Moglie e madre inadeguata, ma ciò non può mai legittimare la ‘correzione’ violenta del marito

Assolutamente inaccettabile l’ottica proposta dall’uomo, che richiama a proprio favore anche la decisione di un Tribunale civile, che, a seguito di consulenza sulla donna, ha assegnato a lui i figli. Ma anche eventuali lacune, da parte della donna, nello svolgere il proprio ruolo genitoriale non possono mai giustificare il ricorso dell’uomo alla violenza nel contesto domestico.

Pessima moglie e pessima madre, almeno secondo il marito, che richiama, a sostegno di questa visione, anche la decisione del Tribunale civile di assegnare a lui i figli. Ma ciò, ossia la presunta incapacità della donna di provvedere alla gestione del menage familiare, non può mai dare all’uomo il diritto di ricorrere alla violenza come ‘mezzo di correzione’. Di conseguenza, anche in una situazione simile, è assolutamente logico contestare il reato di maltrattamenti. Cassazione, sent. numero 45585/2013, Sezione Sesta Penale, depositata oggi . Folle violenza. Inequivocabili i riferimenti utilizzati dall’uomo – un cittadino albanese – per mettere in discussione la condanna nei suoi confronti per aver maltrattato la moglie – una cittadina italiana – egli parla, difatti, di «incuria» e di «sciatteria» nel modus operandi della donna, sia nella gestione del «menage familiare» che nell’attenzione riservata «alle esigenze primarie dei figli». A corredo, peraltro, l’uomo richiama anche la decisione di un Tribunale civile, che, «a seguito di consulenza tecnica sulla donna», ha «assegnato» a lui «i figli». Questa visione – assai arcaica, quasi medievale – viene però ritenuta inaccettabile dai giudici della Cassazione, i quali, difatti, confermano la condanna nei confronti dell’uomo per la «violenza» perpetrata ai danni della moglie. Chiarissima l’ottica adottata dai giudici, ottica moderna e condivisibile la presunta «inadeguatezza della donna» per il «ruolo genitoriale» non può mai «giustificare il maltrattamento ad opera del marito». Perché a quest’ultimo non può certo spettare il diritto ad «un intervento in funzione di un inammissibile jus corrigendi», né tantomeno ad «azioni e condotte caratterizzate da violenza».

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 24 settembre – 12 novembre 2013, numero 45585 Presidente/Relatore Lanza Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. B.N. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 21 giugno 2012 della Corte di appello di Brescia, la quale, in parziale riforma della sentenza 4 luglio 2011 del Tribunale di Bergamo, lo ha assolto dal reato di danneggiamento riducendo la pena, per le residue accuse, ad anni uno, mesi due, giorni venti di reclusione con conferma nel resto. 2. Con un unico motivo di impugnazione viene dedotto vizio di motivazione sotto il profilo che la decisione di responsabilità si sarebbe fondata esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa, G.A., smentite dalle diverse asserzioni dei testi escussi, tra cui la madre della G. L.L. , le cognate M.S. e A. E. , in particolare, quanto all'episodio del coltello, esso era si impugnato dal ricorrente ma solo perché lui stava preparandosi da mangiare, ed occorre considerare che il Tribunale civile a seguito di consulenza tecnica sulla donna ha assegnato i figli al B. in relazione ad una serie di circostanze che deponevano per l'incuria e la sciatteria con cui la G. gestiva il menage familiare ed accudiva alle esigenze primarie dei figli. 3. l'impugnazione risulta inammissibile. Nella vicenda, ci si trova di fronte a due sentenze, di primo e secondo grado, che concordano nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che si salda perfettamente con quella precedente, sì da costituire un unico complessivo corpo argomentativo, privo di lacune, considerato che la sentenza impugnata, ha dato comunque congrua e ragionevole giustificazione del finale giudizio di colpevolezza. Ne consegue che l'esito del giudizio di responsabilità, così ottenuto ed argomentato, non può essere invalidato dalle prospettazioni alternative del ricorrente le quali si risolvono nel delineare una mirata rilettura” di quegli elementi di fatto che sono stati posti a fondamento della decisione, nonché nella autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchè maggiormente plausibili, oppure perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta si è in concreto esplicata. 4. Inoltre, le critiche sull'attendibilità intrinseca ed estrinseca della G. ignorano e non si confrontano con le ragionevoli e corrette giustificazioni offerte dalla decisione impugnata e si risolvono in una non consentita richiesta di rivalutazione dei dati probatori. Da ultimo va osservato che la prospettata inadeguatezza del ruolo genitoriale della donna mai e in nessun caso avrebbe potuto giustificare il maltrattamento ad opera del marito, cui non può competere alcun intervento in funzione di un inammissibile “jus corrigendi”, il quale, comunque, non dà una legittimità ad azioni e condotto caratterizzate come nella specie, da violenza. Da ciò l'inammissibilità del ricorso. Alla decisa inammissibilità consegue, ex art, 616 C.P.P., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in €. 1000,00 mille . P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.