Sospensione condizionale della pena e reato continuato: l’autore deve aver commesso tutti i fatti dopo i 70 anni

In presenza di più episodi criminosi legati dal vincolo della continuazione, per beneficiare della sospensione condizionale della pena di cui all’articolo 163, comma 3, c.p., è necessario che tutti i fatti siano stati commessi dall’autore dopo il compimento dei settant’anni.

Così si pronuncia la Corte di Cassazione con la sentenza numero 28374/19, depositata il 1° luglio. La vicenda. La Corte d’Appello di Torino confermava la decisione del Giudice di prime cure di affermare la responsabilità penale dell’imputato per il reato di cui all’articolo 609-bis c.p., commesso ai danni di alcune minorenni. Avverso tale pronuncia, l’imputato propone ricorso per cassazione, deducendo, tra i diversi motivi, la violazione dell’articolo 163, comma 3, c.p., avendo il Giudice negato l’applicabilità di tale beneficio senza considerare che parte della condotta era stata commessa quando egli aveva già compiuto i 70 anni di età. Reato continuato e sospensione condizionale della pena al compimento dei 70 anni. La Suprema Corte dichiara manifestamente infondato il motivo prospettato dal ricorrente. Partendo dal dato testuale, la Corte osserva che ai fini dell’applicazione del beneficio di cui all’articolo 163, comma 3, c.p., è necessario che la pena irrogata non superi i 2 anni e 6 mesi e che l’autore del reato abbia compito gli anni 70 al momento della commissione del fatto. A tal proposito, gli Ermellini rilevano che nel caso in cui tra fatti oggetto di due giudizi divenuti definitivi sia stato riconosciuto il vincolo della continuazione, non viola l’articolo 164 c.p. l’estensione del beneficio della sospensione condizionale alla pena complessivamente determinata, poiché in questi casi la pluralità di condanne viene assimilata ad una condanna unica per l’unico reato continuato. Affermato ciò, gli Ermellini affermano che nel calcolo cumulativo della pena ai sensi dell’articolo 164, comma 4, c.p., il giudice può tenere conto dei limiti più ampi previsti dall’articolo 163, commi 2 e 3, c.p., per ragioni di età solo quando il primo e il secondo reato siano stati commessi quando l’imputato aveva un’età rientrante nei limiti ivi previsti. Non essendo stato ciò riscontrato nel caso concreto, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, riaffermando il seguente principio «in presenza di più episodi criminosi, avvinti dal vincolo della continuazione, ove alcuni di essi siano stati commessi in epoca in cui l’imputato non aveva ancora compiuto i settant’anni di età, non può trovare applicazione il disposto dell’articolo 163, comma 3, c.p., che presuppone che tutti i fatti siano stati commessi “da chi ha compiuto gli anni settanta”, richiedendo, dunque, che tutti i fatti, e non solo alcuni di essi, siano stati commessi dopo il raggiungimento della predetta età anagrafica».

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 aprile – 1 luglio 2019, numero 28374 Presidente Izzo – Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 12/04/2018, la Corte di appello di Torino confermava la sentenza emessa il 20/11/2014 dal Tribunale di Torino, con la quale B.L. era stato dichiarato responsabile dei reati di cui all’articolo 609 bis c.p., per aver costretto a subire atti sessuali minori che le erano state affidate quale istruttore di basket presso la scuola media statale omissis e, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante di cui all’articolo 609 bis c.p., u.c., come prevalenti sulle circostanze aggravanti contestate, era stato condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.L. , a mezzo dei difensori di fiducia, chiedendone l’annullamento ed articolando due motivi di seguito enunciati. Con il primo motivo deduce violazione dell’articolo 163 c.p., comma 3, lamentando che la Corte territoriale aveva denegato l’applicabilità del beneficio senza considerare che parte della condotta era stata commessa tra il omissis , quando l’imputato aveva già compiuto i settant’anni di età. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità, lamentando che la Corte territoriale non aveva considerato che il comportamento dell’imputato potesse essere oggetto di fraintendimento, come già valutato per le condotte in ordine alle quale era intervenuta sentenza di assoluzione in primo grado contesta, poi, l’interpretazione che la Corte territoriale aveva attribuito alla conversazione via chat riferibile ad una delle persone offese. In data 22.3.2019 la difesa del ricorrente ha depositato memoria, nella quale ha ribadito il primo motivo di ricorso, precisando che in considerazione della unicità del reato continuato perdono significato nella loro individualità le singole condotte, con la conseguenza che, nella specie, il reato doveva ritenersi commesso nel momento in cui era cessata la continuazione, momento in cui l’imputato aveva raggiunto il settantesimo anno di età, con conseguente applicabilità del disposto dell’articolo 163 c.p., comma 3. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Deve premettersi che costituisce ius receptum che, ai fini dell’applicazione della sospensione condizionale della pena ai sensi dell’articolo 163 c.p.p., comma 3, è necessario che la pena inflitta non superi i due anni e sei mesi, e che l’autore del reato abbia compiuto gli anni settanta al momento della commissione del fatto, e non a quello della celebrazione del processo Sez. 6, numero 14755 del 13/02/2013, Rv. 256143 Sez. 5, numero 11230 del 30/01/2009 Rv. 243599 Sez. 2, numero 10295 del 16/06/2000, Rv. 217414 . Ed è stato affermato che, in presenza di più episodi criminosi, avvinti dal vincolo della continuazione, ove alcuni di essi siano stati commessi in epoca in cui l’imputato non aveva ancora compiuto settant’anni, non può trovare applicazione il disposto dell’articolo 163 c.p., comma 3, che presuppone che tutti i fatti siano stati commessi da chi ha compiuto gli anni settanta Cfr Sez. 3, numero 49700 del 2018, non mass. , neppure rilevando l’eventuale circostanza che il fatto più grave sia stato commesso quando l’imputato aveva già compiuto i settant’anni. Né può rilevare, che il reato, secondo la prospettazione del ricorrente, in considerazione della unicità delle condotte, doveva ritenersi commesso nel momento in cui era cessata la continuazione e che, in tale momento, l’imputato aveva raggiunto il settantesimo anno di età. È, pur vero che, in tema di sospensione condizionale della pena, la misura massima della pena cui fa riferimento l’articolo 163 c.p. deve essere stabilita, nel caso di concorso di reati, con riguardo alla entità complessiva della pena risultante dalla sentenza di condanna e non in relazione alla pena applicata per ciascun reato, dovendo le pene concorrenti essere considerate come pena unica per ogni effetto giuridico, salvo che la legge disponga altrimenti Sez. 1, numero 39217 del 12/02/2014, Rv. 260502 Sez. 2, numero 34177 del 14/07/2009, Rv. 244998 Sez. 2, numero 1477 del 13/11/2000, Rv. 217889 e che nel caso in cui tra fatti oggetto di due giudizi divenuti definitivi sia stato riconosciuto il vincolo della continuazione, non viola la disposizione dell’articolo 164 c.p. l’estensione del beneficio della sospensione condizionale, già riconosciuto all’imputato con la prima sentenza, alla pena complessivamente determinata, in quanto in tale ipotesi la pluralità di condanne è assimilabile ad una condanna unica per l’unico reato continuato Sez. 3, numero 52644 del 25/10/2017, Rv. 272352 . Ma tale principio rileva ai fini della commisurazione del limite massimo della pena per l’applicabilità del beneficio e non può estendersi al caso di applicazione dell’articolo 163 c.p., comma 3, che, ai fini del riconoscimento dei più ampi limiti di pena, considera determinate condizioni soggettive dell’autore del reato, legate alla sua età anagrafica, ed indica il criterio cronologico di commissione del fatto, cui il legislatore riconnette valenza esclusiva ai fini del riconoscimento del beneficio. La valenza esclusiva del criterio cronologico è stata rimarcata anche in caso di una seconda applicazione del beneficio, costituendo principio consolidato, che per poter usufruire della sospensione condizionale della pena alle condizioni dell’articolo 163 c.p., commi 2 o 3, in combinato disposto con l’articolo 164 c.p., u.c., occorre che l’autore del reato rientri nelle fasce di età per le quali è previsto un limite di pena più ampio sia all’atto di commissione del primo reato sia al momento di commissione del secondo reato il giudice, quindi, nel calcolo cumulativo della pena ai sensi dell’articolo 164 c.p., comma 4, può tenere conto dei più ampi limiti previsti per ragioni di età dall’articolo 163 c.p., commi 2 e 3, solo quando sia il primo che il secondo reato siano stati commessi dall’imputato quando aveva un’ età rientrante nei limiti predetti Sez.1, numero 42822 del 06/07/2016, Rv.267803 Sez 2 numero 1538 del 14/04/1981, Bizzoca, RV 149414 . Va, quindi, riaffermato, il seguente principio di diritto In presenza di più episodi criminosi, avvinti dal vincolo della continuazione, ove alcuni di essi siano stati commessi in epoca in cui l’imputato non aveva ancora compiuto i settant’anni di età, non può trovare applicazione il disposto dell’articolo 163 c.p., comma 3, che presuppone che tutti i fatti siano stati commessi da chi ha compiuto gli anni settanta , richiedendo, dunque, che tutti i fatti, e non solo alcuni di essi, siano stati commessi dopo il raggiungimento della predetta età anagrafica . 2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Esso, infatti, non soltanto ripropone le medesime censure articolate con l’atto di appello e motivatamente respinti dalla Corte territoriale, senza alcun confronto argomentativo con la sentenza impugnata ex plurimis, Sez. 3, numero 31939 del 16/04/2015, Falasca Zamponi, Rv. 264185 Sez. 6, numero 13449 del 12/02/2014, Kasern, Rv. 259456 , ma propone doglianze eminentemente di fatto, riservate al merito della decisione. Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di vizio di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali. Nel motivo proposto, in sostanza, si espongono censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione cfr. Sez. 1, 16.11.2006, numero 42369, De Vita, Rv. 235507 sez. 6, 3.10.2006, numero 36546, Bruzzese, Rv. 235510 Sez. 3, 27.9.2006, numero 37006, Piras, Rv. 235508 . Il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lett. e , -, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata. Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. e , introdotte dalla L. numero 46 del 2006, articolo 8, non è consentito dedurre il travisamento del fatto , stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito Sez. 6, numero 27429 del 04/07/2006, Rv. 234559 Sez. 5, numero 39048/2007, Rv. 238215 Sez. 6, numero 25255 del 2012, Rv.253099 ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti cfr. Sez. 6, 26.4.2006, numero 22256, Rv. 234148 . La Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con atti del processo , specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione Sez. 4 08/04/2010 numero 15081 Sez. 6 numero 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989 Sez. 5, numero 6754 del 07/10/2014, dep. 16/02/2015, Rv. 262722 . 3. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso. 4. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. numero 186 del 13.6.2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52.