Il filtro sul contenuto dell’atto d’appello dopo la pronuncia delle Sezioni Unite

Una recentissima sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 27199/17 ha dipanato i dubbi relativi all’esatta interpretazione degli artt. 342 e 434 c.p.c. e sorti all’indomani dalla novella del 2012 con la quale è stato introdotto quello che, tanto nel linguaggio degli operatori del diritto quanto nella relazione illustrativa al d.l. 22 giugno 2012, n. 83, è stato definito il filtro in appello.

Introduzione. Propriamente con tale espressione ci si è riferiti ad un duplice filtro. Il primo attiene al merito della domanda ed è quello previsto dall’art. 348- bis c.p.c. in forza del quale quando il gravame sia privo di una ragionevole probabilità” di accoglimento andrà dichiarato inammissibile, tramite un giudizio prognostico alla stregua della valutazione del fumus boni iuris . Il secondo è un filtro che investe il contenuto dell’appello ed è disciplinato, appunto, dagli artt. 342 e 434 c.p.c. i quali stabiliscono, nell’attuale formulazione post-riforma del 2012, come la motivazione dell’appello debba contenere, a pena di inammissibilità l’indicazione delle parti del provvedimento appellate e delle modifiche richieste alla ricostruzione in fatto, unitamente all’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione di legge e della loro rilevanza. Proprio sul c.d. filtro sul contenuto dell’atto d’appello è intervenuta la sentenza n. 27199 del 16 novembre 2017 delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, con la quale è stato affermato il seguente principio di diritto gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella l. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l'atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado . Come si vede il tema sottoposto alle Sezioni Unite è stato quello del minimo comun denominatore che deve caratterizzare l’atto di appello dal punto di vista contenutistico in altre parole, la giurisprudenza di legittimità, con la sentenza in commento, ha fatto chiarezza sui crismi dell’impugnativa, enucleati dagli artt. 342 e 434 c.p.c Al fine di illustrare le ragioni sottese ad una siffatta statuizione, si procederà ripercorrendo i principali passaggi della sentenza per poi effettuare qualche osservazione a margine del provvedimento dei giudici di legittimità ed anche sull’opportunità della riforma del 2012, con riguardo al filtro sul contenuto dell’atto d’appello. L’interpretazione delle norme sui requisiti dell’atto di appello ante riforma. L’incipit logico-argomentativo della sentenza è l’inquadramento del giudizio di appello nel sistema delle impugnazioni. Nel richiamare il costante insegnamento della dottrina, viene ribadito come l’appello è un mezzo di gravame attraverso il quale si realizza il principio, privo di copertura costituzionale, del doppio grado di giurisdizione. Segnatamente si tratta di uno strumento caratterizzato sia dall’effetto devolutivo, ovvero limitato ai motivi, vale a dire le doglianze rivolte al provvedimento del giudice di prime cure tantum devolutum quantum appellatum , sia dall’effetto sostitutivo rispetto alla sentenza appellata, indipendentemente dall’esito della pronuncia sul merito. La convivenza dell’effetto devolutivo e di quello sostitutivo era già delineata nel testo originario del codice di procedura civile. Inoltre, come osservato da autorevoli autori si pensi a C. Mandrioli e A. Carratta ed alla di loro nota opera manualistica , specie per effetto di alcune pronunce della Corte di Cassazione tra il 1987 e il 2005, si è oramai concretato il passaggio definitivo dell’appello da novum iudicium a revisio priori instantiae . È proprio questo filone di pronunce della giurisprudenza di legittimità intervenute alla fine degli anni 80’ a costituire il punto di partenza e, come si vedrà infra, anche di arrivo della sentenza in commento. Nel dettaglio, con riferimento all’art. 342 c.p.c. ante-riforma e, quindi, alla specifica tematica dei requisiti contenutistici dell’atto di appello, nonché alla relativa inosservanza, vengono richiamate le seguenti pronunce i Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 6 giugno 1987, n. 4991. Già trent’anni fa, i giudici di Piazza Cavour, partendo dal presupposto che l’atto di appello introduce un procedimento d'impugnazione, nel quale i poteri cognitori del giudice, all'infuori delle questioni rilevabili d'ufficio, sono circoscritti dall'iniziativa della parte istante” proseguivano statuendo che l'onere della specificazione dei motivi d'appello esige che la manifestazione volitiva dell'appellante, indirizzata a ottenere la suddetta riforma, trovi un supporto argomentativo idoneo a contrastare la motivazione in proposito della sentenza impugnata, con la conseguenza che i motivi stessi devono essere più o meno articolati a seconda della maggiore o minore specificità, nel caso concreto, di quella motivazione . Tale sentenza faceva, poi, discendere dall’inosservanza del requisito della specificazione dei motivi di appello, debitamente argomentati, la nullità dell'atto di appello, quando nessun capo della sentenza del primo giudice sia censurato con sufficiente specificazione . Si trattava, tuttavia, di una nullità sanabile per effetto della costituzione dell’appellato, con salvezza dei diritti anteriormente acquisiti. ii Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 20 settembre 1993, n. 9628. Anche tale pronuncia confermava l’indirizzo giurisprudenziale suggellato con la richiamata sentenza del 1987. Veniva rilevato espressamente che l’appello non è un iudicium novum con effetto devolutivo generale ed illimitato , ma una revisio priori instantiae . Da ciò discendeva come l'assoluta genericità dei motivi d'impugnazione, che non consenta d'individuare le argomentazioni volte a confutare le ragioni addotte dal primo giudice a fondamento della decisione, è causa di nullità dell'atto di appello, sanabile con la costituzione dell'appellato . Dunque, le Sezioni Unite si mostravano coerenti con il loro precedente, ribadendo la necessità di specificazione dei motivi d’appello, adeguatamente argomentati a seconda della sentenza impugnata, a pena di nullità dell’atto comunque, sanabile con la costituzione dell’appellato . iii Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 29 gennaio 2000, n. 16. Tale pronuncia, per un verso, confermava l’indirizzo giurisprudenziale fino a quel punto cristallizzatosi tuttavia, per altro verso, escludeva l’applicabilità del regime di nullità di cui all’art. 164 c.p.c. in grado di appello. Ciò nondimeno, le Sezioni Unite statuivano come il mancato rispetto dell’art. 342 c.p.c. avrebbe comportato ugualmente la nullità dell’atto di appello, non sanabile e rilevabile d’ufficio. Tale nullità fu ritenuta da sanzionare con la pronuncia di inammissibilità dell’appello proposto, proprio perché il giudice, rilevato il vizio dell'atto, inducente il passaggio in giudicato della sentenza, non può non rilevare che il giudizio d'impugnazione non può giungere alla sua naturale conclusione e cioè al giudizio sulla denunciata ingiustizia della pronuncia impugnata . Per la prima volta, pertanto, era stata teorizzata e attuata la declaratoria di inammissibilità dell’appello per violazione dei requisiti di cui all’art. 342 c.p.c. ante-riforma, individuabili – come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità – nell’onere di specificazione dei motivi d'appello in misura tale che sia riscontrabile un supporto argomentativo idoneo a contrastare la motivazione della sentenza impugnata, e ciò in modo più o meno articolato a seconda della maggiore o minore specificità della motivazione del giudice di prime cure. Come rilevato nella sentenza in commento, la giurisprudenza successiva alle Sezioni Unite del 2000 si attenne all’orientamento testé sintetizzato, confermando la sanzione dell’inammissibilità tuttavia, il legislatore del 2012, comprensibilmente preoccupato dalla durata dei procedimenti civili unitamente alla circostanza per cui circa il 68% dei giudizi d’appello si rivelano spesso infondati , decise di intervenire profondamente sulla disciplina dell’appello, tra l’altro, riscrivendo il testo degli artt. 342 e 434 c.p.c L’assenza di contrasti giurisprudenziali, ma la necessità di chiarezza in merito al filtro sul contenuto dell’appello anche alla luce di una isolata pronuncia della Corte di Cassazione e di non isolati provvedimenti della giurisprudenza di merito. Il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012 n. 134, ha sostituito il riferimento all’esposizione sommaria dei fatti e dei motivi specifici di impugnazione presente nella vecchia formulazione degli artt. 342 e 434 c.p.c. ed ha disposto che la motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilità 1 l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado 2 l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata . L’interpretazione delle nuove” disposizioni non ha fatto insorgere un espresso contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità. Infatti, la sentenza in commento rammenta come vi siano stati più provvedimenti della Corte di Cassazione con i quali si è ribadito che i requisiti di contenuto dell’atto di appello impongono un onere di specificazione e razionalizzazione delle ragioni dell’impugnazione, tale da consentire di individuare agevolmente, sotto il profilo della latitudine devolutiva, il quantum appellatum e di circoscrivere quindi l'ambito del giudizio di gravame, con riferimento non solo agli specifici capi della sentenza del Tribunale, ma anche ai passaggi argomentativi che li sorreggono sotto il profilo qualitativo, le argomentazioni che vengono formulate devono proporre lo sviluppo di un percorso logico alternativo a quello adottato dal primo Giudice e devono chiarire in che senso tale sviluppo logico alternativo sia idoneo a determinare le modifiche della statuizione censurata chieste dalla parte Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 5 febbraio 2015, n. 2143 conforme Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 27 maggio 2015, n. 10878 Cassazione civile, III sezione, sentenza 16 maggio 2017, n. 11999 . Tuttavia, si dà atto di una pronuncia della Corte di Cassazione sentenza 7 settembre 2016, n. 17712 emessa dalla sezione lavoro e con la quale i Giudici di legittimità, dopo aver rilevato che il sintagma motivazione dell’appello usato dal legislatore artt. 342 e 434 c.p.c. è tipicamente proprio del provvedimento giudiziale , precisano che l’appello deve contenere i una pars destruens della pronuncia impugnata volta a demolire la falsa rappresentazione della realtà sulla quale essa è stata eretta e ii una pars costruens della pronuncia richiesta volta ad offrire un progetto alternativo di risoluzione della controversia, attraverso una diversa lettura del materiale di prova acquisito o acquisibile al giudizio, nei limiti consentiti in grado di appello, e previa indicazione della sua effettiva rilevanza ai fini del decidere . Insomma, in forza di quest’ultimo orientamento, non sarebbe più necessario limitarsi ad indicare il quantum appellatum e fornire le ragioni in base alle quali è chiesta la reformatio, ma sarebbe stato necessario anche introdurre il c.d. progetto alternativo di sentenza, ovviamente a pena di inammissibilità del gravame. Una tale posizione non è certamente un caso isolato della giurisprudenza di legittimità. Nella giurisprudenza di merito, a titolo esemplificativo, si segnalano le seguenti pronunce i Corte d’appello di Reggio Calabria, sentenza 27 gennaio 2014, in DeJure – secondo la quale l’appello, per superare il vaglio di ammissibilità ex art. 342 c.p.c., dovrà anche esplicitare il contenuto della nuova valutazione richiesta al giudice di secondo grado ii Tribunale di Monza, sentenza 25 marzo 2014, in Pluris – si afferma che la motivazione dell’appello deve comprendere, inter alia, l’indicazione del c.d. progetto alternativo di sentenza” rispetto a quello contenuto nella sentenza appellata iii Tribunale Roma, sentenza 28 settembre 2017, n. 18493, in Redazione Giuffrè 2017 – il giudice capitolino statuisce come sia inammissibile l’appello che si presenti come un continuum discorsivo di argomentazioni non volte alla presentazione di un progetto di sentenza alternativo a quella realmente emessa in primo grado . L’aggiunta di un quid pluris i.e. l’indicazione del progetto alternativo di sentenza , ricavato dall’ermeneutica sugli artt. 342 e 434 c.p.c., ha comportato statuizioni d’inammissibilità dell’appello pertanto, la rimessione alle Sezioni Unite della questione afferente a quali siano gli effettivi requisiti dell’atto di appello non può non ritenersi più che opportuna. Ciò anche per evitare ingiusti provvedimenti di inammissibilità da parte dei giudici di secondo grado, con conseguente allungamento dei tempi della giustizia, nel caso in cui la Corte di Cassazione, dovesse ritenere viziata la relativa declaratoria. La decisione delle Sezioni Unite un filo rosso lungo trent’anni. Come già anticipato, le Sezioni Unite con la Sentenza escludono espressamente che l’atto di appello debba rivestire forme sacramentali o debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado . In particolare, i Giudici di legittimità argomentano il decisum chiarendo che il richiamo contenuto negli artt. 342 e 434 c.p.c. alla motivazione dell’appello , non implica che il legislatore abbia inteso porre a carico delle parti un onere paragonabile a quello del giudice nella stesura della motivazione di un provvedimento decisorio giacché quello che viene richiesto [] è che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili. Tutto ciò, inoltre, senza che all’appellante sia richiesto il rispetto di particolari forme sacramentali o comunque vincolate . La sentenza, oltre a ribadire che l’appello non dovrà quindi osservare formali regole redazionali, inequivocabilmente statuisce come la modifica del 2012 agli artt. 342 e 434 c.p.c. lungi dallo sconvolgere i tradizionali connotati dell’atto di appello, ha in effetti recepito e tradotto in legge ciò che la giurisprudenza di questa Corte, condivisa da autorevole e maggioritaria dottrina, aveva affermato già a partire dalla sentenza n. 16 del 2000, e cioè che, ove l’atto di impugnazione non risponda ai requisiti stabiliti, la conseguenze è quella dell’inammissibilità dell’appello . Ma il filo rosso delle Sezioni Unite è ancor più risalente e si spinge fino alla pronuncia del 6 giugno 1987, n. 4991, testé richiamata, dal momento che, con riguardo ai requisiti contenutistici dell’atto di appello, recuperano interamente gli approdi ermeneutici degli ultimi trent’anni. Nel dettaglio, la sentenza prevede che nell’atto di appello deve affiancarsi alla parte volitiva una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice in questo sviluppo, l’interprete dovrà tenere conto che la maggiore o minore ampiezza e specificità delle doglianze ivi contenute sarà, pertanto, diretta conseguenza della motivazione assunta dalla decisione di primo grado . In altre parole, nulla di sostanzialmente diverso rispetto alle Sezioni Unite del 1987. L’appello, in definitiva, non può essere trasformato in un mezzo di impugnazione a critica vincolata, rimanendo una revisio prioris instantiae . Correttamente, l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite aveva osservato che gli esiti abortivi del processo e.g. l’inammissibilità devono costituire un’ipotesi residuale, atteso che le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, una decisione sul merito. Conclusioni. Se è indiscutibilmente vero che il fine del legislatore del 2012 è stato quello di accelerare i tempi della giustizia, segnatamente con riguardo ai procedimenti di secondo grado, ci si chiede se l’introduzione del c.d. filtro sul contenuto dell’appello abbia avuto una qualche valenza. Ebbene, al quesito deve darsi risposta negativa. Infatti, le Sezioni Unite con la sentenza in commento hanno dimostrato logicamente come la nuova formulazione degli artt. 342 e 434 c.p.c. non corrisponda a null’altro se non alla codificazione di un principio di diritto, elaborato su base giurisprudenziale a cavallo tra il 1987 e il 2000. In altre parole, la riforma – sotto questa specifica angolazione – è stata sostanzialmente neutra. Anzi, non può non notarsi come la riformulazione degli articoli abbia portato con sé un indubbio sforzo da parte degli interpreti giudici e avvocati in primis nel comprendere quale fosse il significato del c.d. filtro sul contenuto dell’appello, sia nell’ottica della redazione di un atto d’appello, sia nell’interrogativo che il giudicante si pone sulla declaratoria di inammissibilità per inosservanza di quel minimo comune denominatore previsto dalle norme. Proprio a quest’ultimo riguardo, non può tralasciarsi come la sentenza abbia fatto chiarezza sul dato noto, ma non scontato, evidentemente per il quale l’avvocato deve svolgere l’attività di avvocato, nella quale senza dubbio si colloca l’onere di specificazione delle parti del provvedimento di cui si chiede la riforma e dei motivi di appello adeguatamente motivati, ma nella quale non può certamente rientrare l’indicazione nell’atto della sentenza alternativa” quest’ultima è e resta un provvedimento di esclusivo appannaggio del giudice di secondo grado il quale, solo se persuaso dagli argomenti difensivi delle parti, vergherà di suo esclusivo pugno” una sentenza d’accoglimento dell’impugnativa proposta.