la legge applicabile a quella vigente al tempo in cui l’atto di impugnazione è presentato, potendosi determinare una asimmetria tra le posizioni di più parti impugnanti, collegata ai tempi, spesso differenti, per la proposizione dell’impugnazione stessa, a loro volta influenzati da eventi casuali o aleatori adempimenti di cancelleria, vicende della notifica ed altro . A completamento di quanto appena esposto, le Sezioni unite Lista hanno evidenziato la necessità che l’actus vada focalizzato ed isolato, sì da cristallizzare la disciplina giuridica ad esso riferibile il concetto di atto deve essere rapportato, come incisivamente precisato in dottrina, allo stesso grado di atomizzazione che presentano le concrete e specifiche vicende disciplinate dalla norma processuale coinvolta nella successione . L’atto cioè va considerato nel suo porsi in termini di autonomia rispetto agli altri atti dello stesso processo . La sentenza, nel richiamare Sez. U, numero 16101 del 27/3/2002, D., Rv. 221278 in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, afferma che il quadro normativo delle impugnazioni deve essere ricostruito tenendo presente la disciplina del tempo in cui è sorto il relativo diritto . Nel medesimo senso, si sono pronunciate, nella giurisprudenza civile, tra le altre Sez. U, numero 16618 del 27/07/2007, Rv. 598243/01 Sez. U, numero 27172 del 20/12/2006, Rv. 593733/01 Sez. 1, numero 5925 del 24/03/2016, Rv. 639059/01. 4.2. Sez. U, numero 4265 del 25/02/1998, Gerina, Rv. 210199, in materia di prove, si sono pronunciate seguendo una prospettiva, solo in parte diversa da quella della sentenza delle Sezioni Unite Lista, valorizzata con riferimento ad atti che, secondo la motivazione, non hanno mera funzione autoreferenziale, né si consumano con effetti istantanei quali, invece, istanze, eccezioni, atti di impugnazione o altro atto di impulso da eseguire in una data forma ed entro certi termini , bensì hanno una struttura plurifasica quali appunto quelli che compongono il procedimento di acquisizione ed utilizzazione delle prove . Al di là dell’ampio dibattito dottrinario derivato dalla sentenza in questione, sostanzialmente riferito allo specifico tema del rapporto tra il principio del tempus regit actum e il divieto di utilizzabilità probatoria sopravvenuto dopo l’acquisizione dell’atto, ciò che pare doversi evidenziare in questa sede è, da una parte, l’approccio di metodo individuato dalla Corte, caratterizzato dalla volontà di superare operazioni interpretative meramente assiomatiche, e, dall’altra, la necessità di distinguere le singole categorie di atti processuali e i principi peculiari della singole materie. 4.3. Si tratta di affermazioni che non paiono distanti da quelle poi riprese da Sez. U, numero 27919 del 31/03/2011, Ambrogio, Rv. 250195, in tema di successione di norme e misure cautelari e dalle impostazioni volte a temperare il rigore del principio del tempus regit actum in nome di valori e principi specifici derivanti da una attenta disamina della complessiva disciplina legale della materia cautelare. La Corte, pur non giungendo ad affermare che nella materia cautelare il principio tempus regit actum, nella sua accezione atomistica più rigorosa, non trovi applicazione, ha distinto - un profilo genetico, relativo ai presupposti fondanti il provvedimento dispositivo della misura cautelare, destinato ad essere ricompreso in un atto istantaneo, ma naturalmente destinato a produrre effetti protratti nel tempo, cioè una situazione pendente fino al momento della cessazione, per qualunque causa, della restrizione - un profilo dinamico, relativo allo status indotto dal provvedimento genetico per il quale, tuttavia, non vi è alcuna fissità e, al contrario, si impone una continua verifica circa il permanere delle condizioni che hanno determinato la limitazione della libertà personale e la scelta di una determinata misura cautelare. Pare sostenibile che, nella sentenza esaminata, le Sezioni unite, da una parte, abbiano recepito, riferendosi al tempus regit actum, la distinzione dottrinaria tra atto generatore e fatto - lo status detentionis - generato, ma, dall’altra, abbiano poi fatto applicazione del principio indicato nella accezione secondo cui, pur volendo ipotizzare che effetti dell’atto possano essere disciplinati dalla norma sopravvenuta, nondimeno questa non potrebbe mai incidere sull’atto generatore del rapporto. 4.4. Non diversamente, in Dottrina, quanto alla nozione di actus, tendenzialmente si esclude che esso coincida con l’intero procedimento o con i suoi stati o gradi o fasi, atteso che, in tal caso, tutti i processi pendenti continuerebbero ad essere regolati sempre e soltanto dalle norme vigenti alla sua instaurazione e il principio generale diverrebbe quindi quello della efficacia differita delle nuove norme, in contrasto con la disposizione dell’articolo 11 delle preleggi. È consolidata l’affermazione secondo cui la regola della efficacia immediata delle nuove disposizioni possa essere correttamente mantenuta solo se per actus si intenda ciascun atto da compiere o fatto processuale. Si assume che la forma, le modalità, i requisiti di validità soggettivi ed oggettivi dei singoli atti processuali e, persino, la spettanza e l’esercizio di una determinata attività, dovrebbero essere sempre regolati dalla legge del tempo in cui l’atto è compiuto o l’attività esercitata. Inteso nel modo indicato, la corretta applicazione del principio tempus regit actum implica la individuazione di due serie di atti processuali regolati da due leggi diverse quelli compiuti, che restano disciplinati dalla legge del tempo in cui furono posti in essere, e quelli da compiere che sarebbero regolati dalla legge sopravvenuta. Le difficoltà derivano dal fatto che l’atto processuale, anche quando ben individuato, non è di agevole isolamento e le difficoltà in proposito si riflettono sul risultato di certezza del diritto. Secondo autorevole Dottrina, quanto agli atti c.d. pendenti al momento della successione tra norme, essi dovrebbero essere identificati con gli atti complessi non ancora perfettamente integrati secondo l’impostazione in parola, con riferimento agli atti complessi, alla norma sopravvenuta sarà consentito regolare il compimento dei singoli atti - parti dell’atto complesso - successivi alla sua entrata in vigore, mentre non potrà operare per rivalutare gli atti già compiuti. Quanto, invece, agli atti con effetti non esauriti, secondo una prima impostazione, la nuova normativa non potrebbe mai travolgere la parte di effetti già prodottasi, né può impedire o regolare diversamente gli effetti futuri ogni modifica degli effetti non può che fondarsi necessariamente sulla valutazione dell’atto generatore a cui gli stessi vanno normativamente collegati. Il canone tempus regit actum postula, pertanto, che tutti gli effetti, compresi quelli futuri, rimangano sempre assoggettati alla disciplina vigente al momento della perfezione dell’atto. Secondo altro orientamento, il principio tempus regit actum, inteso come applicazione immediata della legge successiva, sarebbe sì in grado di incidere su situazioni di rilevanza e su effetti attuali in corso, sorti da atti già compiuti, a condizione che ciò non intacchi il c.d. atto generatore. 5. In applicazione dei principi indicati, pare al Collegio, per la soluzione della questione di diritto intertemporale in esame - che non attiene ad atti strutturalmente complessi ovvero ad effetti non esauriti, ma che inerisce al c.d. regime delle impugnazioni - di dover fare riferimento al principio espresso dalle Sezioni unite nella sentenza Lista e, quindi, alla legge vigente al momento di emissione del provvedimento impugnato. Nel caso affrontato dalle Sez. Unite Lista , la successione di leggi concerneva l’an del diritto ad impugnare e il problema interpretativo afferiva all’applicabilità ai procedimenti in corso della norma di cui all’articolo 9 della legge numero 46 del 2006, che aveva abrogato l’articolo 577 cod. proc. penumero , cioè il potere della parte civile di proporre gravame agli effetti penali nei casi di ingiuria e di diffamazione. Le odierne modifiche riguardano non la impugnabilità del provvedimento nei cui riguardi si richiede la rescissione, quanto, piuttosto, il modo con cui può essere proposta la impugnazione, cioè il mezzo di gravame proponibile sulla natura di mezzo di impugnazione del rimedio della rescissione del giudicato, Sez. U, numero 36848 del 17/07/2014, Burba, Rv. 259990 . Dunque, in applicazione del principio di diritto affermato dalle Sez. U. Lista , occorre fare riferimento al momento in cui è emessa la decisione impugnata i provvedimenti emessi prima della entrata in vigore del nuovo articolo 629 bis cod. proc. penumero continueranno ad essere impugnabili secondo le norme previgenti il nuovo articolo 629 bis cod. proc. troverà applicazione solo per i provvedimenti emessi dopo la entrata in vigore del nuovo testo normativo. in tal senso, seppur con riferimento alla sentenza di non luogo a procedere, Sez. 5, numero 10142 del 17/01/2018, C., Rv. 272670 Sez. 5, numero 46430 del 13/09/2017, Bruzzese, Rv. 271853 . Si tratta di una conclusione non difforme da quanto affermato incidentalmente in motivazione da Sez. U., numero 14800, del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, intervenuta in altra fattispecie ricorso personale dell’imputato , tenuto peraltro conto che, ove pure si volesse fare riferimento al momento della proposizione della richiesta di rescissione, nondimeno nella specie il nuovo articolo 629 bis cod. proc. pen, non potrebbe trovare applicazione. 6. Esclusa, quindi, la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Roma, la richiesta di rescissione è inammissibile perché manifestamente infondata. Dall’esame degli atti emerge che all’udienza del 15/07/2014, l’imputato, non comparso, fu rappresentato e assistito dall’avv. Giampiero Forte, nell’occasione sostituito, ai sensi dell’articolo 102 cod. proc. penumero , dall’avv. Mauro Bottoni nell’occasione il Tribunale dispose la rinnovazione della notifica del decreto di citazione a giudizio all’imputato ed al difensore. Alla successiva udienza del 3/02/2015, il Tribunale acquisì la rinuncia del difensore di fiducia, datata 02/02/2015, con cui questi, dopo aver rinunciato al mandato difensivo, precisò di aver restituito tutti i fascicoli giacenti nello studio a far data dal 2013 . Dunque, a differenza di quanto sostiene il ricorrente, una rinuncia al mandato del 2015 ed un’attestazione della avvenuta restituzione alla parte di tutti i fascicoli che erano presso lo studio legale dal 2013. Al momento in cui fu rinnovata la notifica del decreto di citazione a giudizio, l’avv. Forte, dunque, a era ancora il difensore di fiducia dell’imputato b era ancora il domiciliatario di P. . Ne deriva che la notifica compiuta dopo l’udienza del 15/07/2014 fu regolare. Tali elementi devono essere posti in connessione con l’attestazione dello stesso difensore di avere provveduto, a seguito della rinuncia, a restituire i fascicoli all’imputato si tratta di una attestazione che comprova che, successivamente alla rinuncia, il difensore ebbe un contatto con il P. . Rispetto a tale quadro di riferimento, l’assunto del ricorrente è generico per più ragioni P. , nella sua richiesta, non ha affatto affermato di non aver avuto conoscenza del processo, essendosi limitato solo a prospettare la possibilità di una sua ignoranza cfr., pag. 3 richiesta rescissione del giudicato , e, soprattutto, non ha allegato nessun elemento da cui poter ipotizzare, anche astrattamente, che davvero il difensore rinunciante non restituì i fascicoli al suo non più assistito. Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito come la rescissione del giudicato possa essere disposta solo a condizione che il condannato provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo . in tal senso si è fatto discendere un onere a carico del richiedente di allegazione della documentazione a sostegno, che nella specie non è stato assolto Sez. U., Burba, cit . 7. Ne discende l’inammissibilità della richiesta. Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare nella misura di duemila Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.