Prova per testimoni e presunzioni? Perché no!

L’erede legittimario, ove deduca la simulazione di atti di alienazione dei beni, in quanto terzo portatore di propri interessi in contrasto con quelli delle parti stipulanti, non incontra gli ordinari limiti probatori, ma può provare la natura fittizia di tali atti anche per testimoni o presunzioni.

Il caso. Con la sentenza n. 25431/13, depositata il 12 novembre scorso, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla nullità, per simulazione assoluta, della procura speciale a vendere e degli atti di compravendita. Infatti, dopo che la Corte di appello aveva riformato parzialmente la decisione di primo grado - che aveva dichiarato la simulazione assoluta della procura a vendere e degli atti di compravendita – e aveva deciso per il rigetto della domanda di simulazione, ma solo per quanto riguarda la procura a vendere, è la Cassazione ad esprimersi in materia. Utilizzazione delle mezzi istruttori. Il rigetto del ricorso da parte della S.C. si fonda principalmente sull’ammissione e l’utilizzazione delle prove. In particolare, i ricorrenti, pur consapevoli della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale l’erede legittimario che agisca per la reintegrazione del patrimonio del de cuius ai fini della tutela delle proprie ragioni ereditarie sulla quota a lui riservata dalla legge Cass., nn. 166357/2013, 24134/2009 , ove deduca la simulazione di atti di alienazione dei beni dal suddetto compiuti, in quanto terzo portatore di propri interessi in contrasto con quelli delle parti stipulanti, non incontra gli ordinari limiti probatori valevoli per queste ultime, ma può, ai sensi dell’art. 1417 c.c. prova della simulazione provare la natura fittizia di tali atti anche per testimoni o presunzioni , sostengono - erroneamente secondo gli Ermellini – che ai fini dell’ammissibilità di siffatti mezzi istruttori sarebbe necessaria la prova che gli atti impugnati avessero effettivamente ed in concreto comportato la lesione della quota di riserva dell’erede. Da qui il rigetto del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 ottobre – 12 novembre 2013, n. 25431 Presidente Goldoni – Relatore Piccialli Svolgimento del processo Con atto notificato il 5.4.1988 M D. , seconda moglie e vedova di Fr Ce. , deceduto il ., citò al giudizio del Tribunale di Perugia R C. , prima moglie del predetto e G P. , al fine di sentir dichiarare la nullità, per simulazione assoluta, della procura speciale a quest'ultimo rilasciata in data 4.9.1985 dal suo defunto ex coniuge e dell'atto pubblico del 17.9.85, con il quale, in forza della stessa, figurava alla C. venduta la proprietà di un fabbricato in Città di ., al riguardo deducendo la propria qualità di erede legittimaria, lesa nei relativi diritti dalla finta alienazione, la cui unica finalità sarebbe stata quella di sottrarre il bene alle garanzie dei creditori, segnatamente banche, nei confronti dei quali il Ce. era gravemente esposto. Con atto notificato il 9.7.1988 la Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio s.p.a., quale creditrice del Ce. , citò la suddetta C. , Di Ce. figlia della predetta e del de cuius , A R. , marito della seconda, R C. e D.M. , al fine di sentir inefficaci ex art. 2901 c.c., in quanto lesivi delle proprie ragioni creditizie, o in subordine simulatici suddetto atto di compravendita ed altro analogo redatto dal medesimo notaio la cui data, verosimilmente prossima a quello dell'altro, non risulta precisata in atti , con il quale figurava venduto al R. un immobile sito in Analoghe domande propose, successivamente con atto notificato il 6.8.1990, la Banca Toscana s.p.a. con riferimento alle alienazioni di cui sopra. I giudizi, nei quali il R. e la C. si erano costituiti contestando le domande, vennero riuniti per connessione ed, all'esito dell'istruttoria documentale ed orale, decisi con sentenza pubblicata il 23.1.2003, con la quale l'adito tribunale, in accoglimento delle domande, proposte in via principale dalla D. e subordinata dalle due banche, dichiarò la simulazione assoluta sia della procura a vendere, sia dei due atti di compravendita. All'esito dell'appello, congiuntamente proposto dal R. e dalla C. , cui avevano distintamente resistito la D. e le due banche, nella contumacia degli eredi del P. nelle more deceduto e di Ce.Di. , la Corte di Perugia con sentenza dei 3/5-12/7/2007, in parziale riforma, rigettava la domanda di simulazione relativamente alla sola procura a vendere, confermando nel resto la sentenza impugnata e regolando le spese lasciandone indenni i contumaci secondo soccombenza. La corte umbra, per quanto ancora rileva in questa sede, pur ritenendo che non vi fossero ragioni per ritenere simulata la procura, confermava tali invece i due atti di compravendita, sulla scorta di una serie di elementi, costituiti delle risultanze della prova testimoniale, che riteneva ammissibilmente richiesta dall'attrice a tutela delle proprie ragioni di erede legittimaria e, comunque, da una delle due banche attrici, riferenti degli esternati intenti del Ce. di sottrarre i propri beni alle eventuali azioni delle banche creditrici e di un successivo violento litigio tra il medesimo ed il genero R. , motivato dalle pretese dello stesso sugli immobili apparentemente ceduti a lui ed alla madre, nonché dal contenuto una dichiarazione manoscritta del de cuius di pochi mesi anteriore al decesso confermante la mera apparenza delle alienazioni, dalla comprovata grave esposizione debitoria dello stesso, dagli stretti rapporti familiari tra le parti ed, infine, dall’assenza di alcun riscontro, segnatamente bancario, circa l’effettività dei passaggi di danaro corrispondenti ai pagamenti dei rilevanti dichiarati corrispettivi. Contro tale sentenza il R. e la C. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, corredati da rispettivi quesiti ex art. 366 bis c.p.c Hanno resistito, con rispettivi controricorsi la D. e la Banca Toscana s.p.a Non hanno svolto attività difensive, benché intimati, la Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, gli eredi P. e Ce.Di. . Entrambe le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1417 e 2697 c.c., con connesse omissione e contraddittorietà di motivazione, censurando l'ammissione e l'utilizzazione della prova testimoniale, diretta a provare l'assunta simulazione, benché proposta da erede di una delle parti stipulanti gli atti impugnati, la cui dedotta qualità di legittimaria lesa nei propri diritti ereditarie dunque di terza non soggetta alla preclusione probatoria di cui al primo dei citati articoli, non sarebbe stata corredata dalla prova della subita lesione. Con il secondo motivo si censura, per violazione e falsa applicazione delle norme sopra citate e per connessi vizi motivazionali, l'affermazione della corte territoriale, secondo cui la prova testimoniale, in quanto chiesta anche dall'altra attrice, la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, non soggetta ai limiti probatori in questione, sarebbe stata comunque validamente assunta ed, in quanto entrata nel processo, avrebbe spiegato effetti anche a favore della D. . Si obietta che alle richieste di quest'ultima la banca si sarebbe soltanto associata e che la suddetta aveva impugnato soltanto la vendita alla C. e non anche quella nei confronti del R. , sicché le prove non avrebbero potuto essere utilizzate contro quest'ultimo. Con il terzo motivo si lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su fatti decisivi e controversi, censurandosi la valutazione degli assunti elementi comprovanti la simulazione, con riferimento particolare alle dichiarazioni dei testi, che sarebbero state male interpretate e che, peraltro, erano de relato , alla sussistenza dello stato di disagio economico, in considerazione proprio del quale il Ce. avrebbe conferito mandato al P. di reperire idonei acquirenti dei propri immobili, con procura la cui simulazione la corte ha ammesso non provata, nonché alla valutazione della condotta degli acquirenti di fronte alla negazione del pagamento dei prezzi, pur comprovate dalle quietanze contenute nei rogiti. Con il quarto motivo, infine, con riferimento a tale ultima questione, si censura per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e per omessa e contraddittoria motivazione, l'argomentazione della corte, secondo cui sarebbe mancata la prova dell'effettivo incasso dei prezzi, affermazione che si sarebbe risolta in una illegittima inversione dell'onere probatorio, a seguito di una mera eccezione della controparte, pur a fronte della prova documentale degli avvenuti pagamenti, dei quali avrebbero fatto fede gli atti pubblici. Nessuno dei motivi esposti merita accoglimento. Con il primo i ricorrenti, pur consapevoli della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale l'erede legittimario che agisca per la reintegrazione del patrimonio del de cuius ai fini della tutela delle proprie ragioni ereditarie sulla quota a lui riservata dalla legge ex plurimis, v. Cass. nn. 166357/13, 24134/09, 13706/07, 19468/05, 2215/03 , ove deduca la simulazione di atti di alienazione dei beni dal suddetto compiuti, in quanto terzo portatore di propri interessi in contrasto con quelli delle parti stipulanti, non incontra gli ordinari limiti probatori valevoli per queste ultime, ma può, ai sensi dell'art. 1417 c.c. provare la natura fittizia di tali atti anche per testimoni o presunzioni, sostengono tuttavia che ai fini dell'ammissibilità di siffatti mezzi istruttori sarebbe stata necessaria la prova che gli atti impugnati avessero effettivamente ed in concreto comportato la lesione della quota di riservo dell’erede. Tale tesi non può essere condivisa, considerato che l'accertamento di tale lesione costituisce un posterius logico - giuridico rispetto alla deduzione dell'idoneità degli atti impugnati a menomare il patrimonio del de cuius , attitudine che è in re ipsa negli atti di alienazione, la cui concreta incidenza sulla quota riservata all'erede legittimario va verificata in un momento successivo, ove provata la simulazione, nello stesso giudizio, nel caso in cui sia stata anche proposta la domanda diretta al conseguimento della quota anzidetta, oppure anche in uno successivo, allorquando il legittimario, deducendo la propria qualità, si sia limitato a chiedere l'accertamento della natura simulata degli atti, idonei a ledere le proprie ragioni di erede necessario, e la conseguente reintegrazione del patrimonio del de cuius in funzione di quella della propria quota di riserva. Tale è il caso di specie, in cui la D. , come correttamente ha osservato la corte di merito, sulla scorta del testuale contenuto dell'atto introduttivo del giudizio da lei instaurato, non si limitò a dedurre, quale mera erede legittima del Ce. , la nullità per simulazione della compravendita dell'atto pubblico del 17.9.1985, ma inequivocamente dedusse che tale azione era diretta al fine di tutelare le proprie ragioni di erede legittimaria. Essendo, dunque, la domanda di accertamento proposta finalizzata alla reintegrazione del patrimonio del de cuius in funzione della tutela delle ragioni di erede necessaria dell'agente in tal senso, v. la già citata Cass. n. 2215/03 , deve ritenersi sussistente nella specie la terzietà agli effetti dell'art. 1417 c.c. dell’attrice, considerato che l'ammissibilità della prova testimoniale e di quella per presunzioni, stante il collegamento di cui all'art. 2729 co. II c.c. , ai fini in questionerà considerata non in funzione della fondatezza o meno della domanda di reintegrazione della quota di riserva spiegata dall'erede ma della particolare legittimazione e del connesso interesse dal medesimo dedotti nel proporre l’azione di accertamento della simulazione, anche se quella diretta al concreto conseguimento delle proprie ragioni ereditarie sia riservata ad un successivo momento. Il secondo motivo resta pertanto assorbito dal rigetto del precedente, non venendo più in discussione la possibilità della D. di avvalersi di una prova ammissibilmente richiesta dalla Banca dell'Etruria e del Lazio, che associandosi, in funzione della propria domanda di simulazione nella quale, in quanto terza, pacificamente non incontrava limiti ai sensi dell'art. 1417 cit. ad oggetto anche dell'altra compravendita relativa al cespite in XXXXXXXX , alle richieste istruttorie dell'altra attrice, le aveva fatte proprie. Il terzo motivo va respinto, risolvendosi nella palese proposizione di censure di puro merito, che senza evidenziare alcuna carenza o illogicità argomentativa della motivazione esposta dalla corte territoriale, tendono ad accreditare una diversa valutazione, chiaramente parcellizzante, del ponderoso quadro indiziario esaustivamente e convincentemente esposto dai giudici di appello, la cui conferma della natura assolutamente simulata delle due compravendite risulta solidamente basata su una serie di elementi gravi, precisi e concordanti rapporti di stretta, sia pur pregressa, familiarità tra le parti, dissesto economico del Ce. , convergenti dichiarazioni testimoniali sui palesati intenti del medesimo, successivi contrasti con il genero generati dalle pretese del medesimo, mancanza di tracce bancarie dei passaggi di danaro dei dichiarati prezzi , di cui si è già riferito in narrativa, sui quali non è il caso di ritornare in questa sede, in cui non è dato, come vorrebbero i ricorrenti, procedere al riesame delle risultanze istruttorie, essendo soltanto consentito vagliare la tenuta logica dell'apparato argomentativo della decisione. Non miglior sorte merita il quarto motivo, con il quale anche si tenta di svalutare la valenza di uno dei vari indizi, peraltro non decisivo, evidenziante la simulazione, impropriamente invocando una fede privilegiata degli atti pubblici di compravendita che, ai sensi dell'art. 2700 c.c., va limitata alle dichiarazioni rese delle parti al notaio rogante e non certo all'intrinseca veridicità delle stesse, che il pubblico ufficiale, non avendo assistito ai pagamenti, non avrebbe potuto attestare. L'evidenziata natura indiziaria dell'elemento in questione comporta, altresì, l'inconferenza del richiamo ai principi di riparto probatorio di cui all’art. 2697 c.c., non avendo i giudici di merito onerato le parti convenute della prova di aver concretamente ricevuto quei pagamenti meramente dichiarati nell'atto, bensì svalutato di credibilità le relative affermazioni, la cui attendibilità ben avrebbero potuto confutare la legittimaria e la banca attrici, in quanto terze agenti in simulazione, come tali non incontranti alcuna preclusione di natura confessoria nella parte in cui erano state rese dal Ce. . E tale inattendibilità è stata adeguatamente motivata dalle ragionevoli considerazioni che i cospicui asseriti pagamenti ben difficilmente avrebbero potuto essere eseguiti in contanti e che, se pur lo fossero stati, avrebbero comunque dovuto lasciare qualche traccia bancaria dei relativi prelievi, o comunque richiedere lo smobilizzo di cespiti diversi. Quanto, in particolare, agli assunti pregressi crediti della C. , è sufficiente il rilievo della corte di merito che tale tesi, priva di alcun riscontro probatorio, non sia stata più coltivata nell'atto di appello. Il ricorso va, conclusivamente, respinto. Le spese, infine, seguono la soccombenza nei confronti di ciascuna delle controricorrenti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in favore di ciascuna controricorrente, in complessivi Euro 5.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.