La piscina gonfiabile non costituisce abuso edilizio

Nell’ambito dei reati edilizi, il mutamento di destinazione dell’area sussiste solo in caso di opere stabili e non può essere ritenuto sussistente in caso di opere amovibili al termine dell’utilizzo.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 39406/18, depositata il 3 settembre. La vicenda. Il Tribunale di Ivrea condannava due imputati per il reato di cui all’articolo 44, lett. a , d.P.R. numero 380/2001 per aver installato sull’area destinata a parcheggio una piscina gonfiabile ed altro materiale di varia natura, con trasformazione di destinazione d’uso dell’area in difformità del permesso di costruire. Gli imputati ricorrono per la cassazione della sentenza. Mutamento di destinazione. Il Collegio accoglie il ricorso sottolineando il travisamento della prova ed un’errata interpretazione delle norme giuridiche. Dagli atti emerge che i ricorrenti avevano posizionato una piscina gonfiabile per bambini di piccole dimensioni priva di ancoraggio al suolo e comunque posizionata sul giardino. Secondo la consolidata giurisprudenza, in tema di reati edilizi, il mutamento di destinazione senza opere è assoggettato a SCIA purché intervenga nella medesima categoria urbanistica. È invece richiesto il permesso di costruire laddove le modifiche di destinazione comportino un passaggio di categoria o se il cambio d’uso è effettato in centri storici. Il mutamento di destinazione che assume rilevanza è dunque quella modifica che si connoti da stabilità nel tempo e non può essere ritenuto sussistente in caso di opere amovibili al termine dell’utilizzo, come nel caso in esame dove la piscina era semplicemente appoggiata al suolo e poteva essere sgonfiata al termine della stagione estiva. Per questi motivi, la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 30 maggio – 3 settembre 2018, numero 39406 Presidente Lapalorcia – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 23 giugno 2016, il Tribunale di Ivrea ha condannato M.S. e M.F. , alla pena sospesa di Euro 4.000 di ammenda ciascuno, per il reato di cui all’articolo 44 lett. a del d.P.R. numero 380 del 2001, per avere, quali proprietari, in difformità del permesso a costruire numero 14/06 nonché della d.i.a. del 18 settembre 2007 ed in contrasto con le NTA del PRG, realizzato opere di trasformazione/cambio di destinazione d’uso dei luoghi, installando sull’area destinata a parcheggio una piscina gonfiabile ed altro materiale di varia natura. Fatto accertato in omissis . 2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorso gli imputati, a mezzo del difensore di fiducia, e ne hanno chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione come disposto dall’articolo 173 disp.att. cod.proc.penumero . - Violazione di legge in relazione all’erronea applicazione dell’articolo 44 lett. a del d.P.R. numero 380 del 2001 e vizio di illogicità della motivazione anche con il travisamento della prova. Il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto sussistente una trasformazione urbanistica con cambio di destinazione d’uso ei luoghi in presenza di un’opera precaria e amovibile in ogni caso non sarebbe violato il disposto dell’articolo 9 delle NTA in relazione alla misura degli spazi da adibire a parcheggio. - Vizio di motivazione in relazione alla configurazione del reato con riferimento all’altro materiale di varia natura che avrebbe inibito l’accesso alla zona. - Violazione di legge e carenza di motivazione in relazione alla configurazione del mutamento di destinazione d’uso ed errata interpretazione dell’articolo 23 ter del d.P.R. numero 380 del 2001 in assenza di mutamento della categoria funzionale. XVizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento della causa d non punibilità cui all’articolo 131 bis cod.penumero esclusa dalla reiterazione dei fatti. 3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 4. I ricorsi sono fondati per le ragioni qui esposte. La sentenza impugnata fonda la responsabilità penale degli imputati su un travisamento della prova e su un’errata interpretazione delle norme giuridiche di cui il giudice deve tenere conto nell’applicazione della legge penale, e segnatamente dell’articolo 23 ter del d.P.R. numero 380 del 2001. Osserva il Collegio, in primo luogo, che la sentenza mostra di cadere in un errore giuridico laddove ritiene sussistente la contravvenzione con riguardo al deposito di materiale edile vario dal momento che la medesima sentenza dà atto che era stato rivenuto sull’area limitrofa all’area destinata a parcheggio che, secondo l’accusa, sarebbe stata oggetto di mutamento di destinazione d’uso, mediante opere, sicché alcun rilievo penale assume il deposito di altro materiale di varia natura non ricadente nell’area dove sarebbe intervenuto il mutamento di destinazione d’uso. Non di meno, la sentenza fonda la responsabilità degli imputati in relazione alle violazioni delle NTA, del permesso a costruire, per la modifica della destinazione d’uso a parcheggio con opere, realizzate, mediante posizionamento di una piscina gonfiabile, sulla scorta di un travisamento della prova. Dagli atti, a cui questa Corte ha accesso essendo denunciato il suddetto vizio, risulta che una piscina gonfiabile di piccole dimensioni del tipo di quelle in commercio per bambini, priva di aggancio al suolo e opere per il suo utilizzo scaletta per accedervi era posizionata sul giardino dalle fotografie si apprezza anche la facile amovibilità, una volta sgonfiata . Costituisce ius receputm di questa Corte il principio secondo cui in tema di reati edilizi, il mutamento di destinazione d’uso ora disciplinato dall’articolo 23-ter del d.P.R. numero 380 del 2001 Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante , senza opere è assoggettato a D.I.A. ora SCIA , purché intervenga nell’ambito della stessa categoria urbanistica, mentre è richiesto il permesso di costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria o, se il cambio d’uso sia eseguito nei centri storici, anche all’interno di una stessa categoria omogenea Sez. 3, numero 26455 del 05/04/2016, P.M. in proc. Stellato, Rv. 267106 Sez. 3, numero 12904 del 03/12/2015, Postiglione, Rv 266483 Sez. 3, numero 39897 del 24/06/2014, Filippi, Rv. 260422 Sez. 3, numero 5712 del 13/12/2013 Tortora, Rv. 258686 . La destinazione d’uso è un elemento che qualifica la connotazione dell’immobile e risponde agli scopi di interesse pubblico perseguiti dalla pianificazione. Essa, infatti, individua il bene sotto l’aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona. In tale ambito solo gli strumenti di pianificazione, generali ed attuativi, possono decidere, fra tutte quelle possibili, la destinazione d’uso dei suoli e degli edifici, poiché alle varie e diverse destinazioni, in tutte le loro possibili relazioni, devono essere assegnate - proprio in sede pianificatoria - determinate qualità e quantità di servizi. Da cui l’ovvia conseguenza che le modifiche non consentite della singola destinazione, incidendo sull’assetto del territorio comunale come pianificato, incidono negativamente sull’organizzazione dei servizi, alterando appunto la possibilità di una gestione ottimale del territorio. In tale contesto, il mutamento di destinazione d’uso con opere deve, pur sempre, avere i connotati modificativi tendenzialmente stabili e non può ritenersi in presenza di opere precarie perché destinate ad un uso temporaneo e facilmente amovibili al termine di utilizzo, situazione riscontrabile, nel caso in esame, in considerazione delle dimensioni della piscina gonfiabile appoggiata sul suolo e destinata per la sua stessa tipologia costruttiva ad essere sgonfiata al termine della stagione estiva e del suo temporaneo utilizzo. La sentenza, in accoglimento dei primi tre motivi di ricorso, va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste, resta assorbito il quarto motivo di ricorso. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.