E' correttamente motivata la sentenza di merito la quale rigetti la domanda di risarcimento del danno patrimoniale consistente nella perdita delle opere di ausilio domestico che la vittima di un fatto illecito avrebbe prestato in favore del familiare superstite, in assenza della prova sia di una particolare situazione di indigenza del superstite, tale da rendere plausibile il ricorso all’aiuto dei familiari per il disbrigo dei servizi domestici sia della dimostrazione della natura, del contenuto e della frequenza delle opere che si assume la vittima svolgesse o avrebbe svolto in favore del superstite.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 8407 del 10 aprile 2014. Il caso. La vicenda riguarda un risarcimento danni da sinistro stradale domandati dalla figlia della vittima morta a causa dell’incidente. In primo grado l’attrice otteneva una sentenza favorevole, ma presentava comunque appello perché riteneva che i danni quantificati dal Giudice di prime cure fossero sottostimati. Neppure la determinazione della Corte territoriale era, però, considerata sufficiente e, pertanto, la donna proponeva ricorso in Cassazione. Dimostrazione e quantificazione dei danni. La sentenza degli Ermellini offre lo spunto per riepilogare alcuni principi giurisprudenziali fondamentali in tema di quantificazione dei danni e dimostrazione degli stessi. I motivi essenziali del ricorso in Cassazione riguardavano 1 il riconoscimento e la quantificazione del danno patrimoniale da perdita delle utilità economiche che la defunta, se fosse stata in vita, avrebbe potuto offrire alla figlia 2 la liquidazione del danno non patrimoniale 3 la “personalizzazione” del danno non patrimoniale. Il danno patrimoniale da perdita delle utilità economiche. In ordine al primo punto, la Cassazione ha ritenuto esenti da critica le considerazioni dei Giudici di merito che avevano respinto le richieste attoree in quanto non provato il danno patrimoniale da perdita delle utilità economiche. Infatti, la ricorrente non aveva fornito una dimostrazione sufficiente di tale voce di danno dal momento che le uniche due prove testimoniali dedotte in giudizio si erano risolte in deposizioni generiche, incerte e irrilevanti. Inoltre, osservano gli Ermellini, per dimostrare tale pregiudizio, anche solo in via presuntiva, è necessario provare sia la consistenza del patrimonio della vittima, sia l’entità di quello della superstite. Infatti, quanto più il primo eccede il secondo, tanto più probabile sarà l’esistenza di una stabile contribuzione su cui la vittima avrebbe potuto fare affidamento anche per il futuro. Nel caso di specie, simili argomentazioni mancavano del tutto, addirittura la ricorrente non aveva neppure denunciato un proprio particolare stato di bisogno tale da rendere necessario e verosimile l’aiuto della madre al ménage familiare. A nulla valeva invocare sul punto le dichiarazioni a sé favorevoli rese dalla stessa attrice in sede di interrogatorio formale e non contestate dalle controparti. Non si può, infatti, invocare al riguardo l’articolo 228 c.p.c. perché la confessione a seguito di interrogatorio formale consiste nell’ammissione di fatti a sé sfavorevoli vedi articolo 2730 c.c. , non rilevando a nulla le dichiarazioni a proprio favore. Peraltro, osservano gli Ermellini, l’onere di contestazione a carico della parte favorita dalla confessione sorge solo nel caso di dichiarazioni aggiunte alla confessione del fatto a sé sfavorevole secondo lo schema descritto dall’articolo 2734 c.c. , ma non era questo il caso. La liquidazione del danno non patrimoniale. Con riferimento al secondo aspetto, la ricorrente lamentava il fatto che i giudici di merito nella liquidazione del danno non patrimoniale non avevano tenuto in debita considerazione tutte le circostanze di fatto che la parte aveva dimostrato. In realtà, la Corte d’appello aveva considerato tutti gli aspetti provati dalla parte tra cui l’età della vittima, l’età della figlia, la circostanza che quest’ultima fosse incinta al momento del sinistro. Tuttavia, non aveva potuto tenere in considerazione il mancato contributo della vittima alle necessità economiche della figlia in quanto circostanza non provata dalla parte a ciò onerata. Nessuna critica poteva quindi essere mossa alla Corte d’Appello che correttamente aveva valutato il danno ponendo a fondamento della propria decisione tutti e soli i fatti che potevano essere legittimamente esaminati, cioè quelli allegati e dimostrati dalla parte richiedente il risarcimento. La “personalizzazione” del danno non patrimoniale. In relazione al terzo aspetto, la Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere non valutabili, ai fini della cosiddetta “personalizzazione” del danno non patrimoniale, le circostanze di fatto che l’attrice aveva dedotto non nell’atto di citazione, ma solo nella comparsa conclusionale. Innanzitutto, la Cassazione ribadisce che con il termine “personalizzazione” del risarcimento del danno non patrimoniale si designa l’operazione consistente nella variazione dell’importo che risulterebbe dai criteri ordinari per adeguare meglio il risarcimento alle specificità e criticità del caso concreto. Detto questo, gli Ermellini ritengono comunque corrette le considerazioni dei Giudici di merito perché, secondo principio costante in giurisprudenza, nella stima del danno alla persona, il giudice di merito chiamato a compiere il giudizio di “personalizzazione” non può prendere in esame circostanze di fatto che non siano state tempestivamente allegate sin dall’atto introduttivo del giudizio. Alla luce di simili considerazioni, la sentenza di secondo grado veniva confermata e la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. III civile, sentenza 11 febbraio – 10 aprile 2014, numero 8407 Presidente Berruti – Relatore Rossetti Svolgimento del processo 1. Il omissis , in conseguenza di un sinistro stradale, perse la vita la sig.a B.A. . La figlia della vittima, sig.a B.C. , per ottenere il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della morte della madre, il 14.11.2001 convenne dinanzi al Tribunale di Perugia il conducente ritenuto responsabile sig. P.S. il proprietario del veicolo da lui condotto la società semplice Azienda Agraria Monte Malbe i due soci della suddetta società sigg.ri G.P. e G.F. e l'assicuratore della r.c.a. del mezzo la SAI s.p.a., che in seguito muterà ragione sociale in Fondiaria-SAI s.p.a., e come tale sarà d'ora innanzi indicata . 2. Il Tribunale di Perugia con sentenza 23.9.2008 accolse la domanda. La sentenza venne tuttavia impugnata dalla sig.a B.C. , la quale ascriveva al Tribunale di avere sottostimato sia i danni che le spese. Anche taluni dei soccombenti la società Azienda Agraria Monte Malbe , la società Fondiaria-SAI, il sig. G.P. impugnarono in via incidentale la sentenza di primo grado, lamentando che il Tribunale avesse ritenuto esistenti e liquidato danni in realtà indimostrati. 3. La Corte d'appello di Perugia, con la sentenza 10.7.2012 numero 297, accolse in parte entrambe le impugnazioni. In particolare la Corte d'appello - rideterminò il danno da mora spettante alla danneggiata - addossò ai soccombenti le spese di consulenza tecnica - rigettò la domanda di risarcimento del danno patrimoniale da perdita dell'ausilio svolto dalla persona defunta a pro della figlia - confermò nel resto la sentenza del Tribunale. 4. La decisione d'appello è stata impugnata per cassazione dalla sig.a B.C. , sulla base di tre motivi. Ha resistito con controricorso la sola Fondiaria-SAI s.p.a La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'articolo 378 c.p.c I procuratori della ricorrente e della Fondiaria-SAI s.p.a. hanno infine discusso la causa all'udienza dell'11.2.2014. Motivi della decisione 1. Il primo motivo di ricorso. 1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa sia nel vizio di violazione di legge di cui all'articolo 360, numero 3, c.p.c. sia in quello di motivazione ai sensi dell'articolo 360, numero 5, c.p.c . Il giudice avrebbe errato, in particolare, nel ritenere insussistente il danno patrimoniale da perdita delle utilità economiche che la defunta, se fosse rimasta in vita, avrebbe potuto offrire alla figlia superstite. Nella illustrazione del motivo - ad onta della formale denuncia di violazione di ben dodici articoli dei codici civile e di procedura civile - la ricorrente denuncia in sostanza due soli vizi a sul piano del vizio di legge, si allega una violazione degli articolo 2727 e 2729 c.c., per avere il giudice di merito trascurato di desumere, dal fatto noto dello stretto legame esistente tra madre e figlia, il fatto ignorato che la prima, se fosse rimasta in vita, avrebbe aiutato la seconda nella gestione delle incombenze domestiche e nell'assistenza al figlio minore b sul piano del vizio di motivazione, la ricorrente allega che la Corte d'appello non avrebbe adeguatamente valutato le prove raccolte, le quali invece deponevano per l'esistenza d'un danno patrimoniale derivante dalla morte della sig.a B.A. . 1.2. Sotto il profilo della violazione di lege il primo motivo di ricorso è inammissibile. La Corte d'appello non ha affatto negato che la prova del danno futuro non possa trarsi da una presunzione semplice né ha negato che quest'ultima consista nella deduzione di un fatto noto da uno ignorato. Ha, piuttosto, escluso che nel caso di specie ricorressero i presupposti della prova presuntiva dell'esistenza d'un danno patrimoniale. Tuttavia l'errore del giudice nel ricostruire e valutare la prova presuntiva non costituisce una violazione di legge, ma un vizio di motivazione è sin troppo noto, infatti, come il vizio di violazione di legge consista nella deduzione di un'erronea ricognizione della fattispecie astratta prevista da una norma di legge, ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa. Al contrario, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione [ex permultis, Sez. 5, Sentenza numero 8315 del 04/04/2013, Rv. 626129 Sez. L, Sentenza numero 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745 Sez. 1, Sentenza numero 4178 del 22/02/2007 Rv. 595002 Sez. U, Sentenza numero 10313 del 05/05/2006 Rv. 589877 ]. Così, ad esempio, il giudice il quale desumesse dal fatto noto che un uomo sia in vita il fatto ignorato che quegli possieda un titolo di studio non viola l'articolo 2727 c.c., ma incorre in un vizio di valutazione della prova, e dunque in un errore di giudizio destinato a tradursi in una motivazione illogica. Per contro, incorrerebbe in una violazione di legge - ad esempio - il giudice il quale ritenesse che il fatto noto dal quale risalire, ai sensi dell'articolo 2727 c.c., al fatto ignorato possa essere soltanto un fatto naturale e non un fatto umano. Nel caso di specie, la Corte d'appello ha ritenuto che dal fatto noto che la vittima avesse, prima di morire, elargito una somma di denaro alla figlia, non potesse risalirsi al fatto ignorato che tale elargizione sarebbe continuata in futuro e questo è un giudizio su un fatto, non una interpretazione dell'articolo 2727 c.c Pertanto la ricorrente, là ove si duole di una violazione di legge , censura in realtà la ricostruzione del fatto come operata dal giudice di merito, questione come noto inammissibile in sede di legittimità. 1.3. Infondato, invece, è il primo motivo di ricorso nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione, definita nel ricorso soltanto apparente . 1.4. L'attrice, in primo grado, aveva chiesto il risarcimento del danno patrimoniale derivante dalla perduta possibilità di beneficiare a della contribuzione della defunta al ménage familiare b dell'ausilio della defunta nella cura, assistenza ed educazione dei figli. Il giudice d'appello ha rigettato tale domanda, sul presupposto che a la sig.a B.C. aveva costituito un proprio nucleo familiare e non convivesse più con la defunta b nel giudizio non era stata raccolta alcuna prova che consentisse di quantificare l'apporto della sig.a B.A. alle esigenze della vita domestica della figlia così la sentenza impugnata, pp. 8-9 . La ricorrente ha impugnato tale statuizione, come accennato, per difetto di motivazione, assumendo che la Corte d'appello ha trascurato di prendere in esame a le deposizioni testimoniali raccolte in primo grado trascritte nel ricorso b le dichiarazioni rese dalla sig.a B.C. rispondendo all'interrogatorio formale, non contestate e perciò - secondo la ricorrente - produttive degli effetti di cui all'articolo 228 c.p.c 1.5. Nessuna delle due censure coglie nel segno. Dalle deposizioni testimoniali così come trascritte nel ricorso si apprende che nella fase di merito sono stati interrogati soltanto due testimoni in merito ai benefici patrimoniali che la sig.a B.C. riceveva od avrebbe verosimilmente ricevuto dalla madre. Il primo testimone ha riferito di un generico contributo economico e morale della vittima in favore della figlia, soggiungendo di avere appreso dalla vittima stessa che sarebbe stata lieta di curarsi del nipote che la figlia le avrebbe generato di lì a poco testimone B.P. cfr. il ricorso, p. 9 . Il secondo testimone ha riferito di avere visto a volte la sig.a B.A. ed il nipote consumare qualcosa nel bar gestito dal testimone stesso teste L.G. ibidem, p. 9 . Le due deposizioni appena riassunte non consentivano al giudice di stabilire altro che una generica intenzione o predisposizione della sig.a B.A. a sovvenire la figlia nella gestione domestica. Ma quanto a tempi, modi e contenuti di tale ausilio le suddette deposizioni sono state ultrageneriche. Aggiungasi che elemento di fatto essenziale per valutare, anche in via presuntiva, la sussistenza d'un danno patrimoniale da perdita delle contribuzioni o di altre utilità elargite da persona defunta ai suoi prossimi congiunti è la dimostrazione sia della consistenza del patrimonio della vittima, sia di quello del superstite risponde, infatti, a nozioni di comune esperienza che quanto più il primo ecceda il secondo, tanto più probabile sarà l'esistenza d'una stabile contribuzione, ovvero il bisogno del superstite di ricorrere all'aiuto, anche operibus, del defunto. Nel caso di specie, invece, la ricorrente non ha mai dedotto di avere allegato nel corso del giudizio un proprio particolare stato di bisogno, ovvero una situazione di indigenza tale da rendere necessario il ricorso all'aiuto materno per disbrigare il ménage domestico. Ne consegue che la Corte d'appello, là dove ha ritenuto di non avere alcuna prova circa Il contributo futuro che la vittima avrebbe potuto dare alla figlia in termini economicamente valutabili ha adottato una motivazione corretta e logica sia perché la Corte non disponeva della prova dell'an una situazione di bisogno dell'avente diritto sia perché la Corte non disponeva della prova del quantum presumibile estensione, contenuto e frequenza dei servizi che la vittima prestava od avrebbe prestato al superstite . Il motivo va dunque rigettato sulla base del seguente principio di diritto È correttamente motivata la sentenza di merito la quale rigetti la domanda di risarcimento del danno patrimoniale consistente nella perdita delle opere di ausilio domestico che la vittima d'un fatto illecito avrebbe prestato in favore del familiare superstite, in assenza della prova sia d'una particolare situazione di indigenza del superstite, tale da rendere plausibile il ricorso all'aiuto dei familiari per il disbrigo dei servizi domestici sia della prova della natura, del contenuto e della frequenza delle opere che la vittima si assume svolgeva od avrebbe svolto in favore del superstite. 1.6. Infondata è, altresì, l'allegazione della ricorrente secondo cui il danno patrimoniale, essendo stato dall'attrice dichiarato nel rispondere all'interrogatorio formale, e non contestato dalle controparti, doveva darsi per ammesso e provato ai sensi dell'articolo 228 c.p.c La ricorrente infatti invoca a torto quest'ultima norma sia perché la confessione giudiziale consiste nell'ammissione di un fatto a sé sfavorevole, non di un fatto a sé favorevole sia perché l'onere di contestazione a carico della parte favorita dalla confessione sorge solo nel caso di dichiarazioni aggiunte a quest'ultima articolo 2734 c.c. - Se, invece, la parte interrogata non rende congiuntamente dichiarazioni a sé favorevoli e dichiarazioni a sé sfavorevoli - come appunto nel caso di specie - lo speciale meccanismo previsto dall'articolo 2734 c.c. e l'onere di immediata contestazione non opera. 2. Il secondo motivo di ricorso. 2.1. Il secondo motivo di ricorso è solo formalmente unitario. Con esso vengono mosse alla decisione impugnata, in modo frammisto, cinque diverse censure. 2.2. Col primo profilo del secondo motivo di ricorso pp. 15-23 del ricorso la ricorrente sostiene che la Corte d'appello non avrebbe colto l'esatto contenuto del gravame da essa proposto. Lamenta, dunque, una nullità procedimentale articolo 360, numero 4, c.p.c. consistita nel non far corrispondere la pronuncia alla domanda. Spiega la ricorrente, a tal riguardo, che essa con l'appello principale si era doluta di una iniqua liquidazione per difetto del danno non patrimoniale da morte del prossimo congiunto. Soggiunge che nell'atto d'appello aveva evidenziato come la sentenza di primo grado non avesse tenuto conto di tutte le specificità del caso concreto dinamica del sinistro, vincolo familiare, assenza di fratelli, sofferenze morali . La Corte d'appello, invece, aveva rigettato sul punto l'appello qualificando la doglianza come intesa ad ottenere una duplicazione risarcitoria e cioè la congiunta liquidazione del danno c.d. morale e di quello c.d. esistenziale . Deduce tuttavia la sig.a B.C. che non questo fu il suo intendimento allorché propose l'appello, ma piuttosto quello di ottenere una liquidazione del danno non patrimoniale che, quale che fosse il nome col quale venisse qualificato, fosse comunque corrispondente alla effettiva entità del pregiudizio. 2.2.1. Questo primo profilo del secondo motivo di ricorso è infondato. La citazione introduttiva del giudizio d'appello, trascritta dalla ricorrente alle pp. 16-22 del ricorso per cassazione, prospettava avvinte e talora confuse insieme due diverse doglianze. Con la prima di esse, la sig.a B.C. lamentava la omessa liquidazione, da parte del Tribunale, del c.d. danno esistenziale ovvero da perdita del rapporto parentale , a suo dire diverso e non ricompreso nella liquidazione del danno non patrimoniale compiuta dal primo giudice in tal modo, chiaramente, i pp. 5, 6 ed 8 dell'atto d'appello . Con la seconda di esse, la sig.a B.C. lamentava comunque – e cioè a prescindere da qualsiasi disputa terminologica sul senso da attribuire alle espressioni danno morale e danno esistenziale - la mancata considerazione, da parte del Tribunale, delle specificità del caso concreto. Così rettamente ricostruito l'atto d'appello, ne risulta che la Corte d'appello non ha affatto equivocato sul suo contenuto. Essa infatti ha giudicato sulla prima doglianza alle pp. 4-5 della sentenza, statuendo che il danno non patrimoniale ha natura unitaria ed omnicomprensiva, e che non è possibile pertanto procedere a distinte liquidazioni per danni chiamati con nomi diversi, ma destinati a ristorare identici pregiudizi. Ha giudicato, invece, sulla seconda doglianza a p. 6 della sentenza, escludendo che nella specie potesse procedersi alla c.d. personalizzazione del risarcimento. La Corte, dunque, non ha frainteso il contenuto del gravame e non ha omesso di pronunciarsi su esso. Nessun vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato è dunque ravvisabile nel nostro caso. 2.3. Col secondo profilo del secondo motivo di ricorso pp. 23-25 del ricorso la ricorrente sostiene che la Corte d'appello avrebbe errato nel confermare la sentenza di primo grado, nella parte in cui quest'ultima aveva liquidato il danno non patrimoniale senza tenere conto di tutte le specificità del caso concreto. Essa infatti aveva allegato una serie di circostanze in facto che dovevano essere tenute in considerazione ai fini della determinazione del giusto risarcimento. La doglianza in esame va rettamente inquadrata nel vizio di cui all'articolo 360, numero 3, c.p.c con essa infatti la ricorrente non si duole di una errata valutazione di un fatto, ma lamenta un c.d. vizio di sussunzione , ovvero la violazione delle regole che presiedono alla aestimatio del danno. 2.3.1. Anche la doglianza in esame è infondata. La Corte d'appello ha ritenuto corretta la sentenza di primo grado, la quale a sua volta aveva liquidato il danno non patrimoniale patito dalla sig.a B.C. per la morte della madre dichiarando di avere tenuto conto delle seguenti circostanze a l'età della vittima b l'età dell'avente diritto al risarcimento c la circostanza che l'avente diritto fosse coniugata ed avesse costituito un suo nucleo familiare d la circostanza che l'avente diritto al risarcimento, in stato interessante al momento del fatto illecito, avesse portato regolarmente a termine la gravidanza. Nell'atto di citazione, la sig.a B.C. , descrivendo i fatti materiali posti a fondamento della domanda articolo 163 c.p.c. aveva allegato quattro peculiarità del suo caso a l'intensità del dolore b l'età della vittima c lo stato di gravidanza dell'avente diritto d l'aiuto che la vittima avrebbe dato al nucleo familiare della figlia, se fosse rimasta in vita così la citazione in primo grado, p. 2, p. 7 . L'allegazione di questi fatti era vincolante per i giudici di merito di primo e secondo grado. Essi infatti non avrebbero mai potuto porre a fondamento della propria decisione fatti che, se pur provati, non erano stati debitamente allegati nell'atto introduttivo del giudizio. Il Tribunale, dunque, per liquidare il danno non patrimoniale poteva fare riferimento alle sole circostanze di fatto allegate dall'attrice nell'atto di citazione e così fece. La Corte d'appello, chiamata a valutare la correttezza di tale statuizione, ha espunto dal novero delle circostanze utilizzabili ai fini del decidere quella indicata sub d , ritenendola non provata con statuizione che, per quanto detto, resiste alle censure mossele dalla ricorrente. Da ciò consegue che il lamentato vizio di sussunzione non sussiste, perché la Corte d'appello ha valutato il danno ponendo a fondamento della propria decisione i soli fatti che poteva legittimamente esaminare e cioè quelli allegati scilicet, descritti nell'atto introduttivo del giudizio. 2.4. Col terzo profilo del secondo motivo di ricorso pp. 25-26 del ricorso la ricorrente sostiene che la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere non valutabili, ai fini della c.d. personalizzazione del risarcimento, le circostanze di fatto dedotte dall'attrice non nell'atto di citazione, ma nella comparsa conclusionale. La ricorrente censura tale decisione, sostenendo di avere invocato la necessità di una personalizzazione del risarcimento sin dall'atto d'appello, ed allegando che comunque ad essa il giudice dovrebbe procedere anche d'ufficio. 2.4.1. Anche questa doglianza è infondata, sebbene la motivazione adottata dal giudice d'appello vada corretta. Col lemma personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale si designa l'operazione consistente nella variazione, in più od in meno, dell'importo che risulterebbe dall'applicazione del criterio standard, compiuta al fine di adeguare il risarcimento alle specificità del caso concreto. Proprio perché finalizzata ad adeguare il risarcimento alla concreta entità del pregiudizio, la personalizzazione del risarcimento può avvenire soltanto ove chi la invochi deduca e dimostri le circostanze di fatto poste a fondamento della relativa domanda. Le circostanze di fatto poste a fondamento della domanda nel processo civile possono essere descritte solo nell'atto di citazione, come risulta dal combinato disposto degli articolo 163 e 183 c.p.c., oltre che da una consolidata interpretazione. Nel presente giudizio, come già detto al p. 2.3.1., nell'atto di citazione l'attrice allegò un certo numero di circostanze di fatto, chiedendo che di esse si tenesse conto nella liquidazione del risarcimento e di esse, per quanto detto, il giudice di merito tenne debitamente conto. Poi, con l'atto d'appello, la sig.a B.C. ha ampliato la descrizione del quadro fattuale di cui tenere conto nella liquidazione del danno e nella personalizzazione del risarcimento, passando dalle sedici righe di cui alle pp. 2-3 dell'atto di citazione, alle quasi quattro pagine dell'atto d'appello. È, dunque, certamente errata in iure l'affermazione della Corte d'appello, secondo cui l'aumento personalizzato è limitato esclusivamente al calcolo del danno da invalidità permanente è, nondimeno, corretta la decisione di rigettare l'appello sul punto del quantum, in base al rilievo che la determinazione del danno compiuta dal giudice di primo grado fosse congrua in rapporto a tutte le circostanze di fatto evidenziate nella sentenza impugnata così la sentenza impugnata, p. 6 . E tale decisione è corretta perché nella stima del danno alla persona, quando sia chiamato a compiere la c.d. personalizzazione del risarcimento, il giudice di merito non può prendere in esame circostanze di fatto che non siano state tempestivamente allegate sin dall'atto introduttivo del giudizio. La doglianza in esame va dunque rigettata sulla base del principio di diritto appena esposto. 2.5. Col quarto profilo del secondo motivo di ricorso pp. 26-28 del ricorso , infine, la ricorrente sostiene che la Corte d'appello avrebbe errato nel liquidare il danno non patrimoniale patito per la morte della madre applicando i parametri generali predisposti dal Tribunale di Milano c.d. Tabelle di Milano , usualmente utilizzati anche dagli uffici giudiziari perugini, relativi non all'epoca della decisione d'appello 2012 , ma all'epoca della decisione di primo grado 2008 . 2.5.1. La censura è inammissibile in questa sede, in quanto del tutto nuova mai, infatti, nei precedenti gradi di giudizio si fece questione del criterio da adottare per la liquidazione del danno e dell'epoca di riferimento delle c.d. Tabelle applicate dal Tribunale. Né, del resto, la ricorrente ha indicato nel proprio ricorso - in ossequio al c.d. principio di autosufficienza del ricorso per cassazione - quando e con quali termini abbia posto, nei gradi di merito, la questione delle Tabelle utilizzabili nel caso di specie. 2.6. Col quinto profilo del secondo motivo di ricorso pp. 28-33 del ricorso la ricorrente sostiene che la Corte d'appello avrebbe errato nel non rivalutare la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, e nel calcolare gli interessi di mora. Il motivo è sostenuto da una motivazione in iure così riassumibile a il Tribunale ha liquidato, a titolo di danno non patrimoniale, l'importo di Euro 150.000 b tale somma, se intesa come espressa in moneta dell'epoca della liquidazione, sarebbe stata troppo modesta c ergo, l'importo suddetto doveva ritenersi espresso in moneta dell'epoca del sinistro, e quindi doveva essere rivalutato cosa che né il Tribunale, né la Corte d'appello, hanno fatto. Infine, deduce la ricorrente che la Corte d'appello avrebbe errato nel calcolare gli interessi di mora sull'importo del risarcimento devalutato all'epoca del fatto illecito. 2.6.1. La doglianza è manifestamente infondata in tutti e due i suoi passaggi. La sentenza d'appello afferma ore rotundo che la somma liquidata dal Tribunale, e ritenuta congrua dalla Corte d'appello, doveva ritenersi espressa in valori attuali all'epoca della decisione di primo grado. Dunque a nessuna rivalutazione era tenuta la Corte d'appello. Stabilire, poi, se l'importo così determinato fosse congruo o meno rispetto alla specificità del caso è questione di merito non sindacabile da questa Corte, e per quanto detto in precedenza decisa in modo correttamente motivato dai giudici di merito, alla luce di quanto dedotto dall'attrice in punto di fatto. Corretta, infine, fu la modalità di computo del danno da ritardato adempimento c.d. interessi compensativi , puntualmente conforme a quanto statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la nota sentenza pronunciata da Sez. U, Sentenza numero 1712 del 17/02/1995, Rv. 490480, alla cui motivazione sarà pertanto sufficiente rinviare. 3. Il terzo motivo di ricorso. 3.1. Col terzo motivo di ricorso la sig.a B.C. lamenta che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in violazione di legge, con riferimento all'articolo 92 c.p.c., nella parte in cui ha ritenuto corretta la decisione del Tribunale di compensare le spese del grado. Espone, al riguardo, che in realtà non sussisteva alcun giusto motivo che potesse giustificare la compensazione, essendo rimasti i convenuti totalmente soccombenti. 3.2. Il motivo è infondato. La Corte d'appello ha ritenuto corretta la compensazione delle spese di primo grado in base al notevole divario tra petitum e decisum e tale circostanza rientra tra i giusti motivi di cui all'articolo 92 c.p.c. nel testo vigente ratione temporis, in base al tradizionale rilievo secondo cui pretese eccessive sopprimono l’animus transigendi del debitore e fomentano il ricorso alla resistenza in giudizio piuttosto che all'adempimento spontaneo. 4. Le spese. 4.1. La circostanza che la motivazione della sentenza d'appello sia stata corretta in questa sede è idonea a giustificare la compensazione delle spese di questo grado di legittimità, in base al rilievo che essa può avere avuto l'effetto di indurre in errore la ricorrente circa la presumibile fondatezza del proprio ricorso. P.Q.M. la Corte di cassazione - rigetta il ricorso - compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio.