L’accertamento fiscale prescinde dall’accusa penale

E’ il Fisco a dover dimostrare che le operazioni non sono mai state poste in essere, anche se può farlo sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Ma non è tutto. L’archiviazione dell’imputazione penale per falsa fatturazione verso l'azienda, non basta a fermare l'accertamento, scaturito proprio dalla contestazione della deduzione di costi documentati con fatture relative a operazioni asseritamente inesistenti.

Onere probatorio a carico del Fisco. In relazione all'accertamento delle imposte sui redditi, la Corte ribadisce che qualora sia contestata la deducibilità dei costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamente inesistenti, l'onere di fornire la prova che l'operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere incombe all'A.f., la quale adduca la falsità del documento e può essere adempiuto, ai sensi dell'articolo 39, primo comma, dpr 29 settembre 1973, numero 600, anche sulla base di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti non ostandovi il divieto della doppia presunzione. Divieto che attiene esclusivamente alla correlazione tra una presunzione semplice con altra presunzione semplice, e non può quindi ritenersi violato nel caso in cui da un fatto noto si risalga ad un fiuto ignorato, che a sua volta costituisce la base di una presunzione legale. E’ onere dell’Amministrazione finanziaria, anche per il tramite di elementi ed indizi che possano assumere rango di presunzioni con carattere di gravità, precisione e concordanza, dimostrare che le operazioni imponibili di cui alle fatture delle quali è contestata la falsità non siano state effettivamente poste in essere. Sussiste un preciso riparto in ordine all’assolvimento degli oneri probatori, giusta il principio generale ex articolo 2697 c.c L’Amministrazione finanziaria, quale attore sostanziale del processo tributario di impugnazione-merito, ha l’onere di provare l’inesistenza e fittizietà delle operazioni imponibili e la falsità dei documenti fatture prova che può essere raggiunta anche ricorrendo a presunzioni purché fornite dei caratteri di gravità, precisione e concordanza. Solo all’esito dell’adempimento a tale incombente, competerà al contribuente assolvere all’eventuale prova contraria La mancata deduzione di idonea prova contraria, fin dall'atto introduttivo del giudizio, o l'insuccesso di essa, comportano l'accoglimento della pretesa del fisco fondata su valide presunzioni. Sussiste per il giudice di legittimità l'assoluta indipendenza fra procedimento penale e procedimento fiscale. Pertanto, diventa quindi irrilevante che per l'accusa di fatture false sia stato dichiarato il non luogo a procedere. Giova alla pretesa erariale affermare che l 'imputato assolto in sede penale, anche con piena formula per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste , può essere responsabile fiscalmente, qualora l'atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria da parte dello stesso contribuente, a giustificare in tutto o in parte il debito tributario. Il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di un provvedimento penale favorevole al contribuente, assumendone automaticamente gli effetti nel giudizio di sua competenza, ma, nell'esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti articolo 116 c.p.c. , deve, in ogni caso, verificare e spiegare congruamente in motivazione le ragioni per cui ritiene che gli elementi concreti accertati dal giudice penale abbiano rilevanza per la soluzione del caso sottoposto al suo esame. L’archiviazione del procedimento penale non pone automaticamente fine all’accertamento fiscale che l’Amministrazione finanziaria ha promosso per gli stessi fatti nei confronti del contribuente. Ai sensi dell'articolo 654 c.p.p. - il quale aveva portata modificativa dell'articolo 12, D.L. numero 429/1982 convertito nella legge numero 516/1982 , poi espressamente abrogato dall'articolo 25, D.Lgs. 10 marzo 2000, numero 74, - l'efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova come il divieto della prova testimoniale e, dall'altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. A causa del mutato quadro normativo, quindi, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l'Amministrazione finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all'azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell'esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti articolo 116 c.p.c. , deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui esso è destinato ad operare. Il giudice tributario non può procedere alla determinazione induttiva dell'utile di gestione. La commissione tributaria adita per l'annullamento dell'avviso di rettifica del reddito di compresa, individuato dall'Amministrazione finanziaria con metodo analitico, ex articolo 39, comma 1, d.P.R. numero 600/1973, non può procedere alla determinazione induttiva dell'utile di gestione, atteso che il giudice, investito del sindacato sulla legittimità di un accertamento tributario, può soltanto verificare la sussistenza o meno dei presupposti idonei a legittimare il potere dell'Ufficio in concreto esercitato, senza potersi ad esso sostituire nell'esercizio di un potere diverso, spettante all'amministrazione attiva, del quale vengano in ipotesi riconosciute sussistenti le condizioni. Il Collegio, infine, ribadisce che in tema di valutazione delle prove, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori, essendo rimessa la valutazione delle prove al prudente apprezzamento del giudice. Da ciò consegue che il convincimento del giudice sulla verità di un fatto può basarsi anche su una presunzione, eventualmente in contrasto con altre prove acquisite, se da lui ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad esso contrari, alla sola condizione che fornisca del convincimento così attinto una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria Il giudice tributario di merito, investito della controversia avente ad oggetto l'atto impositivo, deve previamente valutare, con giudizio di fatto censurabile in cassazione solo per vizi attinenti alla congruità ed alla coerenza logica della motivazione, la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degl'indizi motivanti l'atto medesimo, esaminandoli sia singolarmente sia nel loro complesso, ed esponendo adeguatamente l'esito di tale giudizio nella motivazione della sentenza. Il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell'atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall'amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio impugnabile in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli articolo 2727 ss., e 2697, comma 2, c.c Il procedimento che deve necessariamente seguirsi in tema di prova per presunzioni si articola in due momenti valutativi. In primo luogo, occorre che il giudice valuti in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e, invece, conservare quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria successivamente, egli deve procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi. E' pertanto viziata da errore di diritto e censurabile in sede di legittimità - a tale sindacato sottraendosi l'apprezzamento circa l'esistenza degli elementi assunti a fonte di presunzione e la loro concreta rispondenza ai requisiti di legge soltanto se il relativo giudizio non risulti viziato da illogicità o da erronei criteri giuridici - la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento. In definitiva, in una controversia avente ad oggetto l'impugnazione di atti impositivi ammissibilmente fondati su presunzioni, il giudice tributario di merito ha il compito di verificare che gli indizi utilizzati dall'ufficio, considerati singolarmente e nel loro complesso, possiedano i prescritti caratteri di gravità, precisione e concordanza nell'ipotesi affermativa, spostandosi a carico del contribuente l'onere di provare la fedeltà della dichiarazione cioè, nel caso di specie, la spettanza della detrazione , la sua domanda di annullamento dell'atto impositivo dovrà essere rigettata, se egli non fornisce valida prova delle sue affermazioni contrastanti con la pretesa erariale.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 2 dicembre 2011 – 2 marzo 2012, numero 3268 Presidente Pivetti – Relatore Di Iasi In fatto e in diritto 1. R A. ricorre per cassazione nei confronti dell'Agenzia delle Entrate che resiste con controricorso e avverso la sentenza con la quale - in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per Irpef e Ilor relativo all'anno di imposta 1995 emesso sulla base di accertamento della G.d.F. che aveva ritenuto fittizio l'acquisto di olio per £ 152.550.000 presso la ditta Sorbara - la C.T.R. Puglia confermava la sentenza di primo grado, con la quale si era ritenuto inesistente il rapporto economico con la ditta Sorbara e rideterminato il reddito della ditta Assetti in L. 154.469.670. In particolare, i giudici d'appello rilevavano che la G.d.F. aveva accertato la fittizietà di tutti i rapporti economici tenuti dalla ditta Sorbara col contribuente avendo, attraverso una serie di controlli incrociati, accertato che gli acquisti di olio da parte della ditta Sorbara erano giustificati prevalentemente da autofatture a nome di produttori agricoli esenti dalla emissione di fatture che molti agricoltori avevano disconosciuto resistenza di rapporti con tale ditta che altre fatture risultavano emesse da produttori emigrati o deceduti infine che la ditta Sorbara era priva di qualsiasi organizzazione aziendale e di dipendenti. 2. Col primo motivo, deducendo violazione o falsa applicazione degli articolo 2697, 2727 e 2729 c.c. nonché 112, 113 comma 1, 115 e 116 c.p.c., il ricorrente si duole del fatto che i giudici d'appello abbiano ritenuto che l'Ufficio accertatore avesse adempiuto all'onere probatorio su di lui gravante facendo ricorso a presunzioni semplici benché il fatto noto sul quale dovrebbe essere fondata la presunzione di utilizzazione di fatture inesistenti risulti soltanto supposto in un verbale della G.d.F. e nonostante tale fatto sia stato ritenuto inesistente da un giudice penale, avendo il GIP di Palmi dichiarato non luogo a procedere nei confronti, tra gli altri, di A.R. e A S. . Il ricorrente si duole altresì del fatto che i giudici d'appello non abbiano esaminato tutte le eccezioni e contestazioni del contribuente e si siano avvalsi di presunzioni semplici prive dei requisiti della gravità, della precisione e della concordanza omettendo l’esame di precise prove documentali idonee a confutare il fondamento di quelle presunzioni. Le censure esposte sono in parte infondate e in parte inammissibili. Occorre innanzitutto evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, in relazione all'accertamento delle imposte sui redditi, qualora sia contestata la deducibilità dei costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamene inesistenti, l'onere di fornire la prova che l'operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere incombe ali1 Amministrazione finanziaria la quale adduca la falsità del documento e quindi l'esistenza di un maggior imponibile , e può essere adempiuto, ai sensi dell'articolo 39, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, numero 600, anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, non ostandovi il divieto della doppia presunzione, il quale attiene esclusivamente alla correlazione tra una presunzione semplice con altra presunzione semplice, e non può quindi ritenersi violato nel caso in cui da un fatto noto si risalga ad un fatto ignorato, che a sua volta costituisce la base di una presunzione legale v. Cass. numero 1023 del 2008 e 10157 del 2010 . Occorre inoltre precisare che nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori, essendo rimessa la valutazione delle prove al prudente apprezzamento del giudice, con la conseguenza che il convincimento del giudice sulla verità di un fatto può basarsi anche su una presunzione, eventualmente in contrasto con altre prove acquisite, se da lui ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad esso contrari, alla sola condizione che fornisca del convincimento così attinto una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria v. tra le altre Cass. numero 9245 del 2007 . Giova peraltro sottolineare che l’omessa o asseritamente non adeguata valutazione di eventuali prove documentali fornite dalle parti è configurabile non come vizio di violazione di legge bensì come vizio di motivazione. Quanto alla specifica denuncia di omessa valutazione della sentenza del GIP del Tribunale di Palmi, è innanzitutto da evidenziare che essa difetta di autosufficienza, essendo stato riportato solo il dispositivo e non l'intero contenuto di tale provvedimento in particolare non le imputazioni relative a ciascuno degli imputati . È peraltro appena il caso di precisare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, stante l'evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale perché nel primo, per un verso, vigono limitazioni della prova - come il divieto di quella testimoniale ex articolo 7 d.lgs. 546/92 - e, per altro verso, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna , anche l'eventuale giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non sarebbe di per sé vincolante nel processo tributario v. tra le altre Cass. numero 19786 del 2011 . Col secondo motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente si duole del fatto che i giudici d'appello abbiano immotivatamente affermato che era stata accertato dalla G.d.F. l'inesistenza di rapporti economici tra il contribuente e la ditta Sorbara senza considerare che l’accertamento a carico del contribuente prescindeva da una reale verifica presso la relativa ditta, essendo stata effettuata verifica solo presso la ditta Sorbara e che in tale sede i verbalizzanti, considerato che la maggior parte dei controlli effettuati aveva confermato l'inesistenza dei rapporti economici, avevano ritenuto di non eseguire i rimanenti controlli, circostanza peraltro emergente dalla stessa sentenza impugnata, nella quale si legge che “molti agricoltori non tutti avevano disconosciuto l’esistenza di rapporti con la dina Sorbara. Secondo la ricorrente pertanto i giudici d'appello non potevano ignorare che la ditta Sorbara non era una mera cartiera in quanto, se pure era risultato che aveva fatturato operazioni inesistenti, aveva effettuato anche effettivi acquisti, dovendo pertanto ritenersi che quella parte pur minima di olio effettivamente acquistato dalla Sorbara fosse stato venduto alla A. . che aveva prodotto le fatture con le relative bolle di accompagnamento e addirittura la fattura del trasportatore. La censura è inammissibile. Richiamato quanto esposto in tema di presunzioni nell'ambito dell'esame del primo motivo, occorre aggiungere che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere incensurabile in sede di legittimità l'apprezzamento del giudice di merito circa la ricorrenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la relativa motivazione risulti adeguata e logica. Tanto premesso, va evidenziato che nella specie i giudici d'appello hanno motivatamente ritenuto che gli avvisi opposti furono emessi sulla base di una serie di elementi presuntivi aventi le caratteristiche della gravità, precisione e concordanza e tale motivazione risulta adeguata, dovendo ritenersi che ben possa, unitamente ad altri indizi quali ad esempio la mancanza di organizzazione aziendale e di dipendenti , logicamente valutarsi ai fini della prova presuntiva l'accertata inesistenza non di tutti ma della grande maggioranza degli acquisti di olio operati dalla ditta Sorbara. È inoltre da sottolineare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, non è ammissibile che. con la deduzione del vizio di motivazione, si faccia valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito all'opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, si prospetti una diversa lettura ovvero un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e degli apprezzamenti del fatto, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi dell'articolo 360, comma primo, numero 5 c.p.c. e che, diversamente opinando, il motivo del ricorso per cassazione si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice di merito v. tra le altre Cass. numero 12446 del 2006 . È poi appena il caso di precisare che nel motivo in esame viene contestato il valore indiziario di elementi acquisiti in giudizio senza neppure considerare che essi, quand'anche in ipotesi singolarmente sforniti di valenza indiziaria, potrebbero averla acquisita nell'ambito di una valutazione complessiva comportante il vicendevole completamento di ciascun indizio. Col terzo motivo, deducendo violazione o falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c., il ricorrente sostiene che i giudici d'appello hanno omesso di considerare quanto dedotto nell'atto d'appello circa l'errore in cui sarebbero incorsi i giudici di primo grado nel ritenere che le fatture fittizie erano state utilizzate dall'acquirente per conseguire contributi comunitari. Laddove quest'ultimo non aveva mai chiesto e ricevuto contributi comunitari. La censura è inammissibile. Occorre premettere che sussiste omessa pronuncia su di un motivo di impugnazione quando rispetto a tale motivo sia configurabile un obbligo di pronuncia da parte del giudice, ossia quando effettivamente vi sia un motivo di impugnazione sostenuto da adeguato interesse alla relativa pronuncia. Nella specie la censura non è autosufficiente perché non riporta interamente il testo della sentenza di primo grado e dell'atto d'appello e perciò non consente a questo giudice di avere piena contezza della esistenza di siffatto dovere di pronuncia, tuttavia è da evidenziare che, alla stregua di quanto emergente dallo stesso ricorso che, ripetesi, non risulta adeguatamente auto sufficiente circa il contenuto della sentenza di primo grado e dell'atto d'appello , il motivo di impugnazione de quo non concerneva la ratio decidendi del provvedimento impugnato, bensì un argomento esposto ad abundantiam. È peraltro da rilevare che, da quanto affermato nello stesso ricorso, risulta che con l'appello sia stata rimessa in discussione tutta la problematica relativa alla inesistenza delle operazioni commerciali de quibus. ed essendo l'appello un mezzo di impugnazione devolutivo, la sentenza di secondo grado nella cui motivazione non è riportato il convincimento che le fatture fittizie fossero state utilizzate dall'acquirente per conseguire contributi comunitari sostituisce sul punto completamente quella di primo grado. Col quarto motivo, deducendo violazione o falsa applicazione degli articolo 112 c.p.c. e 39 d.p.r. 600/1973, il ricorrente sostiene che i giudici della C.T.R. avrebbero omesso di statuire in ordine a quanto dedotto nell'atto d'appello circa l'errore in cui sarebbero incorsi i giudici di primo grado procedendo ad una rideterminazione del reddito del contribuente col metodo induttivo, giungendo in tal modo addirittura a determinare tale reddito in misura superiore a quella accertata dall'Ufficio con metodo analitico. In ogni caso i suddetti giudici avrebbero errato nel confermare la sentenza di primo grado anche nella parte in cui i primi giudici avevano rideterminato il reddito con metodo induttivo laddove l'accertamento svolto dall'Ufficio era stato effettuato col metodo analitico. La censura è fondata. I giudici della C.T.R. hanno confermato la sentenza della C.T.P. benché dalla stessa sentenza d'appello impugnata in questa sede risulti che effettivamente i giudici di primo grado hanno proceduto ad una rideterminazione del reddito calcolando, in assenza di altri elementi probanti , il 3% sui ricavi dichiarati e risulta altresì che tale rideterminazione fu censurata dall'appellante. Tanto premesso, è sufficiente evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene , la commissione tributaria adita per l'annullamento dell'avviso di rettifica del reddito di impresa, individuato dall'Amministrazione finanziaria con metodo analitico, ex articolo 39, primo comma, d.P.R. numero 600 del 1973, non può procedere alla determinazione induttiva dell'utile di gestione, atteso che il giudice, investito del sindacato sulla legittimità di un accertamento tributario, può soltanto verificare la sussistenza o meno dei presupposti idonei a legittimare il potere dell'Ufficio in concreto esercitato, senza potersi ad esso sostituire nell'esercizio di un potere diverso, spettante all'amministrazione attiva, del quale vengano come nella specie in ipotesi riconosciute sussistenti le condizioni v. Cass. numero 10812 del 2010 . 3. Alla luce di quanto sopra esposto, i primi tre motivi di ricorso devono essere rigettati e il quarto accolto. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessario procedere ad ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo e la conferma dell'avviso opposto. Atteso lo sviluppo della vicenda processuale e Tesilo della lite, si dispone la compensazione delle spese dell'intero processo. P.Q.M. Accoglie il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito conferma l'avviso opposto. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.