Documenti falsi per ottenere un’erogazione pubblica: il falso ideologico non concorre con l’indebita percezione

Il reato di falso di cui all’art. 483 c.p. resta assorbito in quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato in tutti i casi in cui l’uso o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscano elementi essenziali di quest’ultimo, pur quando la somma indebitamente percepita o non pagata dal privato, non superando la soglia minima di erogazione, dia luogo a una mera violazione amministrativa.

La fattispecie di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato o di altri enti pubblici, infatti, si configura come fattispecie complessa, ex art. 84 c.p., che contiene tutti gli elementi del reato di falso ideologico. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 1700 del 16 gennaio 2014. Il caso. La Corte d’Appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto, in riforma della decisione del Tribunale di Taranto – sezione distaccata di Martina Franca, riteneva il promotore di alcune iniziative culturali colpevole del reato di cui all’art. 483 c.p., assolvendolo, perché il fatto non sussiste, rispetto all’ulteriore reato contestato in continuazione con il precedente di cui agli artt. 110, 640 bis c.p., avendo prima riqualificato la condotta sussunta sotto quest’ultima norma come indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316 ter c.p In particolare, l’imputato veniva condannato per il fatto di aver presentato una serie di documenti falsi alla Pubblica Amministrazione competente al fine di ottenere, da questa, un rimborso spese per alcune manifestazioni culturali dallo stesso organizzate, non avendo percepito, tuttavia, alcuna indebita erogazione in ragione dell’effettiva sopportazione delle spese in questione. Rispetto alla sentenza di primo grado, la Corte territoriale, inoltre, escludeva la sussistenza dell’aggravante teleologica di cui all’art. 61, n. 2 c.p., in imputazione riferita al delitto ex art. 483 c.p Avverso la sentenza di secondo grado l’imputato proponeva ricorso in Cassazione basato su due distinti motivi. Con il primo venivano dedotte violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’art. 483 c.p. in relazione all’art. 316 ter c.p Secondo la difesa la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto sussistente il reato di falso ideologico di cui al primo dei due articoli su menzionati, pur a seguito della declaratoria di innocenza rispetto al delitto di indebita percezione di erogazioni pubbliche art. 316 ter . Infatti, il reato di falso avrebbe dovuto considerarsi assorbito in quello di indebita percezione, di cui le false attestazioni dovevano ritenersi elementi costitutivi, non potendo la fattispecie ex art. 483 c.p. concorrere con il delitto di cui al titolo II della parte speciale del codice penale. Il secondo motivo si incentrava sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 483 c.p. in relazione agli artt. 46 e 47 d.p.r. n. 445/2000, in considerazione del fatto che la documentazione non veritiera non aveva comunque concorso alla formazione della volontà dell’ente erogatore, dovendosi, pertanto, ritenere le falsità de quibus contenute in un atto meramente privato, non rilevante ai fini del delitto contestato all’imputato. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e annullato senza rinvio la sentenza impugnata. L’indebita percezione assorbe il falso. Il Supremo Collegio ritiene fondato il primo motivo di ricorso. La V sezione penale ritiene che la condotta prevista e punita dall’art. 316 ter c.p. debba essere considerata assorbente di quella ex art. 483 c.p Il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, infatti, è un reato complesso art. 84 c.p. , di cui le condotte di falsa attestazione costituiscono un elemento costitutivo. Pertanto la Corte di legittimità esclude che le due fattispecie possano concorrere tra loro con la conseguenza che la rilevata insussistenza dell’una esaurisce in sé la rilevanza penale del fatto contestato. La Corte d’Appello, quindi, ha correttamente considerato la condotta contestata all’imputato sussumibile in quella descritta dall’art. 316 ter c.p., errando, tuttavia, nel ritenere comunque sussistente la diversa fattispecie di cui all’art. 483 c.p A nulla rileva, secondo la Suprema Corte, la diversità di beni giuridici tutelati dalle due norme, essendo i reati complessi, per definizione, preposti alla protezione di una pluralità di beni giuridici. Ne deriva che, una volta fatta corretta applicazione del principio di specialità di cui all’art. 15 c.p. e qualificata la condotta incriminata come indebita percezione di erogazioni pubbliche, la pronuncia di assoluzione per quest’ultimo reato non comporta la persistenza della condanna per quello di falso ideologico di un privato in atto pubblico. Conseguenza naturale del percorso motivazionale della Corte di legittimità è l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 25 settembre 2013 - 16 gennaio 2014, n. 1700 Presidente Palla – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con sentenza pronunciata il 18.10.2012 la corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Taranto in composizione monocratica, sezione distaccata di Martina Franca, aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia R.A. , imputato dei reati di cui agli artt. 110, 81, cpv., 640 bis, c.p. capo A , 483, 61, n. 2, c.p. capo B e 483, c.p. capo C , assolveva il suddetto R. dal reato di cui al capo A , perché il fatto non sussiste ed escludeva, quanto al capo B , la ritenuta circostanza aggravante teleologica, con conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio in senso favorevole al reo, confermando nel resto la decisione di primo grado. 2. Avverso tale sentenza, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per Cassazione il R. a mezzo dei suoi difensori di fiducia, Donato Antonio Muschio - Schiavone ed avv. Domenico Di Terlizzi, che hanno presentato distinti atti di impugnazione, corredati di autonomi motivi. 3. L'avv. Muschio-Schiavone lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento all'art. 483, c.p., in relazione all'art. 316 ter, c.p., in quanto il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche assorbe in sé quello di falso ideologico, per cui, avendo la corte territoriale affermato l'insussistenza del delitto ex art. 316 ter, c.p., non poteva essere mantenuta la condanna per il delitto di cui all'art. 483, c.p 4. L'avv. Di Terlizzi, invece, lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 483, c.p., 47 e 76, d.p.r. n. 445 del 2000, in quanto le dichiarazioni pacificamente false presentate dal R. per ottenere dagli enti pubblici indicati nel capo A dell'imputazione i finanziamenti erogati in suo favore a titolo di rimborso delle spese sostenute per l'allestimento della manifestazione Portici d'Estate e del Concorso nazionale giovani stilisti - città di Martina Franca , destinato a svolgersi nell'ambito della suddetta manifestazione, non hanno concorso a formare in alcun modo la volontà dell'ente pubblico erogatore, dovendosi ritenere delle mere attestazioni false fornite dal privato in un atto che resta inequivocabilmente privato, con conseguente impossibilità di ricondurre tale condotta al paradigma normativo dell'art. 483, c.p 5. Il ricorso va accolto. 6. Fondato, in particolare, è il motivo prospettato dall'avv. Muschio-Schiavone. Ed invero la corte territoriale, nel qualificare correttamente la condotta contestata al R. nel capo A dell'imputazione in termini di indebita percezione di erogazioni a danno di enti pubblici, giusta la previsione dell'art. 316 ter, c.p., escludendone, tuttavia, la sussistenza in concreto alla luce del dato fattuale che i costi effettivi e reali della manifestazione organizzata dall'imputato sono stati di gran lunga superiori alla misura del contributo erogato, per cui ciascuna erogazione risulta sufficientemente coperta da idonei titoli giustificativi cfr. p. 14 della sentenza impugnata , ha, tuttavia, errato, nel ritenere i reati di falso ideologico in atto pubblico commesso dal privato, contestati nei capi B e C non assorbiti nel reato di cui all'art. 316 ter, c.p., senza, peraltro, nemmeno indicare le ragioni della sua decisione al riguardo. Come affermato, infatti, dalla giurisprudenza di legittimità nella sua espressione più autorevole, il reato di falso di cui all'art. 483, c.p., resta assorbito in quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato in tutti i casi in cui, come nella fattispecie in esame, l'uso o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscano elementi essenziali di quest'ultimo, pur quando la somma indebitamente percepita o non pagata dal privato, non superando la soglia minima di erogazione - Euro 3.999,96 -, dia luogo a una mera violazione amministrativa. La fattispecie di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato o di altri enti pubblici, infatti, si configura come fattispecie complessa, ex art. 84 c.p., che contiene tutti gli elementi costitutivi del reato di falso ideologico. Né può attribuirsi rilevo alla diversità del bene giuridico tutelato dalle due norme, considerato che in ogni reato complesso si ha, per definizione, pluralità di beni giuridici protetti, a prescindere dalla collocazione sistematica della fattispecie incriminatrice cfr. Cass., sez. u., 16.12.2010, n. 7537, P., rv. 249105 Cass., sez. II, 24.1.2013, n. 173300, C, rv. 255195, nonché, nello stesso senso Cass., sez. u., 19.4.2007, n. 16568, C . Ne consegue che una volta risolto, sul piano della norma astrattamente applicabile, il conflitto tra disposizioni penali concorrenti, in favore della fattispecie di cui all'art. 316 ter, c.p., in applicazione del principio di specialità di cui all'art. 15, c.p., alla pronuncia di assoluzione per insussistenza del fatto-reato così qualificato dalla corte territoriale non può sopravvivere il diverso delitto di cui all'art. 483, c.p., la cui autonoma esistenza giuridica deve ritenersi esclusa dall'assorbimento nella diversa fattispecie di cui all'art. 316 ter, c.p. 7. Sulla base delle svolte considerazioni, che rendono irrilevanti ogni ulteriore doglianza difensiva, la sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio, per insussistenza del fatto di cui all'art. 483, c.p., contestato nei capi B e C dell'imputazione. P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.