Il ne bis in idem secondo il Massimario

Ripercorrendo la recente evoluzione giurisprudenziale, non solo di merito e di legittimità, ma anche e soprattutto europea, l’Ufficio del Massimario penale della Corte di Cassazione ha dedicato al tema del ne bis in idem, nella sua accezione sostanziale e processuale, la relazione numero 26 dello scorso 21 marzo.

La sentenza Grande Stevens. La relazione numero 26 dell’Ufficio del Massimario Penale della Corte di Cassazione offre un approfondito esame dell’istituto del ne bis in idem ed evidenzia l’evoluzione giurisprudenziale nazionale ed europea sull’istituto, partendo dalla sentenza Grande Stevens c. Italia del 4 marzo 2014 che «aveva stabilito con nettezza che uno stesso fatto non potesse essere sanzionato due volte, dapprima nel procedimento amministrativo in materia di abusi di mercato ex articolo 187-ter d.lgs. numero 58/1998 , caratterizzato da una tale afflittività del peso della sanzione da essere senza dubbio ricompreso nella “materia penale” individuata secondo i criteri di Engel, e quindi, successivamente, in un procedimento penale sorto sugli stessi fatti, in base al reato di cui all’articolo 185 d.lgs. numero 58/1998». Corte di Cassazione. La giurisprudenza nazionale non è comunque rimasta inerme diversi provvedimenti della Corte di Cassazione sono intervenuti in termini chiari sul tema sottolineando come «nella considerazione tradizionale che, nel nostro sistema improntato ad una concezione legale del reato, il principio sancito dall’articolo 649 c.p.p. ed il divieto di un doppio giudizio non possano che riferirsi alla categoria degli illeciti penali». Grande Chambre, A e B c. Norvegia. Successivamente la medesima Corte EDU ha proposto un nuovo parametro valutativo con la sentenza Grande Chambre, A e B c. Norvegia del 15 novembre 2016, con la quale hanno fatto “irruzione” i requisiti della connessione sostanziale e temporale tra i due procedimenti. In tale contesto, sottolinea la relazione, «la rimeditazione della garanzia convenzionale operata dalla Corte EDU impone di ampliare la prospettiva di verifica oltre le categorie della “materia sostanzialmente penale” e dell’identità del fatto, pur rimanendo fondamentale – beninteso – definire tali concetti e farli vivere nei casi concreti».

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