Il Prefetto, nell'informativa antimafia, deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, dimostrando che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possono rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni. Di conseguenza, la nota informativa, non può basarsi esclusivamente sull'elencazione dei fatti riguardanti il soggetto.
L’informativa antimafia, di cui all’articolo 10, comma 1, del d.p.r. numero 252/1998 ed all’articolo 4 del d.lgs. numero 490/1994, ha una funzione spiccatamente cautelare e, quindi, prescinde dal concreto accertamento, in sede penale, di reati, dovendosi basare sulla oggettiva rilevazione di fatti, suscettibili di condizionare scelte ed indirizzi di imprese, che hanno, o mirano ad avere, rapporti economici con pubbliche amministrazioni o con soggetti privati, che ne svolgono le funzioni. Essa deve fondarsi, perciò, su fattori di pericolo, che si manifestano per evidenze oggettive. Il caso. È dunque necessario che, osserva la Sezione sent. 444/2012 depositata il 30 gennaio , dagli accertamenti disposti dal Prefetto, emergano «elementi relativi a tentativi» e cioè circostanze oggettive e plausibili , che hanno sì un grado di significatività inferiore rispetto alle prove che determinano l'applicazione di sanzioni penali o di misure di sicurezza personali Cons. St., Sez. VI, numero 7615/2005 , ma che non possono comunque risolversi in fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, occorrendo l'individuazione di idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti con la criminalità organizzata. In particolare, con riferimento agli elementi di fatto idonei a sorreggere l'impianto probatorio delle informative de quibus , la giurisprudenza ha sottolineato che in tali ipotesi il Prefetto deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza del giudizio presuntivo che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni. L'influenza ed il condizionamento della criminalità Nel caso all'esame del Collegio, gli accertamenti condotti sulla società ricorrente non hanno dato sufficiente conto, ad avviso del Collegio, della presenza di circostanze poste alla soglia, giuridicamente rilevante, della possibilità di influenza e di condizionamento latente dell'attività d'impresa da parte delle organizzazioni criminali. Essi, infatti, fanno tutti riferimento alla posizione dell’amministratore unico, che, oltre dieci anni prima dell’impugnata interdittiva, è stato assolto dal reato di associazione mafiosa per non aver commesso il fatto, con successiva reiezione risalente comunque di sette anni rispetto agli atti oggetto del giudizio , da parte del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, della proposta della Procura della Repubblica di applicazione delle misure di prevenzione personale e patrimoniale. Di conseguenza, osserva la Sezione, il giudizio non può basarsi esclusivamente sulla relazione informativa dell’organo di polizia posta a base del provvedimento interdittivo in questione laddove peraltro non compare nessun elemento indiziario diverso dal mero richiamo dei precedenti procedimenti. E senza il benché minimo tentativo da parte dell’Amministrazione di trarre dagli stessi idonei elementi di fatto e di sottoporli ad una valutazione autonoma, suscettibile di suffragare il giudizio circa la sussistenza della possibilità di tentativi di infiltrazione mafiosa. e le eventuali precedenti condanne. Non è peraltro idonea a supportare la decisione - osserva ancora la Sezione - la considerazione di una condanna, pure citata nella relazione della Polizia , intervenuta quindici anni prima nei confronti dell’Amministratore della società, per reati non connotati dall’elemento associativo mafioso e comunque evidenzianti un’attitudine a delinquere del soggetto da ritenersi superata sia per il considerevole lasso di tempo trascorso, sia per l’intervenuta riabilitazione, fondata anche sulle prove effettive e costanti di buona condotta date dal condannato dopo l’esecuzione della pena. Le cattive amicizie non aiutano. Il Collegio ha preso in considerazione anche le questioni connesse alle frequentazioni sospette risultanti da controlli di polizia che, a giudizio del Prefetto, comportavano il giudizio di pericolo. In particolare, il fratello dell'Amministratore, condannato per associazione mafiosa, risulta alla data del provvedimento di cui si tratta riabilitato da oltre due anni e se è vero, come pure afferma l’Avvocatura dello Stato, che «la riabilitazione non cancella fatti di reato accertati dal giudice penale», ciò nondimeno occorre considerare che la stessa è concessa dal Tribunale di Sorveglianza a séguito di un giudizio sulla regolarità successiva e costante nel tempo del comportamento del soggetto, giudizio che non risulta smentito, nel rapporto informativo degli organi di polizia qui all’esame, con il richiamo di circostanziati, contrari, elementi di fatto denotanti elementi di perdurante contiguità con l’organizzazione criminale. In ogni caso, ricorda il Collegio, lo stretto rapporto di parentela si configura come possibile veicolo di trasmissione dei pericoli di infiltrazione mafiosa solo allorché risultino e nella fattispecie il citato rapporto nessun dato nemmeno presuntivo fornisce in tal senso elementi di coinvolgimento nell’impresa del familiare già affiliato all’organizzazione camorristica. Anche le sporadiche frequentazioni con altri soggetti, che sono state assunte a base del provvedimento interdittivo, la rilevanza ai fini antimafia delle stesse va esclusa nel caso specifico in relazione al fatto che nei confronti di tali soggetti il competente Tribunale aveva respinto le richieste della Procura della Repubblica di applicazione delle misure di prevenzione nei loro confronti. Ciò in quanto ne aveva escluso l’appartenenza all’associazione camorristica «clan dei Casalesi» con pronunce, queste, che, adottate nell’àmbito di una valutazione per molti versi simile a quella che caratterizza le informazioni antimafia ai sensi dell’articolo 4 del d.lgs. numero 490/1994 e dell’articolo 10 del d.p.r. numero 252/1998 essendo legate agli stessi criteri di accertamento della permeabilità del soggetto ai fini all’associazione e di attualità della sua pericolosità sociale , non risultano contraddette da alcuna contraria allegazione di fatto nell’informativa in considerazione. In definitiva, con riferimento agli elementi di fatto idonei a sorreggere l'impianto probatorio delle informative de quibus , la giurisprudenza ha sottolineato che in tali ipotesi il Prefetto deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni. E, nel caso concreto, difetta un preciso e concordante quadro indiziario, che legittima la tesi della ricorrente volta ad evidenziare l'errore istruttorio e valutativo, che inficia l’impugnata informativa prefettizia e l’atto presupposto. Una scelta impegnativa. In definitiva, la Sezione ammette le difficoltà e le complessità degli accertamenti connessi alle informative ma va, innanzitutto, tenuta presente la ratio del complesso delle disposizioni in materia di certificazioni ed informative antimafia che operano un ragionevole contemperamento tra esigenze di tutela delle posizioni giuridiche in gioco la libertà dell'imprenditore da un lato e, dall'altro, la tutela dell'interesse della collettività a che comportamenti caratterizzati da particolare disvalore siano non solo oggetto di repressione, ma anche e soprattutto di prevenzione . Con la conseguenza che il provvedimento risulta illegittimo qualora, alla luce degli elementi su cui risulta incentrata la valutazione amministrativa, non possa dirsi sufficientemente giustificato il giudizio di pericolosità espresso dalla Prefettura ai sensi della normativa antimafia.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 16 dicembre 2011 – 30 gennaio 2012, numero 444 Presidente Lodi – Relatore Cacace Fatto Con l’appello in esame viene impugnata la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, ha respinto il ricorso, con successivi motivi aggiunti, proposto dall’odierna appellante avverso il provvedimento interdittivo antimafia prot. numero 67/2010- SUAP/12.b.16/ANT/Area 1^ del 13 ottobre 2010 adottato dal Prefetto di Caserta, nonché avverso gli atti di indagine alla base dell’informativa prefettizia gravata. Con la stessa sentenza il ricorso stesso è stato peraltro dichiarato improcedibile per omessa impugnazione della successiva aggiudicazione , nella parte in cui la società ricorrente contestava la conseguente esclusione, disposta dalla Provincia di Caserta nella sua qualità di stazione unica appaltante, dalla procedura di gara indetta dal Comune di Orta di Atella per l’aggiudicazione dei lavori di “Riqualificazione di Via Clanio”. L'appellante ripropone, sostanzialmente, i motivi di censura già formulati in primo grado avverso l’atto prefettizio e la sottostante informativa e contesta le ragioni sulle quali la sentenza si fonda, della quale chiede, in conclusione, la riforma, con ogni conseguenza di legge. Per resistere si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e la Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Caserta, i quali hanno controdedotto con successiva memoria, concludendo per la reiezione del gravame in quanto infondato. L’appellante, con memoria in data 15 novembre 2011, ha ribadito le sue critiche alla sentenza impugnata. La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 16 dicembre 2011. Diritto 1. - Considera preliminarmente il Collegio che l’appello è rivolto soltanto avverso il capo della sentenza di primo grado, che ha respinto il ricorso, e successivi motivi aggiunti, proposti per l’annullamento della nota prefettizia con la quale si comunicava che l’impresa odierna appellante era stata oggetto di informativa interdittiva del 17 novembre 2009, nonché degli accertamenti degli organi di polizia, sui quali la prima si basa. Deve intendersi, pertanto, formato il giudicato sul capo di sentenza, che ha dichiarato l’improcedibilità per omessa impugnazione della successiva aggiudicazione del ricorso di primo grado, nella parte in cui la società ricorrente contestava la conseguente sua esclusione, disposta dalla Provincia di Caserta nella sua qualità di stazione unica appaltante, dalla procedura di gara indetta dal Comune di Orta di Atella per l’aggiudicazione dei lavori di “Riqualificazione di Via Clanio”. Ne deriva che il Comune stesso, nonché la Provincia di Caserta, intervenuta nel giudizio di primo grado nella sua predetta qualità di stazione appaltante della gara medesima, non hanno alcun interesse a contraddire in ordine alla presente impugnazione dal cui oggetto fuoriesce ormai qualunque provvedimento da essi adottato , con conseguente completezza del contraddittorio instaurato dall’appellante con la notifica dell’impugnazione stessa al Ministero dell’Interno ed alla Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Caserta. 2. - Venendo al mérito dell’appello, esso si rivela fondato. 2.1 - Va anzitutto ribadito che l’informativa antimafia, di cui all’articolo 10, comma 1, del D.P.R. numero 252 del 1998 ed all’articolo 4 del d.lgs. numero 490/1994, ha una funzione spiccatamente cautelare e, quindi, prescinde dal concreto accertamento, in sede penale, di reati, dovendosi basare sulla oggettiva rilevazione di fatti, suscettibili di condizionare scelte ed indirizzi di imprese, che hanno, o mirano ad avere, rapporti economici con pubbliche amministrazioni o con soggetti privati, che ne svolgono le funzioni. Essa deve fondarsi, perciò, su fattori di pericolo, che si manifestano per evidenze oggettive. E’ dunque necessario che, dagli accertamenti disposti dal Prefetto, emergano elementi relativi a tentativi e cioè circostanze oggettive e plausibili , che hanno sì un grado di significatività inferiore rispetto alle prove che determinano l'applicazione di sanzioni penali o di misure di sicurezza personali cfr. Cons. St., Sez. VI, 30.12.2005, numero 7615 , ma che non possono comunque risolversi in fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, occorrendo l'individuazione di idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti con la criminalità organizzata. In particolare, con riferimento agli elementi di fatto idonei a sorreggere l'impianto probatorio delle informative de quibus , la giurisprudenza ha sottolineato che in tali ipotesi il Prefetto deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza del giudizio presuntivo che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni. 2.2 – Orbene, nel caso di specie, gli accertamenti condotti sulla società ricorrente non danno sufficiente conto, ad avviso del Collegio, della presenza di circostanze poste alla soglia, giuridicamente rilevante, della possibilità di influenza e di condizionamento latente dell'attività d'impresa da parte delle organizzazioni criminali. Essi, invero, fanno tutti riferimento alla posizione dell’amministratore unico, che, oltre dieci anni prima dell’impugnata interdittiva, è stato assolto dal reato di associazione mafiosa per non aver commesso il fatto, con successiva reiezione risalente comunque di sette anni rispetto agli atti oggetto del giudizio , da parte del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, della proposta della Procura della Repubblica di applicazione delle misure di prevenzione personale e patrimoniale. Ne risulta che, se è vero quanto affermato dalla difesa erariale circa la non neutralità dell’esistenza di procedimenti penali e di prevenzione pur in presenza di sentenze penali di proscioglimento e di reiezione della proposta di applicazione della misura di prevenzione, è altrettanto vero che nella relazione informativa dell’organo di polizia posta a base del provvedimento interdittivo in questione non compare nessun elemento indiziario diverso dal mero richiamo dei precedenti procedimenti, senza il benché minimo tentativo da parte dell’Amministrazione di trarre dagli stessi idonei elementi di fatto e di sottoporli ad una valutazione autonoma, suscettibile di suffragare il giudizio circa la sussistenza nel caso di specie della possibilità di tentativi di infiltrazione mafiosa. Non è poi idonea a supportare un siffatto giudizio nemmeno la considerazione di una condanna, pure citata nella predetta relazione, intervenuta quindici anni prima nei confronti dell’Amministratore stesso per reati non connotati dall’elemento associativo mafioso e comunque evidenzianti un’attitudine a delinquere del soggetto da ritenersi superata sia per il considerevole lasso di tempo trascorso, sia per l’intervenuta riabilitazione, fondata anche sulle prove effettive e costanti di buona condotta date dal condannato dopo l’esecuzione della pena. L’inattendibilità del giudizio di pericolo reso dalla Prefettura risulta poi evidente anche laddove si fonda su determinate frequentazioni sospette risultanti da controlli di polizia, dal momento che - il fratello di detto Amministratore, condannato per associazione mafiosa, risulta alla data del provvedimento di cui si tratta riabilitato da oltre due anni e se è vero, come pure afferma l’Avvocatura dello Stato, che “la riabilitazione non cancella fatti di reato accertati dal giudice penale”, ciò nondimeno occorre considerare che la stessa è concessa dal Tribunale di Sorveglianza a séguito di un giudizio sulla regolarità successiva e costante nel tempo del comportamento del soggetto, giudizio che non risulta smentito, nel rapporto informativo degli organi di polizia qui all’esame, con il richiamo di circostanziati, contrari, elementi di fatto denotanti elementi di perdurante contiguità con l’organizzazione criminale. In ogni caso, valga qui in proposito ricordare che lo stretto rapporto di parentela si configura come possibile veicolo di trasmissione dei pericoli di infiltrazione mafiosa solo allorché risultino e nella fattispecie il citato rapporto nessun dato nemmeno presuntivo fornisce in tal senso elementi di coinvolgimento nell’impresa del familiare già affiliato all’organizzazione camorristica - in relazione ai signori C.F. e C.L., le sporadiche frequentazioni con i quali pure sono state assunte a base dell’impugnato provvedimento, la rilevanza ai fini antimafia delle stesse va esclusa alla luce delle pronunce del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che li riguardano e che, nel respingere le richieste della Procura della Repubblica di applicazione delle misure di prevenzione nei loro confronti, ne hanno escluso l’appartenenza all’associazione camorristica “clan dei Casalesi” pronunce, queste, che, adottate nell’àmbito di una valutazione per molti versi simile a quella che caratterizza le informazioni antimafia ai sensi dell’articolo 4 del D. Lgs. numero 490/1994 e dell’articolo 10 del D.P.R. numero 252/1998 essendo legate agli stessi criteri di accertamento della permeabilità del soggetto ai fini all’associazione e di attualità della sua pericolosità sociale , non risultano contraddette da alcuna contraria allegazione di fatto nell’informativa in considerazione - residuano due controlli di polizia, nel corso dei quali l’Amministratore anzidetto è risultato essere in compagnia di due distinti soggetti, a càrico dei quali vengono menzionati precedenti di polizia per uno solo dei due connotati dall’elemento di mafiosità , senza che vi sia traccia nel ridetto rapporto né dei relativi sviluppi penali, né della loro concreta pericolosità mafiosa, atta a plausibilmente condizionare o, meglio, rischiare di condizionare l’attività dell’impresa, il cui amministratore con essi risulta occasionalmente essersi accompagnato. In definitiva, se, come si è sopra sottolineato con riferimento agli elementi di fatto idonei a sorreggere l'impianto probatorio delle informative de quibus , la giurisprudenza ha sottolineato che in tali ipotesi il Prefetto deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni, nella specie difetta un preciso e concordante quadro indiziario, sì che va condivisa la tesi della ricorrente volta ad evidenziare l'errore istruttorio e valutativo, che inficia l’impugnata informativa prefettizia e l’atto presupposto. 2.3 - In definitiva, pur consapevole della difficoltà e della complessità degli accertamenti di cui trattasi e tenendo altresì presente la ratio del complesso delle disposizioni in materia di certificazioni ed informative antimafia che operano un ragionevole contemperamento tra esigenze di tutela delle posizioni giuridiche in gioco la libertà dell'imprenditore da un lato e, dall'altro, la tutela dell'interesse della collettività a che comportamenti caratterizzati da particolare disvalore siano non solo oggetto di repressione, ma anche e soprattutto di prevenzione , il Collegio, alla luce degli elementi su cui risulta incentrata la valutazione amministrativa impugnata, ritiene che allo stato non possa dirsi sufficientemente giustificato il giudizio di pericolosità espresso dalla Prefettura ai sensi della normativa antimafia. 3. - Per le suesposte considerazioni il ricorso è fondato e deve essere accolto, con conseguente accoglimento, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, limitatamente alla richiesta di annullamento del provvedimento interdittivo antimafia prot. numero 67/2010-SUAP/12.b.16/ANT/Area 1^ del 13 ottobre 2010 adottato dal Prefetto di Caserta, nonché degli atti di indagine alla base dell’informativa prefettizia gravata. Sussistono giuste ragioni per disporre la integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza , definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, limitatamente alla richiesta di annullamento del provvedimento interdittivo antimafia prot. numero 67/2010- SUAP/12.b.16/ANT/Area 1^ del 13 ottobre 2010 adottato dal Prefetto di Caserta, nonché degli atti di indagine alla base dell’informativa prefettizia gravata. Spese del doppio grado compensate.