Il giudice, nell’interpretazione del contratto, non può mai sostituirsi alla volontà delle parti

Quando il senso del contratto o della clausola sia rimasto oscuro o ambiguo nonostante l'utilizzo dei criteri letterale, logico e sistematico di indagine, deve trovare applicazione il principio della conservazione degli effetti utili del contratto o di una sua clausola, previsto dall'articolo 1367 c.c

La Sezione II Civile della Cassazione ordinanza numero 19493/18, depositata il 23 luglio , ha cassato con rinvio la decisione gravata in quanto i Giudici di merito non avevano correttamente applicato le regole e i principi in materia di interpretazione del contratto. Il caso recesso dal contratto legittimo? Si discuteva, tra le altre cose, della legittimità o meno del recesso da un contratto di consulenza commerciale. La inerente clausola la cui corretta interpretazione è il leitmotiv della decisione in rassegna prevedeva «Il presente contratto avrà durata di 3 anni, dalla data del 2 gennaio 2003, sarà automaticamente rinnovato per analogo periodo, salvo disdetta per colpa grave da comunicarsi a mezzo lettera raccomandata da consegnare alle poste almeno sei mesi prima della scadenza». Con lettera del 12 maggio 2005 la società convenuta comunicava la formale disdetta dal contratto a partire dal 3 gennaio 2006, data di scadenza del triennio. La clausola contrattuale recesso possibile solo in presenza di “colpa grave”? Secondo la società attrice che aveva subito il recesso, la suddetta clausola prevedeva che la disdetta del committente fosse possibile solo in presenza di colpa grave e, in assenza di colpa grave, la disdetta doveva ritenersi priva di qualsiasi validità, per cui il contratto doveva ritenersi rinnovato per il triennio successivo . Secondo i giudici, il recesso era invece legittimo. Ma i Giudici, sia di primo, ed in particolare, di secondo grado, respingono una simile tesi interpretativa, considerando dunque validamente esercitato il recesso. I Giudici di appello avevano infatti osservato che, essendo chiarissime, logiche coerenti le previsioni della clausola quanto a scadenza del contratto disdetta anticipata di sei mesi rispetto alla prima scadenza e proroga automatica per un altro triennio in difetto di tempestiva disdetta , doveva escludersi che dall'inciso in discussione “per colpa grave” potesse con sufficiente chiarezza desumersi la comune volontà delle parti di condizionare la disdetta alla sussistenza di un simile requisito appunto, la “colpa grave” . Una interpretazione adeguatrice dell’espressione “colpa grave” era legittima. Gli Ermellini anzitutto condividono la decisione gravata laddove era stato ritenuto che l'interpretazione letterale da sola non fosse sufficiente a ricostruire la reale volontà delle parti, in quanto l'espressione della clausola per colpa grave cui era subordinata la disdetta dal contratto al termine dei tre anni, era ambigua e andava riempita di contenuto mediante il ricorso anche agli altri criteri ermeneutici che regolano l'interpretazione del contratto. Dunque, nel caso di specie, era consentita un'interpretazione adeguatrice dell'espressione per colpa grave , che ne chiarisse il senso nei termini di una condizione oggettiva o soggettiva per l'esercizio della facoltà di non rinnovare il contratto per ulteriori tre anni. La Corte di merito aveva però completamente trascurato il significato della clausola contrattuale. L'errore in cui è incorsa la Corte d'Appello, è stato però quello di ritenere che la suddetta espressione non avesse alcun significato e che la facoltà di disdetta fosse liberamente esercitabile. In altre parole, i Giudici d’appello hanno errato non perché hanno fatto ricorso a criteri ulteriori rispetto a quello del senso letterale perché gli uni possono soccorrere ed integrare l'altro , bensì perché sono giunti ad una interpretazione totalmente ablativa del significato proprio della clausola contrattuale. Nel dubbio non ogni possibile soluzione interpretativa alternativa è legittima. In tema di interpretazione del contratto, il criterio ermeneutico contenuto nell'articolo 1367 c.c. - secondo il quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno - va inteso non già nel senso che è sufficiente il conseguimento di qualsiasi effetto utile per una clausola, per legittimarne una qualsivoglia interpretazione pur contraria alle locuzioni impiegate dai contraenti, ma che, nei casi dubbi, tra possibili interpretazioni, deve tenersi conto degli inconvenienti cui può portare una o più di esse e perciò evitando di adottare una soluzione che la renda improduttiva di effetti. Il principio di diritto affermato dagli Ermellini. In conclusione, quando il senso del contratto o della clausola resta oscuro o ambiguo nonostante l'utilizzo dei criteri letterale, logico e sistematico di indagine, deve trovare applicazione il principio della conservazione degli effetti utili del contratto o di una sua clausola, previsto dall'articolo 1367 c.c. Se le clausole sono oscure, conta anche la buona fede delle parti. Ne consegue che il giudice di merito, una volta ritenute oscure ed inidonee a consentire un'inequivoca interpretazione le espressioni contenute nel contratto, deve comunque accertare se le contrapposte versioni delle parti siano corredate da buona fede, valutandone il comportamento complessivo, nonché verificare quali effetti la clausola produca. L’attività interpretativa trova un limite invalicabile nella volontà delle parti. Tuttavia, detto criterio - sussidiario rispetto al principale criterio di cui all'articolo 1362, primo comma, c.c. - condivide il limite comune agli altri criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto, cui esso è rivolto, non può essere autorizzata attraverso una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice evitarla e dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del contratto.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 23 marzo – 23 luglio 2018, numero 19493 Presidente Matera – Relatore Varrone Fatti di causa 1. Il Tribunale di Milano - nella causa promossa dalla s.r.l. P.R.I.S., nei confronti della s.r.l. Edizioni Grafiche Mazzucchelli della s.p.a. Grafiche Mazzucchelli e del signor G.P. per ottenere la declaratoria di illegittimità del recesso della s.r.l. Edizioni Grafiche Mazzucchelli dal contratto di consulenza commerciale stipulato in data 2 gennaio 2003, nonché il pagamento dei compensi maturati, il rimborso delle spese sostenute e l’indennizzo di Euro.416.527,29 per i tre anni di contratto restanti, oltre al risarcimento dei danni - dichiarava la carenza di legittimazione passiva della s.p.a. Grafiche Mazzucchelli, respingeva le domande proposte nei confronti degli altri due convenuti e condannava l’attrice alle spese di lite. 2. Avverso tale sentenza la società soccombente proponeva appello nei confronti della sola s.r.l. Edizioni Grafiche Mazzucchelli, chiedendo, in accoglimento delle proprie domande, la riforma della sentenza, e la rifusione delle spese del doppio grado. 3. La Corte d’Appello di Milano respingeva l’appello e confermava la sentenza del Tribunale. Il giudice del gravame richiamava il contenuto della clausola numero 8 del contratto intercorso tra le parti secondo cui Il presente contratto avrà durata di 3 anni, dalla data del 2 gennaio 2003, sarà automaticamente rinnovato per analogo periodo, salvo disdetta per colpa grave da comunicarsi a mezzo lettera raccomandata da consegnare alle poste almeno sei mesi prima della scadenza. Con lettera del 12 maggio 2005 la società convenuta comunicava la formale disdetta dal contratto a partire dal 3 gennaio 2006, data di scadenza del triennio. 3.1 La Corte d’Appello riteneva infondata la tesi dell’appellante secondo cui la suddetta clausola prevedeva che la disdetta del committente sarebbe stata possibile solo in presenza di una colpa grave e, in assenza di tale colpa grave, la disdetta doveva ritenersi priva di qualsiasi validità ed il contratto doveva ritenersi rinnovato per il triennio successivo. Secondo i giudici del gravame dovevano condividersi le argomentazioni spese dalla sentenza di primo grado in relazione all’interpretazione del contratto non limitata al senso letterale delle parole, non essendo chiara l’effettiva volontà delle parti. 3.2 La clausola numero 8 lungi dal rivelare con assoluta evidenza che la volontà comune delle parti fosse quella riferita dall’appellante viceversa doveva interpretarsi nel senso opposto. Altrimenti, anche nel caso di colpa grave sussistente sin dall’inizio della vigenza del contratto, la committente sarebbe stata obbligata a subirne l’esecuzione sino al 2 gennaio 2006 e, nel caso di colpa grave commessa dopo l’inizio del sesto mese antecedente a tale data, fino al 2 gennaio 2009. La clausola, pertanto, non poteva interpretarsi nel senso che la srl GM avesse inteso autorizzare l’appellante ad avere impunemente per anni comportamenti gravemente colposi. Inoltre la facoltà di recedere dal contratto per gravi inadempienze è già prevista dalla legge e dunque la clausola non avrebbe avuto alcun significato. Si trattava infatti di una disdetta e non di un recesso e risultava chiara la volontà delle parti di stabilire la durata del contratto in tre anni con la possibilità di disdetta prima della scadenza. 3.3 Anche la facoltà di recesso subordinata ad una colpa grave non corredata da alcuna individuazione dei comportamenti specifici o delle modalità di contestazione sarebbe stata talmente generica da essere, comunque, lasciata alla discrezionalità del recedente in quanto non suscettibile di verifica e controllo in base a criteri predeterminati dalla comune volontà dei contraenti. In conclusione essendo chiarissime, logiche coerenti le previsioni della clausola quanto a scadenza del contratto, disdetta anticipata di sei mesi rispetto alla prima scadenza e proroga automatica per un altro triennio in difetto di tempestiva disdetta, doveva escludersi che dall’inciso in discussione potesse con sufficiente chiarezza desumersi la comune volontà delle parti di condizionare la disdetta alla colpa grave. La Corte d’Appello rilevava che i successivi i motivi di appello relativi alle altre domande non dipendenti all’interpretazione della clausola numero 8 del contratto erano inammissibili in quanto generici. 4. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la Public relation and International Service SRL, in persona del legale rappresentante A.R. , sulla base di 4 motivi di ricorso. 5 Si è costituita con controricorso s.r.l. Edizioni Grafiche Mazzucchelli in persona del legale rappresentante Gh.Pi. . Ragioni della decisione 1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato. decisione su domanda basata su causa petendi diversa da quella fatta valere dalla parte, violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360, numero 4, c.p.c. Secondo la società ricorrente la sentenza impugnata si basava su una ragione non coincidente con quella allegata. Infatti l’attrice non aveva sostenuto che, in caso di colpa grave, il contratto dovesse comunque proseguire e che, anche laddove la colpa fosse stata commessa dopo l’inizio del sesto mese antecedente la scadenza triennale, fosse esclusa qualsiasi possibilità per il committente di far cessare il rapporto. La ricorrente aveva sostenuto che la clausola dovesse essere interpretata nel senso che il recesso fosse ammesso soltanto in presenza di colpa grave e, dunque, i giudici di merito avrebbero arbitrariamente esaminato una domanda diversa da quella proposta dalla parte basata su una causa petendi non coincidente con quella allegata dall’attrice contravvenendo il disposto dell’articolo 112 c.p.c 2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato violazione e falsa applicazione degli articoli 1453 - 1460 - 2224 - 2227 - 1363 del codice civile, in relazione all’articolo 360, numero 3, c.p.c Secondo il ricorrente la sentenza impugnata si discosta dalla portata letterale della clausola numero 8 del contratto, incorrendo in evidenti errori di diritto in quanto il contratto era disciplinato dagli articoli 2222 e seguenti c.c. contratto d’opera esplicitamente richiamati dalle parti senza perciò alcuna deroga a detta disciplina. Dunque doveva applicarsi anche l’articolo 2224 c.c. che consente al committente, in qualsiasi momento dell’esecuzione del contratto, di recedere in caso di persistente inadempimento del prestatore d’opera e, dunque, non solo in caso di colpa grave ma di qualsivoglia condotta inadempiente. Parimenti era applicabile al contratto anche la generale previsione di cui all’articolo 1453 c.c. con possibilità per il committente di risolvere il contratto per inadempimento e, ancor più semplicemente, il committente poteva avvalersi delle eccezione di inadempimento ex articolo 1460 c.c., sospendendo i pagamenti. Alla luce di tali rilievi risulterebbe evidente l’infondatezza dell’assunto del giudice di merito secondo il quale il contratto nei termini convenuti produceva l’effetto di impedire al committente legittime reazioni e tutele a fronte di condotte colpose, costringendolo a mantenere in vita il rapporto nonostante la colpa grave del prestatore d’opera. 3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato violazione e falsa applicazione degli articoli 1176, 1322, 1353 c.c. in relazione all’articolo 360, numero 3, c.p.c. Secondo il ricorrente la clausola in questione riguardava la possibilità di limitare la facoltà di disdetta in un rapporto tacitamente rinnovabile, condizionandola a determinati presupposti che la disdetta possa essere subordinata alla ricorrenza di particolari condizioni è pacificamente ammesso ad es. in materia di locazione e negare questa possibilità costituirebbe una palese violazione del principio di autonomia negoziale ex articolo 1322 c.c. anche con riferimento alla possibilità di apporre una condizione al negozio ex articolo 1353 c.c Dunque la condotta colpevole di una delle parti può essere il necessario presupposto perché l’altra parte eserciti la facoltà di disdetta, al fine di impedire il tacito rinnovo di un contratto. Si tratta di una clausola del tutto lecita, essendo espressione dell’autonomia delle parti, restando oltretutto in capo al committente tutte le tutele offerte dagli altri istituti come detto con riferimento al secondo motivo. Anche l’affermazione secondo la quale il ricorso alla semplice nozione di colpa grave nell’ambito di un regolamento contrattuale costituisce criterio di impossibile applicazione, con conseguente inefficacia della previsione, si porrebbe in aperto contrasto con le regole dell’autonomia contrattuale e con i criteri di valutazione del comportamento diligente del debitore. 4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1363, 1366, 1367, 1371 in relazione all’articolo 360, numero 3, c.p.c Il ricorrente ritiene violate le regole di ermeneutica contrattuale, in particolare quella che impone di applicare in via prioritaria e prevalente il senso letterale delle parole, mentre non sarebbe consentita una interpretazione ablativa di una parte delle stesse. In conclusione nessuna contrarietà a buona fede ad equità si profilava in relazione all’applicazione della clausola in oggetto, avendo riguardo al complesso delle norme di legge richiamate e applicabili alla fattispecie. 4.1 Il quarto motivo di ricorso è fondato e il suo accoglimento determina l’assorbimento degli altri. Con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito costituisce principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte quello secondo cui l’invocato sindacato di legittimità non possa avere ad oggetto la ricostruzione della volontà delle parti Cass. numero 7927/2017, in motiv. , essendo l’indagine ermeneutica in fatto, riservata al giudice di merito, sicché l’interpretazione del contratto può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione, nei limiti in cui, trattandosi di sentenza depositata dopo l’11/9/2012, è sindacabile ai sensi dell’articolo 360 numero 5 c.p.c., ovvero per violazione delle relative regole di interpretazione Cass. numero 2465/2015, in motiv. Cass. numero 7927/2017, in motiv. . Ciò premesso in tema di interpretazione del contratto, risponde ad orientamento consolidato che, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate Cass. numero 7927/2017, in motiv. . Secondo la giurisprudenza di legittimità, tuttavia, In materia di interpretazione del contratto, sebbene i criteri ermeneutici di cui agli articolo 1362 e ss. c.c. siano governati da un principio di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi, tanto da escluderne la concreta operatività quando l’applicazione dei primi risulti da sola sufficiente a rendere palese la comune intenzione delle parti stipulanti , la necessità di ricostruire quest’ultima senza limitarsi al senso letterale delle parole , ma avendo riguardo al comportamento complessivo dei contraenti comporta che il dato testuale del contratto, pur rivestendo un rilievo centrale, non sia necessariamente decisivo ai fini della ricostruzione dell’accordo, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali non è un prius, ma l’esito di un processo interpretativo che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore Sez. 3, Sentenza numero 14432 del 15/07/2016. 4.2 A questo proposito la Corte d’Appello correttamente ha ritenuto che l’interpretazione letterale da sola non fosse sufficiente a ricostruire la reale volontà delle parti, in quanto l’espressione della clausola per colpa grave cui era subordinata la disdetta dal contratto al termine dei tre anni era ambigua e andava riempita di contenuto mediante il ricorso anche agli altri criteri ermeneutici che regolano l’interpretazione del contratto. Dunque, nel caso di specie, era consentita un’interpretazione adeguatrice dell’espressione per colpa grave , che ne chiarisse il senso nei termini di una condizione oggettiva o soggettiva per l’esercizio della facoltà di non rinnovare il contratto per ulteriori tre anni. 4.3 L’errore in cui è incorsa la Corte d’Appello, invece,è stato quello di ritenere che la suddetta espressione non avesse alcun significato e che la facoltà di disdetta fosse liberamente esercitabile dalla s.r.l. Edizioni Grafiche Mazzucchelli. Questa interpretazione del contratto ha sostanzialmente privato di ogni significato la volontà chiaramente espressa dalle parti nella formulazione della clausola di subordinare il mancato rinnovo del contratto alla sussistenza di determinate condizioni oggettive o soggettive da ricostruirsi alla luce del complessivo contenuto negoziale. Ciò che risulta violata è la regola che impone di dare sia al contratto sia alle singole clausole di esso un significato che gli consenta di avere qualche effetto anziché un significato che non consente loro di averne alcuno articolo 1367 c.c. . L’errore della Corte d’Appello non è stato quello di ricorrere a criteri ulteriori rispetto a quello del senso letterale, perché come si è detto gli uni possono soccorrere ed integrare l’altro, bensì quello di giungere ad una interpretazione totalmente ablativa del significato proprio della clausola contrattuale. Questa Corte ha più volte affermato che In tema di interpretazione del contratto, il criterio ermeneutico contenuto nell’articolo 1367 cod. civ. - secondo il quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno - va inteso non già nel senso che è sufficiente il conseguimento di qualsiasi effetto utile per una clausola, per legittimarne una qualsivoglia interpretazione pur contraria alle locuzioni impiegate dai contraenti, ma che, nei casi dubbi, tra possibili interpretazioni, deve tenersi conto degli inconvenienti cui può portare una o più di esse e perciò evitando di adottare una soluzione che la renda improduttiva di effetti . Sez. 1, Sentenza numero 19994 del 07/10/2004. 4.4 In conclusione,quando il senso del contratto o della clausola sia rimasto oscuro o ambiguo nonostante l’utilizzo dei criteri letterale, logico e sistematico di indagine deve trovare applicazione il principio della conservazione degli effetti utili del contratto o di una sua clausola, previsto dall’articolo 1367 cod. civ Ne consegue che il giudice di merito, una volta ritenute oscure ed inidonee a consentire un’inequivoca interpretazione le espressioni contenute nel contratto, deve comunque accertare se le contrapposte versioni delle parti siano corredate da buona fede, valutandone il comportamento complessivo, nonché verificare quali effetti la clausola produca. Detto criterio sussidiario rispetto al principale criterio di cui all’articolo 1362, primo comma, cod. civ. - condivide il limite comune agli altri criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto, cui esso è rivolto, non può essere autorizzata attraverso una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice evitarla e dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del contratto Sez. 2, Sentenza numero 28357 del 22/12/2011. 5. il ricorso va accolto limitatamente al quarto motivo, assorbiti gli altri, e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano, la quale procederà ad un riesame della causa uniformandosi al principio di diritto indicato in motivazione e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano, che provvederà anche in relazione alle spese del giudizio di cassazione.