di Elisa Ceccarelli
di Elisa Ceccarelli *Il criterio in base al quale ripartire la pensione di reversibilità tra la due ex mogli superstiti e, cioè, da un lato quella divorziata e, dall'altro, quella rimasta vedova deve essere principalmente quello della durata del matrimonio. Così ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 25564 depositata il 17 dicembre 2010.La fattispecie. La ex moglie divorziata presenta ricorso al Tribunale per ottenere una quota della pensione di reversibilità dell'ex marito deceduto con il quale aveva contratto matrimonio consolare che era stato celebrato nell'Ambasciata somala a Roma.La seconda moglie si costituisce contestando che il primo matrimonio fosse valido, ai fini della quantificazione della relativa durata, dalla data della sua celebrazione. E ciò perché la data iniziale per calcolare la durata avrebbe dovuto essere individuata nella successiva data di trascrizione.Il Tribunale, ignorando queste ultime deduzioni, attribuisce una quota della pensione di reversibilità ad entrambe sulla base della durata dei rispettivi matrimoni e la Corte d'appello, investita della questione dalla seconda moglie, rigetta il gravame.La vedova propone, allora, ricorso per Cassazione avverso la decisione della Corte di merito.Prime nozze celebrate in ambasciata. La ricorrente contesta la durata del primo matrimonio poiché secondo le tesi della difesa il computo non può essere effettuato dal momento della celebrazione bensì da quello della trascrizione dato che la sede delle ambasciate non può essere equiparata al territorio dello stato di appartenenza. A supporto di quanto detto ed a conferma che il cittadino italiano non potesse contrarre valido matrimonio consolare in Italia vi sarebbe l'art 6 della Convenzione dell'Aja del 1902 la quale dispone che sarà riconosciuto dovunque come valido, quanto alla forma, il matrimonio celebrato davanti ad agente diplomatico o consolare, in conformità della sua legislazione, purché nessuna delle parti contraenti appartenga allo Stato dove il matrimonio fu contratto e purché questo Stato non vi si opponga .Per la Suprema Corte, però, il motivo non merita accoglimento. E ciò non soltanto perché la norma citata non è applicabile al caso concreto dal momento che la Convenzione non è stata ratificata dal paese estero in parola.Ed infatti, ed in ogni caso, pure a voler ammettere un vizio formale dell'atto di matrimonio occorreva tenere conto del c.d. possesso di stato conforme all'atto di celebrazione e del quale i coniugi hanno goduto per tutto il tempo della durata del matrimonio che rende i vizi meramente formali inidonei ad inficiarne la validità.La ricorrente contesta altresì sia la mancata presa in considerazione da parte della Corte di merito della durata della sua convivenza con il marito, iniziata, a suo dire, molto tempo prima del matrimonio che l'inciso della Corte d'appello inerente al rispetto da parte del Tribunale nel provvedimento impugnato delle condizioni economiche delle parti. In riferimento a questo secondo aspetto la seconda moglie contesta la mancata presa in considerazione delle cure e dell'assistenza che ella aveva rivolto al marito nell'ultimo periodo di vita.Anche questo motivo per la S.C. non può trovare accoglimento.Pensione ripartitata in base alla durata dei matrimoni. La durata del matrimonio previsto dalla Legge numero 898/1970 articolo 5 resta il criterio principale onde cui computare la quota della pensione di reversibilità spettante al coniuge superstite secondo giurisprudenza della Corte costituzionale sentenza numero 419 del 1999 ad esso può essere attribuito valore preponderante ed il più delle volte decisivo .E' sempre possibile, tuttavia, un'integrazione del parametro appena indicato ed in questo meccanismo la giurisprudenza di legittimità ha più volte indicato elementi quali le condizioni economiche degli ex coniugi, l'ammontare dell'assegno goduto dal coniuge divorziato, dai periodi di convivenza prematrimoniale solo in presenza di un'effettiva comunione di vita . Non tutti questi parametri devono essere valutati in egual misura ma essi restano nello strumentario del giudice il quale, all'occorrenza potrà applicarli. Nel caso in esame la Corte d'appello ha applicato il criterio della durata dei matrimoni senza correttivi sia per la mancanza di prova di una reale convivenza prematrimoniale della ricorrente sia per la correttezza nel rispetto delle condizioni economiche di entrambe le vedove non essendo così necessario intervenire con correttivi a favore della seconda moglie.* Dottoranda di ricerca in diritto dell'economia nell'Università di Pisa
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 novembre - 17 dicembre 2010, numero 25564Presidente Luccioli - Relatore FelicettiSvolgimento del processo1. Bo.Anumero , coniuge divorziata di R.A., con ricorso 21 febbraio 2004 chiedeva al tribunale di Viterbo che le venisse attribuita una quota della pensione di reversibilità del marito, deceduto l' OMISSIS , con il quale aveva contratto matrimonio consolare il OMISSIS , trascritto nei registri dello stato civile italiano in data 23 aprile 1972. Esponeva che essa godeva di un assegno di divorzio, che il marito dopo il divorzio aveva contratto matrimonio con B.M. e che i rispettivi matrimoni erano durati ventisette e dodici anni. B.M. si costituiva contestando che la ripartizione della pensione andasse fatta con esclusivo riferimento alla durata dei rispettivi matrimoni, contestando comunque che il matrimonio con la Bo., celebrato con rito somalo nell'ambasciata di Somalia a Roma, fosse valido nell'ordinamento italiano prima della sua trascrizione. Deduceva che, quanto alla controparte, non dovesse tenersi conto del periodo successivo alla separazione personale, mentre doveva tenersi conto che essa deducente aveva iniziato a convivere con il marito già prima del OMISSIS , data del matrimonio. Il tribunale ripartiva la pensione in base alla durata dei rispettivi matrimoni, considerando valido a tal fine quello consolare sin dalla sua celebrazione. La B. proponeva reclamo, che la Corte d'appello rigettava con decreto 1 dicembre 2005, notificato in data 1 marzo 2006. Essa ha quindi proposto ricorso a questa Corte, con atto notificato il 19 aprile 2006, formulando tre motivi. La Bo.resiste con controricorso notificato il 26 maggio 2006. Entrambe le parti hanno depositato memorie.Motivi della decisione1. Va pregiudizialmente rigettata l'eccezione d'inammissibilità del ricorso formulata dalla controricorrente, in relazione all'articolo 366 bis c.p.c., per la mancata formulazione dei quesiti, non essendo a norma del D.Lgs. numero 40 del 2006, articolo 27, detto articolo 366 bis, applicabile al ricorso in esame ratione temporis , essendo stato il provvedimento impugnato depositato anteriormente all'entrata in vigore della norma su detta.2. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell'articolo unico della L. numero 523 del 1905 e del D.P.R. numero 396 del 2000, articolo 63, comma 2, lett. d . Si deduce al riguardo che la Corte d'appello ha ritenuto che data d'inizio del rapporto matrimoniale della Bo. con il R. debba considerarsi quella di celebrazione del matrimonio nell'ambasciata di Somalia, avvenuta il OMISSIS e non quella della trascrizione, dovendosi considerare detto matrimonio come celebrato all'estero e valido in Italia a prescindere dalla sua trascrizione. La ricorrente critica tale affermazione, negando che la sede delle ambasciate possa essere equiparala al territorio dello Stato di appartenenza. Deduce che, comunque, l'articolo 6 della Convenzione dell'Aja del 1902 ratificata con L. numero 523 del 1905 e il R.D. numero 524 del 1905, articolo 5, non consentono di attribuire alcuna efficacia a quel matrimonio, disponendo in particolare detta ultima norma che sarà riconosciuto dovunque come valido, quanto alla forma, il matrimonio celebrato davanti ad agente diplomatico o consolare, in conformità della sua legislazione, purchè nessuna delle parti contraenti appartenga allo Stato dove il matrimonio fu contratto e purchè questo Stato non vi si opponga . Il cittadino italiano, pertanto, non poteva contrarre valido matrimonio consolare in Italia e tale principio, enunciato nella normativa nazionale, doveva ritenersi valido anche se il matrimonio era stato celebrato dinanzi all'autorità consolare di uno Stato che non aveva aderito alla Convenzione. Attualmente, poi, a norma del D.P.R. numero 396 del 2000, articolo 63, comma 2, lett. d , il matrimonio celebrato dinanzi all'autorità consolare estera in Italia non è neppure trascrivibile, se non celebrato tra due cittadini stranieri.Il motivo va rigettato.Va premesso che la normativa di riferimento indicata nel motivo per una parte articolo 6 della Convenzione dell'Aja del 1902, riguardante la disciplina dei conflitti di leggi in materia matrimoniale, ratificata con L. numero 523 del 1905 e articolo 5 del R.D. numero 524 del 1905 attiene ad una Convenzione internazionale alla quale era estranea la Somalia, presso il cui consolato in Italia il matrimonio fu celebrato, con la conseguente sua inapplicabilità al caso di specie, regolando le Convenzioni internazionali e i relativi strumenti di ratifica unicamente i rapporti in essi menzionati con riferimento agli Stati che le abbiano sottoscritte. Per altra parte D.P.R. numero 396 del 2000, articolo 63, comma 2, lett. d non è applicabile alla fattispecie ratione temporis .Ne deriva l'infondatezza dei profili relativi alla violazione di dette norme.Quanto alla censura del provvedimento impugnato per avere la Corte d'appello affermato che il matrimonio celebrato nella sede di un'ambasciata estera in Italia deve essere considerato come celebrato nel territorio dello State al quale appartiene l'ambasciata, tale tesi, ricollegando la cosiddetta extraterritorialità delle ambasciate alla norma di diritto internazionale che riconosce l'inviolabilità della sede diplomatica dello Stato estero, non corrisponde all'orientamento attualmente prevalente, secondo il quale la extraterritorialità si sostanzia nell'obbligo dello Stato ospitante di garantire all'interno di essa l'espletamento, senza turbative e intromissioni, della missione diplomatica. Peraltro il profilo del motivo non è comunque idoneo ad inficiare la validità del matrimonio, non considerando che, avendo i coniugi incontestatamente goduto per tutto il periodo della sua durata - dalla celebrazione fino al divorzio - di un possesso di stato conforme all'atto di celebrazione, detta validità non può essere negata deducendosi, come viene fatto, un vizio di carattere formale vedasi Cass. 9 giugno 2000, numero 7877 , ostandovi il disposto dell'articolo 131 cod. civ., a norma del quale il possesso di stato conforme all'atto di matrimonio sana ogni difetto di forma sin dalla celebrazione del matrimonio.3. Con il secondo motivo si denuncia la violazione della L. numero 898 del 1970, articolo 9, per avere la Corte d'appello ritenuto che la durata del matrimonio vada computata considerando come momento terminale la pronuncia del divorzio e non la comparizione dinanzi al presidente del tribunale nel procedimento di separazione, momento dal quale la convivenza matrimoniale s'interrompe.Anche tale motivo è infondato poichè solo la pronuncia di divorzio pone fine al rapporto matrimoniale da ultimo Cass. 10 maggio 2007, numero 10669 .4.1. Con il terzo motivo si denuncia ancora la violazione della L. numero 898 del 1970, articolo 9, unitamente all'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte d'appello ritenuto non provate, la convivenza prematrimoniale della ricorrente, dopo avere rifiutato l'assunzione di sommarie informazioni al riguardo, ritualmente richieste in primo grado e in sede di reclamo, con l'indicazione di otto testimoni. Si contesta altresì l'affermazione del decreto impugnato secondo la quale la ripartizione operata doveva ritenersi corretta anche in relazione alle condizioni economiche degli aventi diritto, deducendosi che tale ripartizione non ha lo scopo di sovvenire allo stato di bisogno di uno dei due coniugi, costituendo invece la pensione di reversibilità una sorta di ultrattività della solidarietà coniugale Corte Cost. sent. numero 70 del 1999 , che nel caso di specie era documentalmente provato essere del tutto insussistente da parte dell'ex coniuge, avendo provveduto all'assistenza e cura fino alla morte del titolare della pensione solo la ricorrente, ed essendo stata la prima moglie del tutto ignorata dal de cuius nel proprio testamento.Anche tale motivo è infondato.A norma della L. numero 898 del 1970, articolo 9, comma 3, nel testo novellato dalla L. numero 74 del 1987, articolo 13, la ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e l'ex coniuge deve essere compiuta tenendo conto della durata del rapporto matrimoniale di ciascun coniuge. Tale criterio, sulla base degli elementi interpretativi individuati dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 419 del 1999, deve ritenersi non si ponga come unico ed esclusivo parametro al quale conformarsi automaticamente ed in base ad un mero calcolo matematico, potendo essere corretto da altri criteri, da individuare nell'ambito della L. numero 898 del 1970, articolo 5 Cass. 29 gennaio 2002, numero 1057 , fermo restando che alla durata del matrimonio può essere riconosciuto valore preponderante e il più delle volte decisivo Corte cost., sentenza numero 419 del 1999 nella ripartizione della pensione.Deve quindi tenersi anche conto delle condizioni economiche di entrambi gli ex coniugi Cass. 9 marzo 2006, numero 5060 , dell'assegno goduto dal coniuge divorziato Cass. 16 dicembre 2004, numero 23379, 5 maggio 2004, numero 8554 19 febbraio 2003, numero 2471 , dei periodi di convivenza prematrimoniale, con carattere di stabilità e realizzazione di un'effettiva comunione di vita, con assunzione di diritti e doveri reciproci Cass. 7 marzo 200 6, numero 4867 22 dicembre 2005, numero 28478 16 dicembre 2004, numero 23379 10 ottobre 2003, numero 15148 , e di ogni altro elemento desumibile della L. numero 898 del 1970, articolo 5. Non tutti tali elementi, peraltro, debbono necessariamente essere valutati in uguale misura, rientrando nella valutazione del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto Cass. 14 settembre 2004, numero 6272 30 marzo 2004, numero 6272 .Nel caso di specie la Corte d'appello ha applicato il criterio legale generale dell'attribuzione a ciascun ex coniuge di una quota di pensione proporzionale alla durata dei rispettivi matrimoni, senza correttivi, per un verso in mancanza di prova della convivenza prematrimoniale del secondo coniuge, essendosi questi limitato a dedurre di avere iniziato la propria convivenza con il R. nel OMISSIS , senza ulteriori specificazioni in ordine alle modalità di tale convivenza e non essendo comparso, senza allegare alcuna giustificazione, all'udienza fissata per rendere chiarimenti in ordine a tale dedotta convivenza. Per altro verso ritenendo la Corte di merito detto criterio adeguato anche alla luce degli ulteriori criteri utilizzabili quali eventuali correttivi di quello temporale, rappresentati dall'ammontare dell'assegno goduto dal coniuge divorziato, pari nella specie a L. 1.100.000 mensili, come stabilito dalla sentenza di divorzio e dal raffronto fra le condizioni economiche dell'ex coniuge e quelle del coniuge superstite che rivela, come attestato dalle dichiarazioni fiscali in atti, una netta superiorità delle seconde sulle prime la B. lavora stabilmente alle dipendenze della AUSL di Viterbo, con un reddito loro annuo di Euro 34.157,00 circa, mentre la Bo. ha dichiarato di non lavorare e ha documentalmente dimostrato di avere prestato saltuaria attività d'insegnamento della lingua tedesca in una scuola private, con introiti molto limitati .Ne deriva che la Corte di merito, con apprezzamento motivato ed a lei riservato, in aderenza ai principi normativi e giurisprudenziali sopra esposti, ha ritenuto che, comunque, nel caso di specie non vi fossero le condizioni per derogare alla regola della ripartizione in relazione alla durata dei rispettivi matrimoni, stanti le condizioni economiche dei coniugi e l'assenza, in relazione ad esse, delle condizioni per un intervento correttivo di quello della durata dei matrimoni in favore del secondo coniuge. Con la conseguente infondatezza del motivo.Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con la condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo.P.Q.M.La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano nella misura di Euro duemilasettecento, di cui Euro duecento per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge.