Nessun dubbio sull’addebito nei confronti dell’ente pubblico. Da valutare come corretto il comportamento tenuto dall’azienda nella sua proprietà, ossia l’aver ammassato materiale, anche alcuni cartoni, nell’area a confine col parco.
Fiamme a sorpresa nel parco comunale, fiamme che, però, invadono anche l’area limitrofa, di proprietà di un’azienda. A ‘favorire’ la diffusione dell’incendio pure la presenza di materiale infiammabile ammassato nella zona dello stabilimento. Ma tale elemento non può, comunque, ‘alleggerire’ la responsabilità del Comune. Cassazione, sentenza numero 21100, Terza sezione Civile, depositata oggi Risarcimento pieno. Originariamente, però, l’ottica adottata dai giudici, in primo grado, è parzialmente favorevole al Comune, la cui responsabilità viene dimezzata, alla luce del «concorso di colpa» dell’impresa – un calzaturificio – danneggiata. Per questo, il risarcimento a favore dell’azienda viene limitato a poco più di 5mila euro. Ma tale prospettiva viene modificata dai giudici della Corte d’Appello, i quali ritengono totale la colpa del Comune per l’«incendio sviluppatosi nel parco pubblico, in adiacenza alla rete di confine con lo stabilimento, e propagatosi all’interno della proprietà» del calzaturificio. Ciò perché non può «attribuirsi a colpa» dell’impresa danneggiata «il fatto di avere ammassato materiali all’interno della sua proprietà e a ridosso del muro di confine» Scontate le conseguenze risarcimento dei danni raddoppiato, e portato a oltre 10mila euro. Colpa. Ma sul tasto della presunta corresponsabilità dell’azienda, posizionata di fianco al parco, batte, a più riprese, il Comune, con ricorso ad hoc in Cassazione. Però ciò non basta, chiariscono i giudici del Palazzaccio, per ‘ridurre’ la responsabilità del Comune. Innanzitutto perché «il proprietario» – ossia il calzaturificio, in questo caso – «non ha alcun obbligo di utilizzare in un modo o nell’altro il proprio fondo, né incorre in alcun divieto di sistemarvi oggetti ed attrezzi nel modo ritenuto più conveniente, qualora non sussista alcun elemento o circostanza idonei a dimostrare la pericolosità di una data sistemazione». Ebbene, il Comune, rimarcano i giudici, non ha «dimostrato» nulla sulla «prevedibilità del sinistro», né sulla «imprudenza o negligenza del danneggiato» nell’avere «collocato la sua merce in quel particolare punto della sua proprietà». Per questo, essendo valutabile come corretta la condotta tenuta dall’azienda, è cristallina la responsabilità tout court del Comune confermato, quindi, il pieno risarcimento dei danni, così come deciso in Appello, a favore del calzaturificio.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 21 giugno – 16 settembre 2013, numero 21100 Presidente Berruti – Relatore Lanzillo Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 26 maggio 1997, la s.numero c. Calzificio CFC di C.M., ha convenuto davanti al Tribunale di Perugia il Comune di Valfabbrica PG , chiedendone la condanna al risarcimento dei danni provocati da un incendio sviluppatosi nel parco pubblico comunale, in adiacenza alla rete di confine con lo stabilimento dell'attrice, e propagatosi all'interno della proprietà. Il Comune ha resistito alla domanda, negando ogni sua responsabilità. Il Tribunale di Perugia ha accolto la domanda risarcitoria entro i limiti del 50%, ravvisando il concorso di colpa della danneggiata al 50%, per avere questa ammassato materiali infiammabili cartoni e scarti in tessuti sintetici in corrispondenza del muro di confine, al di sotto di una pensilina costruita senza rispettare la distanza legale dal confine, ed ha liquidato in favore della danneggiata la somma di € 5.205,96, oltre interessi e rivalutazione. Proposto appello dalla danneggiata, a cui ha resistito il Comune, con sentenza la Corte di appello di Perugia, con sentenza depositata il 12 aprile 2007 numero 114 e notificata il 3 agosto 2007, ha ravvisato la responsabilità esclusiva del Comune ed, in riforma della sentenza di primo grado, ha liquidato in risarcimento dei danni la somma di € 10.411,92, oltre rivalutazione monetaria, interessi e spese processuali. Con atto notificato il 12 novembre 2007 il Comune dì Val Fabbrica propone tre motivi di ricorso per cassazione. Resiste l'intimata con controricorso. Il Collegio raccomanda la motivazione semplificata. Motivi della decisione 1. - La Corte di appello, premesso che unica questione controversa è quella concernente la configurabilità o meno di un concorso di colpa del danneggiato, essendo stata accertata la responsabilità del Comune ai sensi dell'articolo 2051 cod. civ. per il fatto che l'incendio si è sviluppato all'interno della proprietà comunale e da qui si è propagato allo stabilimento del Calzaturificio, ha ritenuto che non possa attribuirsi a colpa del danneggiato il fatto di avere ammassato materiali all'interno della sua proprietà e a ridosso del muro di confine, essendo del tutto imprevedibile il fatto che si potesse sviluppare e propagare un incendio dal parco confinante - evento mai verificatosi in precedenza - ed essendovi un muro di confine di notevole altezza, sovrastato da una rete, sì da costituire un'efficace barriera taglia-fuoco, e trattandosi di materiale per lo più non infiammabile macchinari , se non per la parte costituente i cartoni di imballaggio. Ha specificato che il fatto che i materiali fossero collocati sotto una pensilina in ferro, costruita a distanza inferiore a quella legale, non ha avuto alcuna efficienza causale in ordine al sinistro. 2. - Con il primo motivo il Comune di Val Fabbrica denuncia violazione degli articolo 1227 e 2056 cod. civ. e con il secondo motivo omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, quanto all’esclusione del concorso di colpa. 2.1. - I motivi sono manifestamente infondati, quando non inammissibili, poiché il ricorrente, pur richiamando formalmente anche la violazione di norme di diritto, pone in realtà in discussione solo gli accertamenti e le valutazioni in fatto mediante le quali la Corte di appello ha ritenuto di escludere l'addebitabilità di un qualunque concorso di colpa alla danneggiata accertamenti e valutazioni che risultano adeguatamente motivati ed oggettivamente condivisibili. Il proprietario non ha alcun obbligo di utilizzare in un modo o nell'altro il proprio fondo, né incorre in alcun divieto di sistemarvi oggetti ed attrezzi nel modo ritenuto più conveniente, qualora non sussista alcun elemento o circostanza idonei a dimostrare la pericolosità di una data sistemazione. Il ricorrente non afferma di avere dedotto o dimostrato alcunché, nelle competenti sedi di merito, circa la prevedibilità del sinistro verificatosi, quindi circa l'imputabilità ad imprudenza o a negligenza del danneggiato del fatto di avere collocato la sue merce in quel particolare punto dalla sua proprietà, come ha correttamente rilevato la Corte di appello. Né sono consentite in questa sede ulteriori indagini in merito. 3. - Con il terzo motivo il ricorrente censura il provvedimento di liquidazione delle spese, a cui la Corte di appello avrebbe proceduto parametrando le somme attribuite sul valore della controversia posto a base della domanda attrice, anziché sul valore effettivamente liquidato. 4. - Il motivo è manifestamente infondato, ove si consideri che le spese di entrambi i gradi del giudizio sono state compensate per un terzo e poste a carico del Comune solo per i rimanenti due terzi, proprio in considerazione della parziale soccombenza del Calzaturificio in ordine al quantum risarcitorio. Né il ricorrente ha dimostrato - come sarebbe stato suo onere - che anche la riduzione di un terzo delle somme liquidate ha comportato l'attribuzione alla parte vittoriosa di somme superiori ai massimi di tariffa unico aspetto in relazione al quale la decisione sarebbe suscettibile di censura in sede di legittimità Cass. Civ. Sez. Lav., 23 agosto 2003 numero 12413 Cass. Civ. Sez. 3, 24 ottobre 2007 numero 22347 Cass. Civ. Sez. 2, 16 febbraio 2007 numero 3651, ed altre . 5. - Il ricorso deve essere rigettato. 6. - Le spese processuali, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in € 2.000,00, di cui € 200,00 per spese ed € 1.800,00 per compensi oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.