Per considerare la divulgazione di notizie lesive dell’onore lecita espressione del diritto di cronaca devono ricorrere tre condizioni la verità oggettiva o putativa purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, la sussistenza di un interesse pubblico all’informazione e la forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 4068 del 20 febbraio 2014. La fattispecie. La decisione in esame è relativa alla richiesta risarcitoria formulata da un Magistrato amministrativo, ormai in pensione, a seguito di un articolo pubblicato su un quotidiano ove si asseriva che il precitato, presidente dell’Associazione Dimore Storiche d’Italia, avrebbe influenzato alcuni suoi colleghi nel momento di decidere sulla legittimità della tassazione ridotta per gli immobili di rilevanza storica. A dire del giornalista, detto magistrato sarebbe stato financo colluso con i membri del collegio giudicante. Se il Tribunale di prime cure non ha accolto la pretesa risarcitoria, la Corte d’Appello, riformando la sentenza, l’ha riconosciuta. Fattispecie che, infine, è giunta all’esame del Supremo Collegio. I presupposti per il diritto di critica. La Corte di legittimità, prima di esaminare la vicenda concreta, ha ritenuto opportuno ribadire i presupposti del diritto di critica osservando che la pubblicazione di una notizia lesiva dell’onore non può costituire un fatto illecito qualora detta sia vera o comunque frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca , deve sussistere un interesse pubblico per la divulgazione e, infine, l’esposizione della stessa deve rispettare i limiti della continenza. Nel caso in esame, il giornalista non ha assolto bene il proprio dovere in quanto, pur non avendo alcuna prova, ha pubblicato la notizia di una possibile collusione fra il Magistrato in pensione onde favorire la famiglie benestanti a discapito delle persone meno abbienti facendo presupporre la veridicità della notizia. Verità della notizia e fatto oggetto della notizia. A dire del Collegio, il giornalista ha il solo obbligo di mettere in evidenza che la verità si limita alla notizia e non all’oggetto indicando, se possibile, le fonti ove ha appreso l’informazione. Anche sotto questo profilo, egli, nella fattispecie oggetto d’esame, non ha agito secondo i principi del nostro ordinamento avendo, si ribadisce, dato per certo che l’oggetto della notizia sia vero. Infine, la Corte ha stabilito che tale indagine è soggetta alla libera valutazione del giudice di merito e sottratta alla fase di legittimità qualora, sul punto, la motivazione sia logica e esaustiva.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 dicembre 2013 – 20 febbraio 2014, numero 4068 Presidente Berruti – Relatore Armano Svolgimento del processo P.A. ha convenuto in giudizio il gruppo editoriale L'Espresso, M.E. quale direttore responsabile del quotidiano omissis , unitamente alla giornalista G.L. , al fine di sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni causatigli da un articolo a firma della G. - intitolato Le famiglie nobili beffano il Fisco - Castelli tassati come catapecchie , pubblicato il omissis sul giornale omissis , asseritamente diffamatorio nei suoi confronti e che gli avrebbero procurato un danno al decoro, all'onorabilità, nonché all'attività professionale . L'articolo in questione prendeva spunto da un ordinanza del Consiglio di Stato del 2001 di cui il professor P. , ex-magistrato, era stato Presidente di sezione, ma già in pensione al momento di tale decisione, favorevole alla tassazione ridotta per gli immobili soggetti a vincolo storico - artistico, della cui associazione Adsi - Associazione Dimore Storiche - il P. era vicepresidente. Il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda, sul rilievo che l'articolo era espressione del legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica. A seguito di impugnazione di P.A. , la Corte di appello di Roma, con sentenza del 26-10-2007, ha accolto la domanda ed ha condannato i convenuti in solido al pagamento di Euro 20.000.000, oltre alla pubblicazione di un estratto della sentenza sui giornali OMISSIS e l’ omissis . Avverso detta sentenza propongono ricorso il Gruppo Editoriale l'Espresso, il direttore M.E. e la giornalista G.L. con tre motivi. Resiste P.A. . Entrambe le parti presentano memoria. Motivi della decisione 1. La Corte di appello ha ritenuto diffamatorio il passaggio dell'articolo in cui si afferma Le Finanze insisteranno nel duello perso. Perso, si dice, anche grazie alla particolare partecipazione al caso manifestata da qualche giudice. Per intendersi, fino a poco tempo fa Presidente della quarta sezione del Consiglio di Stato, competente a decidere la causa, era P.A. , vicepresidente allo stesso tempo dell'Adsi. Pare anche che TAR e Commissioni cui presentare i ricorsi venissero scelti dall'Adsi in base agli agganci. Solo voci maligne? . 2. La Corte ha ritenuto che l’articolo, lungi dall'essere manifestazione del diritto di critica e di cronaca,presenti con toni non solo insinuanti ma addirittura espliciti, la figura dell'ex magistrato P. - già in pensione all'epoca della decisione del Consiglio di Stato - come quella di un manovratore di cause e ricorsi presso i suoi precedenti colleghi per la realizzazione del suo personale interesse di Vice Presidente in carica dell'ADSI. 3. In altre parole,continua la Corte, l'articolista, sulla base di quelle che lei stessa definisce “voci maligne” sia pure con il retorico beneficio di un punto interrogativo ha accusato - senza prove e senza riscontro - un ex magistrato di avere interferito sull'attività di una sezione del Consiglio di Stato di cui non faceva parte, manipolando cosi le decisioni di altri magistrati, ritenuti influenzati se non collusi. Concetto ulteriormente ribadito a caratteri più grandi nell'occhiello del titolo Sospetti di conflitto d'interesse un ex giudice faceva parte dell'Associazione che difende i padroni dei palazzi , che conferma l'intento del giornale di gettare ombre e dubbi sulla correttezza dell'operato dell'ex magistrato indicato in negativo come difensore dei padroni dei palazzi. 4. Con il primo motivo di ricorso si denunzia vizio omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione ex articolo 360 numero 5 c.p.c. su un fatto decisivo e controverso individuato nella esistenza di circostanze vere e di documentazione che valevano incontestabilemente a provare e riscontrare la verità dei fatti posti alla base dei giudizi critici espressi nell'articolo . Secondo i ricorrenti la Corte di merito ha omesso di motivare l'affermazione secondo cui e l'opinione critica della giornalista era senza prove e riscontri , omettendo di valutare a tale proposito una serie di circostanze ammesse dalla stessa controparte o provate dai documenti esibiti. 5. Con il secondo motivo si denunzia violazione degli articolo 51 e 595 c.p. per avere la Corte di appello, nela valutarela sussistenza del diritto di critica, subordinato lo stesso al requisito della verità oggettiva delle valutazioni ortiche dall'autore. 6. I due motivi si esaminano congiutamente per la stretta connessione logico giuridica che li lega e sono infondati. In conformità ad una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte, per considerare la divulgazione di notizie lesive dell'onore lecita espressione del diritto di cronaca ed escludere la responsabilità civile per diffamazione, devono ricorrere tre condizioni consistenti a nella verità oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca b nella sussistenza di un interesse pubblico all'informazione, vale a dire nella c.d. pertinenza Cass. civ. 15 dicembre 2004, numero 23366 Cass. civ. Cass. 18 ottobre 1984, numero 5259 c nella forma civile dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione, e cioè nella c.d. continenza, posto che lo scritto non deve mai eccedere lo scopo informativo da conseguire Cass. 18 ottobre 1984 numero 5259 . 7. In sostanza, soltanto la correlazione rigorosa tra fatto e notizia dello stesso soddisfa l'interesse pubblico all'informazione, che è la ratio dell'articolo 21 Cost., di cui il diritto di cronaca è estrinsecazione, riportando l'azione nell'ambito dell'operatività dell'articolo 51 cod. penumero e rendendo la condotta non punibile nel concorso degli altri due requisiti della continenza e pertinenza Cass. Sentenza numero 14822 del 04/09/2012. 8. Va ricordato che questa Corte ha ribadito anche di recente fra le ultime Cass. Sez. Unumero 27 dicembre 2011, numero 28813 Cass. 22 marzo 2013, numero 7274 che, dati per comuni i presupposti per ritenere legittimo l’esercizio del diritto di cronaca e di quello critica, la critica, cioè la valutazione, l'interpretazione e le considerazioni in merito ai fatti veri, può non essere obiettiva né esatta, ma anzi presentare connotazioni soggettive opinabili o non condivisibili e tradursi anche in valutazioni e commenti tipicamente di parte , cioè non necessariamente obiettivi, purché si fondi sull'attribuzione di fatti veri, posto che nessuna interpretazione soggettiva, che sia fonte di discredito per la persona che ne sia investita, può ritenersi rapportabile al lecito esercizio del diritto di critica, quando tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti opposta alla verità Cass. sent. 1982/2014. 9. Occorre distinguere la verità oggettiva della notizia come fatto in sé dalla verità del fatto oggetto della notizia quando la notizia di un fatto presenti notevole interesse per la vita pubblica il giornalista è tenuto a darla per non venire meno al suo dovere di informazione anche se non sia vera, ma in questo caso deve mettere in evidenza che la verità si limita alla notizia come fatto storico e non si estende all'oggetto di essa, indicando, ove possibile, le fonti di propagazione della notizia Cass. Sentenza numero 2751 del 08/02/2007 Cass. 26.7.2002, numero 11060 Cass. 2.10.2001, numero 12196 Cass. 12.12.1988, numero 6737 . 10. La verità può anche essere solo putativa, purché risulti da un serio e diligente lavoro di ricerca Cass. 13.2.2002, numero 2066, in motivazione pertanto, l'esimente del diritto di cronaca opera, se il giornalista in buona fede ritenga vera una notizia che si riveli falsa in un secondo momento, sempre che l'abbia accuratamente verificata. 11. La decisione della Corte di appello è rispettosa delle norme e della costante giurisprudenza di legittimità in tema di diffamazione a mezzo stampa. I giudici di appello hanno individuato il nucleo diffamatorio della notizia nell'accusa ad un ex magistrato di avere interferito sull'attività di una sezione del Consiglio di Stato di cui non faceva parte, manipolando cosi le decisioni di altri magistrati,ritenuti influenzati se non collusi , condotta che è effettivamente una delle più infamanti per un giudice, anche se in pensione, vale a dire l'interferenza illecita con le decisioni di una intera sezione del Consiglio di Stato. 12. La Corte di merito ha ritenuto che la notizia contenuta nell'articolo non fosse provata da circostanze e riscontri effettivamente convergenti verso la asserita attività di interferenza attribuita al P. presso ex colleghi per ottenere decisioni favorevoli ai propri interessi. 13. La valutazione dei giudici di merito sul requisito della verità della notizia costituisce un accertamento di fatto logico e non contraddittorio e quindi non più rivalutabile in questa sede di legittimità. Infatti dalla lettura dell'articolo, nella parte riportata in sentenza ed in ricorso, risulta che la giornalista lega la verità della notizia ai seguenti elementi le voci maligne , la circostanza che il P. era stato Presidente di una Sezione del Consiglio di Stato, il contenuto dell'ordinanza emessa dal Consiglio di Stato nel 2001, quando il P. non era più in servizio, favorevole ad una tassazione ridotta delle dimore storiche. 14. L'argomentazione utilizzata dalla giornalista, che pone come premessa l'esistenza di voci maligne e la circostanza che il P. aveva svolto le funzioni di Presidente di sezione del Consiglio di Stato prima della pronunzia dell'ordinanza, e come conclusione l'affermazione che il P. aveva manipolato con le sue interferenze la decisione del Consiglio di Stato, giustamente non è stata condivisa dalla Corte di merito. 15. Infatti dalla natura generica delle circostanze riportate come fonti della notizia non può logicamente discendere la conseguenza che sia vera la notizia dell'attività di interferenza nella decisione attribuita al P. . 16. L'attività diffamatoria non può essere giustificata neanche dall'invocato esercizio del diritto di critica in quanto la compressione del diritto all'onore non è giustificata nella specie dalla verità della notizia,neanche putativa, non risultando non solo provato,ma neanche allegato un serio e diligente lavoro di ricerca e di verifica della notizia da parte del giornalista. 17. La denunzia di omesso esame di circostanze vere e di documenti prodotti è inammissibile. Si ricorda che il vizio di motivazione di omesso esame di fatti e documenti può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l'omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, quando la prova non esaminata sia in concreto idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Sentenza numero 3075 del 13/02/2006 Cass. 7086/2005. 18. Si osserva che le circostanze di fatto di cui i ricorrenti lamentano l'omesso esame sono riportate anche nella sentenza impugnata che, come risulta dalla motivazione adottata, le ha ritenute non rilevanti e decisive. 19. Anche i documenti di cui i ricorrenti lamentano l'omesso esame non hanno il carattere della decisività, in quanto riguardano lettere inviate dal P. al Direttore generale del Dipartimento Entrate presso il Ministero delle Finanze con cui egli trasmette sentenze della cassazione favorevoli alla tesi della tassazione ridotta degli immobili storici, e quindi documenti non conferenti e decisivi in relazione prova dell'attività di interferenza del P. presso i giudici del Consiglio di stato. 20. Con il terzo motivo si denunzia vizio di motivazione circa un fatto decisivo individuato nell'intero contenuto dell'articolo a firma della Dott.ssa G. . Sostengono i ricorrenti che nella restante parte dell'articolo era stata pubblicata una intervista di smentita di un altro componente dell'Adsi, che nell'articolo era stato dedicato uno spazio marginale alla posizione del P. , che i toni dubitativi utilizzati dalla giornalista nel complesso dell'articolo convergevano verso la scarsa attendibilità dell'opinione critica riportata. 21. Il motivo è inammissibile. Questa corte ha affermato che in relazione ad una causa risarcitoria avente ad oggetto dichiarazioni asseritamente diffamatorie compiute a mezzo stampa, la parte che muova critiche alla valutazione compiuta dal giudice di appello, sia in fatto che in diritto, circa la natura diffamatoria dello scritto in questione e la sussistenza del relativo reato, è tenuta, in ossequio al c.d. principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ad individuare - se del caso riproducendolo direttamente, ove necessario in relazione all'oggetto della critica di cui al motivo, ed eventualmente indirettamente, ove l'apprezzamento della critica lo consenta - il contenuto dell'articolo nella parte cui la critica si riferisce, specificando anche dove la Corte possa esaminarlo per verificarne la conformità del contenuto riprodotto rispetto a quello effettivo Cass. Sentenza numero 3338 del 11/02/2009. 22. Il motivo di ricorso attiene a valutazioni che necessariamente investono la struttura dell'intero articolo e denunzia il rilievo marginale dato alla notizia che riguarda il prof. P. rispetto alla restante parte dello scritto che conterrebbe anche una intervista di smentita. 23. In ricorso non è riportato l'intero articolo,come era onere dei ricorrenti che attribuiscono rilievo decisivo alla struttura dello stesso, ai fini di consentire a questa Corte di valutare la fondatezza delle censure, rilevando inoltre che tali questioni sono anche nuove, perché non risultano trattate in sentenza, con un ulteriore motivo di inammissibilità. Le spese del giudizio seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro accessori come per legge.