Tra sentenze, patteggiamento e decreti penali di condanna, a volte, non è facile destreggiarsi

Ma per fortuna il Giudice amministrativo salva la situazione. Com'è stato nel caso in esame laddove la Sezione annulla l'esclusione dal concorso dell'aspirante militare che aveva presentato appello avverso un decreto penale di condanna.

La prescrizione del bando. Il bando di concorso al quale l'interessato aveva partecipato, prevedeva la dichiarazione del candidato di non aver riportato condanne per delitti non colposi, anche ai sensi degli articolo 444 e 445 del codice di procedura penale”. Nel caso di specie nei confronti dell’interessato era stato bensì emanato il decreto penale di condanna a quanto si sostiene nel ricorso in primo grado a pena pecuniaria e tuttavia avverso il medesimo l'interessato aveva proposto tempestiva opposizione, secondo quanto peraltro dichiarato nella domanda di partecipazione al concorso, ai sensi dell’articolo 461 c.p.p. Il procedimento. Con l’opposizione al decreto penale di condanna l’interessato può richiedere il giudizio immediato, il giudizio abbreviato o l’applicazione della pena c.d. patteggiamento e soltanto se l’opposizione è dichiarata inammissibile ovvero se non è proposta il decreto diventa esecutivo e irrevocabile. E’ quindi del tutto evidente, ha osservato il Collegio, che il provvedimento di esclusione dal concorso per mancato possesso dei requisiti morali prescritti, travisando la realtà fattuale, per aver obliterato l’intervenuta opposizione al decreto penale di condanna, ha considerato come integrata una causa di esclusione l’esistenza di una condanna penale irrevocabile del tutto insussistente. Inconferente è stato, dunque, secondo la Sezione, il rilievo del giudice amministrativo di primo grado capitolino secondo il quale «Il decreto penale di condanna va equiparato alla sentenza di condanna ai fini dell’esistenza del fatto da valutare come significativo dell’esclusione. Anche se non produce gli stessi effetti della sentenza passata in giudicato, il decreto penale di condanna ha pur sempre valore decisorio dell’esistenza del fatto penalmente contestato». Ciò in quanto tale equiparazione è predicabile soltanto in relazione a decreto penale di condanna dichiarato esecutivo, in quanto irrevocabile per la mancata proposizione dell’opposizione o per la sua accertata inammissibilità. Una interpretazione insostenibile. L’inconsapevolezza di tale basilare ed essenziale distinzione ha condotto il primo giudice, afferma la sentenza, ad un assunto giuridico affatto insostenibile, secondo il quale la circostanza che l’interessato avesse presentato opposizione «non rimuove l’ostacolo alla partecipazione concorsuale ostandovi, in tal caso, sempre e comunque, l’esistenza storica e giuridica del decreto penale di condanna assimilato alla sentenza , ancorché quest’ultimo meramente inefficace a seguito dell’opposizione e fino alla sua decisione». Il Collegio non è riuscito a scorgere, precisa ancora la sentenza, come possa sostenersi che un decreto penale sia pure “meramente inefficace” - a seguire il ragionamento del TAR - possa considerarsi “efficace” ai fini dell’effetto preclusivo della partecipazione al concorso, laddove non può immaginarsi, né è giuridicamente sostenibile, che a seguito di opposizione, e pendendo quindi il giudizio secondo uno dei riti alternativi innanzi richiamati, il decreto sia efficace per taluni aspetti e inefficace per altri. D’altro canto, poiché la causa di esclusione è integrata dall’esistenza di un provvedimento giurisdizionale con efficacia di giudicato o comunque irrevocabile, nessuna congruenza logica ha il richiamo al “fatto storico” della sua semplice emanazione. E’ altresì erronea la conclusione, cui pure è pervenuto il primo giudice, sottolinea il Collegio, secondo cui la circostanza della successiva assoluzione, in esito al giudizio immediato instaurato a seguito dell’opposizione al decreto penale di condanna, «è del tutto irrilevante e non modifica le rassegnate conclusioni dovendosi fare applicazione, alla fattispecie, dei noti principi regolatori dell’azione amministrativa tempus regit actum e par condicio competitorum». In disparte il rilievo che il principio di par condicio tra i concorrenti è richiamato fuor di luogo, perché in relazione all’esclusione dalla partecipazione ad un concorso non vi sono controinteressati, è evidente che la pronuncia di sentenza di assoluzione con formula piena rimuove ab origine ogni effetto connesso all’emanazione del decreto penale di condanna, perché l’accertamento giudiziario, svoltosi nel contraddittorio delle parti e in sede dibattimentale, sostituisce la pregressa valutazione iniziale del giudice per le indagini preliminari formulata sulla semplice richiesta di emanazione del decreto come formulata dal pubblico ministero.

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 30 ottobre 2012 20 dicembre 2013, numero 6176 Presidente Leoni – Estensore Spagnoletti Fatto e diritto 1. -OMISSIS-, volontario in ferma breve triennale e in successiva rafferma biennale, con il grado di caporal maggiore, ha presentato domanda di partecipazione al concorso per titoli per l’immissione di numero 3392 unità nel ruolo dei volontari di truppa in servizio permanente nell’Esercito, indetto con bando di cui alla determinazione del Direttore generale per il personale militare del Ministero della Difesa, pubblicato sulla G.U.R.I., 4^ serie speciale, numero 69 dell’8 settembre 2009, con scadenza all’8 ottobre 2009. Nella domanda l’interessato ha testualmente dichiarato “che ho in corso un decreto penale di condanna dinanzi al giudice unico di 1° grado del Tribunale di Napoli numero RGPM 36061/08. Tale decreto è stato da me opposto e sono in attesa della definizione dello stesso”. Con provvedimento della Direzione generale per il personale militare del Ministero della Difesa numero M-D/GMIL/3/4/0388028 di prot. del 21 luglio 2010, notificato il 2 agosto 2010, è stata disposta l’esclusione dal concorso con la seguente testuale motivazione “A seguito degli accertamenti sui requisiti previsti per essere arruolati è emerso che, a carico della S.V., risulta un decreto penale di condanna, emesso il 18 settembre 2008 dal Tribunale di Napoli, per delitto non colposo di cui all’articolo 496 del codice penale. Pertanto la S.V. è esclusa dalla procedura di reclutamento ai sensi dell’articolo 2, comma 1 lettera d e comma 2 del bando di arruolamento in oggetto”. Con ricorso in primo grado numero r. 8413/2010, il Baglietto ha impugnato il provvedimento di esclusione, chiedendone l’annullamento, in base al seguente unico motivo complesso Violazione dell’articolo 2 comma 1 lettera d del bando di arruolamento, nonché violazione e contrasto tra l’articolo 2 comma 1 lettera d del bando e l’articolo 27 Cost. Eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti giuridici, illogicità e ingiustizia manifesta, contraddittorietà, perché il decreto di condanna opposto non può equipararsi a una condanna penale, quando anche esecutivo non avrebbe efficacia di giudicato nei giudizi civili e amministrativi, qualora fosse equiparato a condanna penale l’articolo 2 comma 1 lettera d del bando contrasterebbe col principio di non colpevolezza sino a sentenza definitiva come consacrato dall’articolo 27 Cost. Con sentenza in forma semplificata numero 566 del 20 gennaio 2011, emanata in esito alla camera di consiglio del 20 ottobre 2010, fissata per l’esame dell’istanza cautelare incidentale, il T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I bis, ha rigettato il ricorso. Con appello notificato il 3 marzo 2011 e depositato il 22 marzo 2011, -OMISSIS ha impugnato la sentenza, deducendo con unico articolato motivo, le censure di seguito sintetizzate Carenza assoluta, o perlomeno insufficienza, perplessità, apoditticità della motivazione, in quanto basata su travisamento di fatti e norme di diritto. Violazione dell’articolo 2 comma 1 lettera d del bando di arruolamento nonché violazione e contrasto tra l’articolo 2 comma 1 lettera d del bando e l’articolo 27 Cost. Eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti giuridici, illogicità e ingiustizia manifesta, contraddittorietà Il giudice di primo grado -premesso che non gli competeva esprimere giudizio di valore sull’episodio oggetto del decreto penale di condanna, che però il ricorrente giammai aveva sollecitato, ed erroneamente inquadrata la domanda come volta all’accertamento del requisito, anziché all’annullamento del provvedimento-, ha erroneamente ritenuto equiparabile un decreto penale di condanna opposto ad una sentenza di condanna, e ha ritenuto che comunque pur in pendenza dell’opposizione sussistesse altra fattispecie di esclusione ex articolo 2 comma 1 lettera e diversa da quella unica indicata nel provvedimento, relativa proprio all’esistenza di una condanna, non già alla semplice pendenza di procedimento penale. Nel giudizio si è costituita l’Autorità statale appellata che, con atto di stile, ha dedotto l’inammissibilità e infondatezza dell’appello. All’udienza pubblica del 30 ottobre 2012 l’appello è stato discusso e riservato per la decisione. 2. L’appello in epigrafe è fondato e deve essere accolto, onde, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso in primo grado con conseguente annullamento del provvedimento di esclusione. Come anticipato nella narrativa in fatto, provvedimento della Direzione generale per il personale militare del Ministero della Difesa numero M-D/GMIL/3/4/0388028 di prot. del 21 luglio 2010 è così testualmente motivato “A seguito degli accertamenti sui requisiti previsti per essere arruolati è emerso che, a carico della S.V., risulta un decreto penale di condanna, emesso il 18 settembre 2008 dal Tribunale di Napoli, per delitto non colposo di cui all’articolo 496 del codice penale. Pertanto la S.V. è esclusa dalla procedura di reclutamento ai sensi dell’articolo 2, comma 1 lettera d e comma 2 del bando di arruolamento in oggetto”. Esso è dunque fondato, in via esclusiva, sulla carenza del requisito soggettivo contemplato nella lettera d del comma 1 dell’articolo 2 del bando, ossia “non aver riportato condanne per delitti non colposi, anche ai sensi degli articoli 444 e 445 del codice di procedura penale”. Nel caso di specie nei confronti dell’interessato era stato bensì emanato il decreto penale di condanna a quanto si sostiene nel ricorso in primo grado a pena pecuniaria e tuttavia avverso il medesimo è stata proposta tempestiva opposizione, secondo quanto peraltro dichiarato nella domanda di partecipazione al concorso, ai sensi dell’articolo 461 c.p.p. Con l’opposizione l’interessato può richiedere il giudizio immediato, il giudizio abbreviato o l’applicazione della pena c.d. patteggiamento e soltanto se l’opposizione è dichiarata inammissibile ovvero se non è proposta il decreto diventa esecutivo e irrevocabile. E’ quindi del tutto evidente che il provvedimento, travisando la realtà fattuale, per aver obliterato l’intervenuta opposizione al decreto penale di condanna, ha considerato come integrata una causa di esclusione l’esistenza di una condanna penale irrevocabile del tutto insussistente. Inconferente è dunque il rilievo del giudice amministrativo capitolino secondo il quale “Il decreto penale di condanna va equiparato alla sentenza di condanna ai fini dell’esistenza del fatto da valutare come significativo dell’esclusione. Anche se non produce gli stessi effetti della sentenza passata in giudicato, il decreto penale di condanna ha pur sempre valore decisorio dell’esistenza del fatto penalmente contestato”, poiché tale equiparazione è predicabile soltanto in relazione a decreto penale di condanna dichiarato esecutivo, in quanto irrevocabile per la mancata proposizione dell’opposizione o per la sua accertata inammissibilità. L’inconsapevolezza di tale basilare ed essenziale distinzione ha condotto poi il primo giudice ad un assunto giuridico affatto insostenibile, secondo il quale la circostanza che l’interessato avesse presentato opposizione “non rimuove l’ostacolo alla partecipazione concorsuale ostandovi, in tal caso, sempre e comunque, l’esistenza storica e giuridica del decreto penale di condanna assimilato alla sentenza , ancorché quest’ultimo meramente inefficace a seguito dell’opposizione e fino alla sua decisione”. Il Collegio non riesce a scorgere come possa sostenersi che un decreto penale sia pure “meramente inefficace” -a seguire il ragionamento del T.A.R. possa considerarsi “efficace” ai fini dell’effetto preclusivo della partecipazione al concorso, laddove non può immaginarsi, né è giuridicamente sostenibile, che a seguito di opposizione, e pendendo quindi il giudizio secondo uno dei riti alternativi innanzi richiamati, il decreto sia efficace per taluni aspetti e inefficace per altri. D’altro canto, poiché la causa di esclusione è integrata dall’esistenza di un provvedimento giurisdizionale con efficacia di giudicato o comunque irrevocabile, nessuna congruenza logica ha il richiamo al “fatto storico” della sua semplice emanazione. E’ altresì erronea la conclusione, cui pure perviene il primo giudice, secondo cui la circostanza della successiva assoluzione, in esito al giudizio immediato instaurato a seguito dell’opposizione al decreto penale di condanna, “è del tutto irrilevante e non modifica le rassegnate conclusioni dovendosi fare applicazione, alla fattispecie, dei noti principi regolatori dell’azione amministrativa tempus regit actum e par condicio competitorum”. In disparte il rilievo che il principio di par condicio tra i concorrenti è richiamato fuor di luogo, perché in relazione all’esclusione dalla partecipazione ad un concorso non vi sono controinteressati, è evidente che la pronuncia di sentenza di assoluzione con formula piena rimuove ab origine ogni effetto connesso all’emanazione del decreto penale di condanna, perché l’accertamento giudiziario, svoltosi nel contraddittorio delle parti e in sede dibattimentale, sostituisce la pregressa valutazione iniziale del giudice per le indagini preliminari formulata sulla semplice richiesta di emanazione del decreto come formulata dal pubblico ministero. Ciò beninteso, in relazione alla causa di esclusione richiamata nel provvedimento impugnato, motivato con specifico riferimento alla sussistenza di quella contemplata nella lettera d del comma 1 dell’articolo 2 del bando, e non anche in relazione alla lettera e , concernente l’assenza di “procedimenti penali in corso per delitti non colposi” che al contrario l’Amministrazione non ha invocato. Né quanto a tale aspetto può seguirsi il giudice di primo grado sul punto in cui afferma che “l’Amministrazione procedente, in quanto priva di alcun margine di apprezzamento discrezionale, ha assunto l’impugnata determinazione di decadenza in vincolata applicazione di norma del bando, laddove è prevista, tra i requisiti per l’arruolamento, l’assenza di sentenze di condanna cui viene equiparato il decreto penale di condanna o di procedimenti penali come potrebbe darsi nel caso di opposizione al decreto per delitti non colposi”, così operando una non consentita eterointegrazione giurisdizionale della motivazione del provvedimento, con il richiamo di altra causa di esclusione che nel provvedimento non è stata affatto considerata, e che non potrebbe trovare ingresso in un giudizio di legittimità imperniato su una domanda di annullamento che non involge il diretto accertamento di requisiti soggettivi. E’ evidente infatti che, in relazione alla indubbia natura provvedimentale dell’atto impugnato, la sua motivazione segna i confini della cognizione affidata al giudice amministrativo, non potendo questi sostituire propri apprezzamenti diretti a quelli sia pur erronei dell’amministrazione. Né il riferimento operato dal primo giudice potrebbe trovare ingresso attraverso la riconduzione del suo assunto alla sfera applicativa dell’articolo 21 octies comma 2 prima parte della legge 7 agosto 1990, numero 241, sia perché nella specie trattasi di vizio della funzione, e non già di vizio formale, sia perché in sede di riedizione del potere l’Amministrazione non poteva non considerare la intervenuta sentenza di assoluzione con formula piena. Sotto quest’ultimo aspetto, deve rilevarsi anzi che la sentenza numero 11618 del 6 ottobre 2010, esibita al primo giudice con nota depositata il 13 ottobre 2010, rispetto all’imputazione di cui all’articolo 496 c.p. false dichiarazioni sulla identità, rese a militari dell’Arma dei Carabinieri di Napoli in relazione all’elevazione di verbale di contravvenzione a disposizioni del codice della strada , ha rilevato che “il comportamento dell’imputato, sia nell’immediatezza dei fatti che successivamenteè tale da far escludere la sussistenza che lo stesso abbia voluto affermare il falso sulle sue generalità avendone coscienza e volontà. Appare determinante a tal riguardo la circostanza di non poco rilievo che l’imputato sottoscriva tutti i verbali di contestazione e fermo del motoveicolo numero d.e. con il proprio nome e cognome e che si porti, una volta accortosi dell’errore nella stesura dei verbali, presso la caserma dei CC onde far rilevare di persona le discordanzeDa rilevare infine che l’imputato fornisce subito ai militari la documentazione, sia pure in fotocopia, inerente la copertura assicurativa e la proprietà del veicolo dai quali gli operanti avrebbero potuto rilevare la proprietà del motoveicolo mentre annotano sui vari verbali che la proprietà è da accertare”. In altri termini la motivazione della sentenza, ancorché la formula assolutoria sia riferita all’assenza dell’elemento psicologico del delitto il fatto non costituisce reato , inclina piuttosto nel senso dell’esclusione di un’azione cosciente e volontaria in ordine all’indicazione di false generalità -OMISSIS-, proprietario del motoveicolo, in luogo di -OMISSIS-, conducente del veicolo , tale da non poter escludere un errore confusivo dei verbalizzanti. 3. In conclusione, l’appello in epigrafe deve essere accolto onde, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso in primo grado con conseguente annullamento del provvedimento di esclusione. 4. La peculiarità e relativa novità delle questioni esaminate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta così provvede sull’appello in epigrafe numero r. 2151 del 2011 1 accoglie l’appello, e per l’effetto, in riforma della sentenza in forma semplificata del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I bis, numero 566 del 20 gennaio 2011, e in accoglimento del ricorso proposto in primo grado, annulla il provvedimento della Direzione generale per il personale militare del Ministero della Difesa numero M-D/GMIL/3/4/0388028 di prot. del 21 luglio 2010 2 dichiara compensate per intero tra le parti le spese ed onorari del doppio grado di giudizio. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, comma 1, del D.Lgs. 20 giugno 2003 numero 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi di -OMISSIS-, manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione nei termini indicati. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.