Prioritaria, secondo i magistrati, è l’assistenza a persone in condizioni psico-fisiche precarie. Ciò rende inutile il riferimento alla lunghezza temporale della presenza in Italia. Altrimenti c’è il rischio di una discriminazione tra cittadini italiani e stranieri.
Nessuna differenziazione è possibile tra cittadini italiani e cittadini stranieri presenti regolarmente in Italia. Almeno sul fronte delle prestazioni sociali rivolte alle persone in condizioni psico-fisiche precarie. Di conseguenza, è illegittima la decisione con cui l’‘Istituto nazionale di previdenza sociale’ ha negato ad alcuni minori stranieri – uno, in particolare, portatore di handicap – l’indennità di accompagnamento, richiamando la non sufficientemente lunga durata della presenza legale in Italia Cassazione, sentenza numero 15944/2016, Sezione Lavoro, depositata il 29 luglio . Accompagnamento. In ballo le richieste avanzate da due donne straniere. Obiettivo è ottenere l’indennità di accompagnamento per le rispettive figlie, entrambe in condizioni fisiche precarie. Per l’‘Inps’, però, la domanda deve essere respinta. Ciò alla luce del «limite temporale previsto dalla legge per ottenere la ‘carta di soggiorno’». E su questo punto concordano i giudici della Corte d’Appello, che, in riforma della decisione assunta in Tribunale, ritengono formalmente corretto il ‘no’ dell’Istituto alla richiesta avanzata dalle due mamme. Soggiorno. Elemento centrale nella vicenda, quindi, è il collegamento tra «prestazione sociale» e «non episodicità del soggiorno» in Italia. Proprio su questo punto i magistrati della Cassazione demoliscono la visione adottata in Appello. A loro dire ciò che è prioritario, difatti, è evitare «la violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione tra cittadini e stranieri in materia di disabilità». In questa vicenda ci si trova di fronte alla possibilità di concedere a uno straniero «l’indennità di accompagnamento». Quindi in ballo c’è «una provvidenza destinata al sostentamento della persona, nonché alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui il disabile – non italiano – si trova inserito». E in questo quadro «qualsiasi discrimine fra cittadini e stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi da quelli previsti per la generalità dei soggetti» è in evidente contrasto col «principio di non discriminazione». È evidente, ampliando l’orizzonte del ragionamento, che alla luce delle «gravi condizioni dei soggetti, vengono coinvolti valori di essenziale risalto», quali «la salvaguardia della salute, le esigenze della solidarietà rispetto a condizioni di elevato disagio sociale, i doveri di assistenza per le famiglie», e ciò rende «priva di giustificazione la previsione di un regime restrittivo nei confronti di cittadini extracomunitari legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato da tempo apprezzabile e in modo non episodico», come in questo caso. Tutto ciò permette di affermare, concludono i magistrati, che, «a differenza da quanto sostenuto dall’‘Inps’», in materia di «prestazioni sociali volte a rispondere ai bisogni primari della persona» nel nostro ordinamento «non è consentita alcuna differenziazione tra cittadini italiani e stranieri». E ciò, sia chiaro, «non solo sulla base della cittadinanza, ma neppure in relazione alla durata della residenza», dovendosi invece fare riferimento «esclusivamente alla soddisfazione del bisogno» manifestato dalla persona in difficoltà.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 maggio – 29 luglio 2016, numero 15944 Presidente Berrino - Relatore Riverso Svolgimento del processo Con la sentenza numero 740/2010, depositata il 19.10.2010, la Corte d'Appello di Genova, riuniti gli appelli per connessione di questioni, in riforma delle sentenze nnumero 102 e 1200 del 2009 dei tribunale di Genova accoglieva parzialmente l'appello proposto da S.E. T.V., quale rappresentante dei figli minori G.A. e R.D. C. T., e condannava l'INPS a corrispondere loro l'indennità di accompagnamento dall'1.6.2010 ovvero' far data dall'acquisto della cittadinanza italiana, oltre accessori. Confermava invece in mancanza della carta di soggiorno la sentenza numero 1003/2009 dei tribunale di Genova che aveva rigettato la domanda proposta da O. T., quale esercente la potestà genitoriale sulla minore K. T., per ottenere l'indennità di accompagnamento per le minore e il riconoscimento della qualità di portatore di handicap ex lege numero 104/1992 e dichiarava compensate le spese. A fondamento della decisione la Corte genovese sosteneva che ai fini del conseguimento delle prestazioni sociali domandate in giudizio, pur a seguito della sentenza numero 306/2008 della Corte Costituzionale con cui era stato dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, numero 388 e dell'articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, numero 286 nella parte in cui escludono che l'indennità di accompagnamento possa essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perché essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno ed ora previsti per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo , valesse ancora il limite temporale previsto dalla legge per ottenere le carta di soggiorno per i soggiornanti di lungo periodo per cui il diritto vantato da tutti gli attori non poteva sussistere. Doveva però accogliersi la domanda di S.E. T.V. quale rappresentante dei figli minori G.A. e R.D. C. T. in quanto, nelle more del giudizio, in data 26 maggio 2010, essi avevano ottenuto le cittadinanza italiana, talchè la provvidenza richiesta doveva essere concessa, ma solo dall'1.6,2010. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione S.E. T.V. ed O. Toll, nelle qualità sopraindicate, affidando le proprie censure ad un unico motivo. Resiste l'INPS controricorso. Motivi della decisione 1.- Con il primo ed unico motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1 della legge 18/1980 e dell'articolo 80, comma 19 della legge 23.12.2000 numero 388 in relazione all'articolo 10 della Cost. all'articolo 14 della CEDU all'articolo 1 del Protocollo addizionale della Convenzione, adottato a Parigi il 20 marzo 1952 e reso esecutivo con I. 4.8.1955 n, 848 alla Convenzione ONU di New York recepita in Italia con 1.176/1991 alla Convenzione di Lussemburgo del 1980, alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità , siglata a New York il 13.12.2006 e ratificata con I. 3.3.2009 numero 18 articolo 360 c.p.c. numero 3 , nonché la violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione tra cittadini e stranieri extracomunitari in materia di disabilità. Ciò in quanto la Corte d'appello aveva negato le provvidenze di cui alla domanda sostenendo che fosse ragionevole subordinarne l'erogazione alla sussistenza del requisito temporale di permanenza lungo ed affermando perciò che le prestazioni in discorso non fossero intese a rimediare a gravi situazioni di urgenza che sole, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, avrebbero tolto ragionevolezza al collegamento dell'erogazione della prestazione alla non episodicità ed alla breve durata dei soggiorno. 1.1. II ricorso è fondato. Come risulta dalla successiva sentenza 11.03.2013 numero 40 rel. Grossi , l'articolo 80, comma 19 della L. 23 dicembre 200 numero 388 legge finanziaria 2001 è stato pure dichiarato illegittimo nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello stato dell'indennità di accompagnamento e della pensione di inabilità. La Corte era chiamata a decidere sul requisito di soggiorno quinquennale in relazione ai due istituti indennità di accompagnamento e pensione di inabilità sui quali si era già pronunciata con le sentenze 306/2008 e 11/2009 con riferimento ai soli requisiti reddituali. Ancora una volta la Corte ha ribadito che ove si tratti di provvidenze destinate al sostentamento della persona nonché alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui il disabile si trova inserito, qualsiasi discrimine fra cittadini e stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi da quelli previsti per la generalità dei soggetti, finisce per risultare in contrasto con il principio di non discriminazione di cui all'ari. 14 della CEDU, avuto riguardo alla interpretazione rigorosa che di tale norma è stata offerta dalla giurisprudenza della Corte europea . L'introduzione di una norma a carattere restrittivo viene quindi riconosciuta dalla Corte priva di giustificazione in ragione delle gravi condizioni di salute dei soggetti dì riferimento [ ] vengono infatti ad essere coinvolti una serie di valori di essenziale risalto - quali, in particolare, la salvaguardia della salute, le esigenze di solidarietà rispetto a condizioni di elevato disagio sociale, i doveri di assistenza per le famiglie [ ] che rendono priva di giustificazione la previsione di un regime restrittivo ratione teroporis, così come ratione census nei confronti di cittadini extracomunitari, legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato da tempo apprezzabile ed in modo non episodico, come nei casi di specie. In conclusione, ed a differenza da quanto sostenuto dall'INPS, va affermato che ai fini dei riconoscimento dì prestazioni sociali volte a rispondere ai bisogni primari della persona, nel nostro ordinamento non sia consentita, ex articolo 2 e 3 Cost., alcuna differenziazione tra cittadini italiani e stranieri, come si evince pure dalla giurisprudenza costituzionale intervenuta in materia sentenze 306/2008, 11/2009, 187/2010, 40/2003, 329/2011, 22/2015, 230/2015 . Tanto non solo sulla base della cittadinanza, ma neppure in relazione alla durata della residenza sia essa riferita al territorio nazionale o alla regione che eroga la prestazione dovendosi invece avere riguarda esclusivamente alla soddisfazione del bisogno. 4. La sentenza impugnata non è pertanto conforme ai principi esposti sia dove ha negato la prestazione, sia dove l'ha accordata soltanto a seguito dell'acquisto della cittadinanza da parte dei minori, con decorrenza dal 1 giugno 2010. Ne consegue che il ricorso debba essere accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio al giudice designato in dispositivo per l'ulteriore esame della controversia. II giudice del rinvio provvederà altresì, ex articolo 385 cod. proc. civ., sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di Appello di Genova in diversa composizione.