Quel principio incontestabile che non tiene conto dello stato di necessità

Gli Ermellini hanno ricordato i precedenti giurisprudenziali e i reati istantanei. La Seconda Sezione della Cassazione, presieduta da Piercamillo Davigo, ha depositato una decisione numero 29018/18 del 22 giugno su un tema che, vuoi per endemico vizio, vuoi per contingente criticità, ammorba il nostro beneamato Paese l’immondizia.

C’è chi dice – e non osiamo entrare nel merito – che la spazzatura localmente, e quasi affettuosamente, appellata con i termini «monnezza» o, più al Sud, «munnizza» sia una risorsa, ed effettivamente per qualcuno lo è. Per qualcun altro è un affare, ma nemmeno su questo tema ci azzardiamo a proferire verbo. Una cosa è sicura quando l’immondizia non serve e viene abbandonata per la strada rappresenta un problema tutt’altro che indifferente sia per l’igiene pubblica che per il decoro urbano. Nel caso che ci occupa un poveruomo veniva sorpreso a rovistare nei cassonetti, in cerca di qualcosa che potesse tornargli utile aperti i sacchi della spazzatura, procedeva a sommaria selezione del loro contenuto, abbandonando al suolo ciò che non poteva ricevere un nuovo utilizzo. Riciclo self made? Può essere, ma l’effetto collaterale non era del tutto indolore né, immaginiamo, inodore . Dalla lettura della sentenza della Cassazione apprendiamo che nei suoi confronti il pubblico ministero formulava richiesta di emissione di decreto penale di condanna per infliggerli una multa e, contemporaneamente, pensiamo noi, una lezione di educazione civica non si imbratta il suolo pubblico. Il giudice per le indagini preliminari, competente a decidere sulla richiesta del pm, rispondeva – a sorpresa - con una sentenza di proscioglimento, facendo leva sia sulla ritenuta carenza del dolo, richiesto dalla norma che incrimina il deturpamento e l’imbrattamento di cose altrui, sia sulla «natura isolata della condotta». Il Procuratore della Repubblica non ci sta, e decide di portare la questione in Cassazione una condotta del genere, è reato oppure no? Gli Ermellini, inforcati i freddi occhiali da giurista, non possono che rispondere affermativamente all’interrogativo sotteso al ricorso del pm poche battute, tutte «in diritto», per ricordare, intanto, che vi è un nugolo di precedenti giurisprudenziali secondo i quali chi rovista nell’immondizia, e poi abbandona per terra il contenuto giudicato non riutilizzabile, commette senza dubbio il reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui, previsto dall’articolo 639 c.p Questa norma punisce con sanzioni gradatamente più severe chiunque «deturpa o imbratta» cose mobili, immobili, mezzi di trasporto, cose di interesse storico o artistico il suolo pubblico certamente rientra tra le cose immobili, e in casi del genere non occorre la querela del privato perché è espressamente prevista la perseguibilità d’ufficio della condotta illecita. Abbiamo visto che il giudice per le indagini preliminari, in prima battuta, aveva prosciolto l’imputato ritenendo che la condotta di quest’ultimo non fosse sorretta dal dolo. Anche su questo punto i supremi giudici non sono d’accordo la disposizione incriminatrice è di quelle che richiedono il cosiddetto «dolo generico», cioè la semplice volontà di realizzare il fatto previsto come reato, a nulla importando l’eventuale fine specifico perseguito dall’agente il fatto che costui stesse selezionando ciò che gli serviva, dividendolo da altra roba che, provenendo dalla «monnezza», sarebbe ritornata miseramente tale, non è sufficiente per rendere lecita la condotta dell’abbandono al suolo dei rifiuti. Un altro aspetto che non ha convinto i giudici di Piazza Cavour è quello della natura episodica della condotta incriminata anche questo aspetto è irrilevante, perché il reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui appartiene alla categoria dei reati istantanei anche un singolo episodio conforme al dettato della norma penale merita la risposta punitiva. Insomma, sotto il profilo formale la decisione della Cassazione non fa una piega. Ed è apprezzabile, aggiungiamo, anche sotto il profilo degli spiragli che apre ad una possibile, futura, ulteriore soluzione proscioglitiva infatti, dopo la rampogna sulla «dannosità sociale» della condotta di chi rovista nei cassonetti e getta per terra quello che non gli torna utile, meritando così la risposta sanzionatoria, gli Ermellini chiosano ritenendo quest’ultima ragionevole, «in assenza di elementi negativi del fatto o cause di esclusione della pena». E la mente corre allo stato di necessità, che purtroppo – nelle grandi città con maggiore frequenza – spinge i più bisognosi a cercare di sopravvivere anche provando a riutilizzare ciò che altri hanno infilato nei sacchi della «monnezza».

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 7 – 22 giugno 2018, numero 29018 Presidente Davigo – Relatore Ariolli Ritenuto in fatto 1. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno ricorre per cassazione avverso la sentenza in data 12/9/2017 del G.I.P. che, in sede di richiesta di decreto penale di condanna, ha dichiarato, ai sensi dell’articolo 129 e 459, comma 3, cod. proc. penumero , non doversi nei confronti di E.D. in ordine al delitto di cui all’articolo 639, comma 2, cod. penumero perché il fatto non sussiste. 1.1. Deduce il ricorrente la violazione di legge e la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, sul rilievo che il G.I.P., pur avendo riconosciuto che l’imputato è stato autore del deturpamento e dell’imbrattamento contestati, ha escluso la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, facendo leva sulla natura isolata della condotta e nell’intenzione di disfarsi dei materiali dapprima estrapolati dai sacchi della spazzatura ed a lui non utili e quindi poi abbandonati sul suolo pubblico . Al riguardo, osserva, invece, come la fattispecie non richieda alcuna abitualità della condotta e neppure il fine di distruggere il bene, essendo sufficiente la coscienza e volontà di cagionare il deturpamento. Considerato in diritto 2. Il ricorso è fondato. 2.1. Va anzitutto precisato che corretta risulta la qualificazione giuridica del fatto operata dal giudice del merito, mentre errate sono le conclusioni raggiunte in punto di esclusione dell’elemento soggettivo. 2.1.1. Integra, infatti, il delitto di cui all’articolo 639, comma 2, cod. penumero , la condotta di chi, dopo aver rovistato nelle buste dei rifiuti conferiti in regime di raccolta differenziata, al fine di asportare quanto di suo interesse, rompa le buste che lì contengono ed asporti quanto a lui utile, abbandonando il resto sulla pubblica via, in ragione del pregiudizio dell’estetica e della pulizia conseguente, risultando imbrattato il suolo pubblico in modo tale da renderlo sudicio, con senso di disgusto e di ripugnanza nei cittadini sulla particolare natura della condotta del reato di cui all’articolo 639 cod. penumero vedi Sez. 2, numero 5828 del 24/10/2012, dep. 6/2/2013, Rv. 255241 e sulla differenza con il danneggiamento Sez. 2, numero 2768 del 2/12/2008, dep. 21/1/2009, Rv. 242708 . 2.1.2. La circostanza che l’agire dell’imputato sia stato sorretto dalla semplice volontà di disfarsi momentaneamente, ovvero, accantonare, i materiali che non erano a lui più utili, non vale però ad escludere l’elemento soggettivo del reato, ciò attenendo alle ragioni che lo hanno spinto a delinquere, profilo estraneo all’accertamento del dolo che, invece, investe la verifica della previsione e volontà del fatto tipico, cioè di tutti gli elementi oggettivi della fattispecie di reato. Trattandosi di dolo generico è indifferente per l’esistenza del reato il fine per cui il soggetto agisce, occorrendo soltanto che questi si sia rappresentato l’evento dannoso ed abbia agito di conseguenza. Nel caso in esame, dalla stessa ricostruzione del fatto operata dal giudice del merito risulta che l’imputato pose in essere un comportamento, quale quello di selezionare, accantonare e poi lasciare i materiali che non erano di suo gradimento sulla pubblica via, logicamente espressivo proprio dell’intento di deturpare ed imbrattare. 2.2. Né, infine, può escludersi il dolo in ragione della natura episodica della condotta, tenuto conto che la fattispecie non richiede affatto una ripetizione dei comportamenti verificandosi il momento consumativo del reato proprio con il prodursi dell’effetto di imbrattamento o di deturpamento e che l’abbandono ormai diffuso e sistematico dei rifiuti che non formano oggetto di diretto interesse da parte di chi rovista nei cassonetti, ha conferito all’incriminazione quella dannosità sociale sufficiente ad attribuirle legittimazione sostanziale e, dunque, in assenza di elementi negativi del fatto o cause di esclusione della pena, a rendere ragionevole l’applicazione di una sanzione penale. 3. Va, pertanto, annullata senza rinvio la sentenza impugnata, disponendosi la trasmissione degli atti al Tribunale di Salerno per l’ulteriore corso. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Salerno per l’ulteriore corso.