La Torre di Babele delle dichiarazioni infedeli: giudice penale e giudice tributario parlano due lingue diverse

Per quanto riguarda i reati tributari, il giudice penale non può ricorrere al metodo presuntivo, utilizzabile in sede di giudizio tributario, per determinare l’ammontare dell’imposta evasa e verificare, così, il superamento della soglia di punibilità.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 10505, depositata il 5 marzo 2014. Il caso. Il Tribunale di Frosinone, Sezione per il Riesame, annullava il decreto emesso dal GIP, con cui veniva disposto il sequestro preventivo per l’equivalente di beni e valori fino alla concorrenza del profitto del reato, che consisteva in dichiarazioni infedeli per evadere le imposte articolo 4, d.lgs. numero 74/2000 . Il Procuratore della Repubblica ricorreva in Cassazione, contestando alla Corte territoriale di aver escluso l’esistenza del fumus del delitto contestato, in quanto il calcolo dell’imposta evasa, presupposto per l’accertamento del superamento della soglia di punibilità, sarebbe stato operato, secondo i giudici di merito, in parte in via analitica e, in parte, in via presuntiva, metodo quest’ultimo non applicabile in sede penale. Metodi diversi. Analizzando la domanda, la Cassazione sottolineava che, in tema di reati tributari, non è possibile fare ricorso alla presunzione tributaria, secondo cui tutti gli accrediti registrati sul conto corrente si considerano ricavi dell’azienda. Spetta, infatti, al giudice penale la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, procedendo d’ufficio ai necessari accertamenti, eventualmente mediante il ricorso a presunzioni di fatto. Risultati potenzialmente in conflitto. In tali casi, il giudice penale ha il compito di accertare e determinare l’ammontare dell’imposta evasa, intesa come intera imposta dovuta, attraverso una verifica che può sovrapporsi o essere in contraddizione con quella effettuata dal giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria. Nel caso di specie, la Guardia di Finanza aveva proceduto con entrambi i metodi. Secondo quello analitico, la soglia di punibilità non era stata raggiunta, mentre, secondo quello presuntivo, applicativo della presunzione normativa stabilita dall’articolo 32 d.P.R. numero 600/1973 relativo ai poteri degli uffici in materia di accertamento dei redditi la soglia veniva ampiamente superata. Da questi elementi, non poteva ricavarsi la sussistenza del fumus del delitto, in quanto la presunzione tributaria, secondo cui tutte le partite attive riscontrabili sui conti sono considerate ricavi, in assenza di prova contraria, non poteva trovare applicazione in sede penale. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 febbraio – 5 marzo 2014, numero 10505 Presidente Squassoni – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Frosinone, Sezione per il Riesame, pronunciando nei confronti di P.P. , indagato per il reato di cui all'articolo 4 dlgs. 74/2000, con ordinanza del 19/2/2013, annullava il decreto di sequestro preventivo emesso in data 5.2.2013 dal GIP presso il Tribunale di Frosinone, con il quale era stato disposto il sequestro preventivo per equivalente di beni e valori fino alla concorrenza del profitto del reato. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Frosinone, deducendo i motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173, comma 1, disp. att., cod. proc. penumero a. violazione dell'articolo 321 cod. proc. penumero e dell'articolo 32 D.P.R. numero 600/1973. Il Tribunale avrebbe escluso l'esistenza del fumus del delitto contestato, in quanto il calcolo dell'imposta evasa, presupposto per l'accertamento del superamento della soglia di punibilità e dunque per la configurazione del reato con riferimento alle annualità 2007 e 2009, sarebbe stato operato solo in parte in via analitica e per il resto in via presuntiva, metodo quest'ultimo non applicabile in sede penale. Tale circostanza sarebbe errata, in quanto per l'anno 2007, controlli analitici dei rapporti economici con clienti della società di cui l'indagato è legale rappresentante, avrebbero accertato l'omessa documentazione, registrazione e dichiarazione di ricavi per Euro 207.746,00 per un imposta evasa di Euro 62.740,18. Si sono riscontrati versamenti per Euro 177.103,30 a favore della società e contabilizzati con la causale finanziamento soci. Le indicazioni contabili non hanno trovato riscontro quale uscite dai conti correnti personali dei soci. L'accertamento, frutto di una verifica concreta, sarebbe stato ritenuto, dal tribunale, non pertinente nel processo penale. Nel corso delle indagini sarebbero emerse indicazioni contabili scarsamente plausibili, sulle quali l'indagato, interrogato il 2.7.2012, si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere. L'accertamento sui conti dei soci e la valutazione complessiva della situazione economica della società e sull'inesistenza di cause giustificatrici del presunto finanziamento dei soci, costituirebbero non l'applicazione di una presunzione normativa, ma elementi di carattere indiziario che assumono rilievo nella fase cautelare rispetto alla valutazione dell'esistenza del fumus del reato. Analogo discorso andrebbe fatto per quanto riguarda l'anno d'imposta 2009. Anche nella contabilità relativa a tale anno sono stati rinvenuti versamenti - evidenzia il PM ricorrente - per Euro 377.147,32 contabilizzati come finanziamento soci. Tali versamenti sono risultati privi di riscontro. In relazione al 2009 sarebbero stati rilevati elementi attivi non dichiarati per un totale di Euro 610.426,32, da cui discenderebbe un'imposta evasa di Euro 167.867,24. Chiede, pertanto, l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con ogni conseguente provvedimento. Considerato in diritto 1. Il proposto ricorso è infondato e va pertanto rigettato. 2. Questa Corte ha in più occasioni sottolineato come in tema di reati tributari non possa farsi ricorso alla presunzione tributaria, secondo cui tutti gli accrediti registrati sul conto corrente si considerano ricavi dell'azienda articolo 32, comma primo numero 2, d.P.R. 29 settembre 1973, numero 600 , in quanto spetta al giudice penale la determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa procedendo d'ufficio ai necessari accertamenti, eventualmente mediante il ricorso a presunzioni di fatto sez. 3, numero 5490 del 26.11.2008, dep. il 6.2.2009, Crupano, rv. 243089 . E in altra successiva pronuncia è stato condivisibilmente ribadito che in tali casi spetta esclusivamente al giudice penale il compito di accertare e determinare l'ammontare dell'imposta evasa, da intendersi come l'intera imposta dovuta, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria sez. 3, numero 36396 del 18.5.2011, Mariutti, rv. 251280 . Com'è evidente tale divieto sussiste anche quando si ragiona in termini di fumus commissi delicti. 3. Come correttamente evidenzia il Tribunale del Riesame di Frosinone nel provvedimento impugnato nel caso in esame non risulta superata, senza l'utilizzo dei calcoli presuntivi, la soglia di punibilità di 103.291,38 Euro per ogni anno d'imposta in vigore all'epoca dei fatti. Dall'esame del Processo Verbale di Constatazione - come evidenzia il difensore in memoria - risulta che la Guardia di Finanza ha proceduto con due metodi 1 il metodo analitico attraverso il quale ha accertato un'evasione d'imposta di Euro 62.740,18 per l'anno 2007 e di Euro 64.151,73 per l'anno 2009 cfr. all.ti 10 e 12 all'informativa del 4/10/2011, ff. 18 e 20 2 il metodo presuntivo, ossia applicativo della presunzione normativa stabilita dall'articolo 32 D.P.R. 600173, attraverso il quale ha accertato elementi sottratti all'imposizione pari ad Euro 177.103,34 per l'anno 2007 e pari ad Euro 377.147,323 per l'anno 2009. Orbene, da tali elementi non si può ritenere la sussistenza del fumus del delitto contestato, posto che nel processo penale, come detto, non può farsi uso dei risultati conseguenti all'applicazione della presunzione tributaria, secondo la quale tutte le partite attive riscontrabili sui conti del soggetto accertato sono considerate ricavi , ove il soggetto non dimostri il contrario. Peraltro, dalla stessa comunicazione della notizia di reato emergeva che le imposte evase negli anni in contestazione erano pari a Euro 62.740.18 per l'anno 2007 e ad Euro 64.151,73 per l'anno 2009. In nessun caso, quindi, era stata superata la soglia di punibilità vigente in quegli anni. P.Q.M. Rigetta il ricorso del PM.