Un po’ di numeri dal bilancio d’esercizio al 31.12.2016 di Cassa Forense

La popolazione degli iscritti alla Cassa al 31/12/2016 ha quasi raggiunto le 240.000 unità, ma l’incontrollato aumento del numero degli avvocati iscritti agli Albi Forensi è fenomeno che sembra ormai appartenere al passato, come si può evincere anche dal numero delle cancellazioni dalla Cassa a seguito di cancellazione o sospensione volontaria dall’Albo 4.488 nel 2016 .

Cancellazioni. Prosegue anche per questo istituto il notevole incremento delle cancellazioni dovuto all’applicazione del Regolamento ex articolo 21, commi 8 e 9, l. numero 247/2012. Il numero dei professionisti che si sono cancellati dalla Cassa non è solo conseguenza diretta della cancellazione da tutti gli Albi professionali, ma anche della sospensione volontaria prevista dall’articolo 20, comma 2 della medesima legge. Gli scenari demografici e reddituali. Come è noto, a seguito dell’entrata in vigore e della piena applicazione del regolamento di attuazione dell’articolo 21 l. 247/2012, è stato sostanzialmente modificato il regime delle iscrizioni alla Cassa che, a differenza di quanto accadeva in passato, non è più sottoposto all’accertamento di condizioni reddituali o di effettività dell’esercizio della professione. Tale cambiamento normativo ha avuto quale obiettivo primario la copertura previdenziale per tutti gli avvocati, indipendentemente dai redditi prodotti. Pertanto, a seguito dell’iscrizione d’ufficio di tutti quegli avvocati che, esercitando la professione in modo non continuativo non si erano iscritti al loro ente di previdenza oltre 50.000 professionisti , sono cambiati, in modo sostanziale, anche gli scenari demografici e reddituali della categoria. L’analisi dello scenario reddituale degli avvocati è importante non solo dal punto di vista previdenziale, ma è utile per individuare il livello di sviluppo economico della professione e la sua affermazione sul mercato. A tal proposito appare indicativo un commento ai dati della tabella di seguito riportata. Nella tabella si riporta, per ogni anno considerato, il monte reddituale IRPEF complessivamente dichiarato dagli iscritti alla Cassa e dagli iscritti agli Albi assimilabile alla ricchezza prodotta dall’Avvocatura italiana , il rispettivo tasso di variazione annuo, il reddito IRPEF medio con il relativo tasso di variazione annuo e infine, nelle ultime due colonne, l’evoluzione reale del reddito medio ottenuto mediante rivalutazione monetaria degli importi così da riportare tutti i valori nella stessa moneta del 2015. Dall’analisi dei dati risulta che la ricchezza prodotta dall’avvocatura nell’anno 2015 ammonta a 8.425 milioni di euro che tale ricchezza dopo aver avuto, nel passato, una crescita molto sostenuta 13,8% nel 2004, 13,1% nel 2006 e del 9,5% nel 2007 e mostrato, negli ultimi anni un forte rallentamento, ha ripreso a crescere nel 2014 e, in misura maggiore, nel 2015 la ricchezza totalmente prodotta è cresciuta infatti dell’1,1% nell’anno 2014 e di un ulteriore 4,7% nel 2015. Tale lieve ripresa del reddito complessivamente prodotto ha comportato, per la prima volta dopo molti anni, anche un lieve aumento sia in termini nominali che reali, del reddito mediamente prodotto. Difatti, il reddito professionale medio quale rapporto tra ricchezza totale e dichiarazioni pervenute riferibile a ciascun avvocato italiano nell’anno 2015 è stato pari a 38.277 euro, valore superiore al reddito dell’anno precedente del 2,2% e ha posto fine ad un processo di recessione iniziato nel 2008 che, fino al 2014, ha comportato una riduzione del reddito medio prodotto dagli avvocati pari al 9,5%. Questo fenomeno di recessione diventa ancor più evidente se da una analisi dei redditi medi in valore nominale passiamo ad esaminare, nell’ultima colonna della tabella, l’evoluzione del reddito medio in termini reali cioè riportando tutti i redditi al valore monetario del 2015 , dove emerge che il valore del reddito del 2015, nonostante la ripresa dell’ultimo anno, si è ridotto di oltre il 18 – 20% rispetto ai redditi dichiarati nei primi anni 2000. È chiaro che la lieve ripresa riscontrata sui redditi 2015 andrà confermata negli anni successivi per poter parlare di un trend di crescita del dato che sarebbe di grande rilievo per la Cassa e per l’Avvocatura tutta e, per questo, andrà attentamente monitorato. Può essere interessante al momento approfondire come il reddito degli avvocati sia variato non solo nel suo valore medio ma anche in relazione alle caratteristiche demografiche del dichiarante ovvero alla dislocazione territoriale in cui si svolge l’attività professionale. Dall’analisi della distribuzione territoriale del reddito medio dichiarato dagli avvocati iscritti alla Cassa Forense emerge una forte dicotomia tra Nord e Sud le regioni del Nord hanno redditi superiori al valore medio nazionale pari, nel 2015, a euro 38.385, mentre le regioni del centro-sud, fatta eccezione per il Lazio, mostrano valori inferiori a tale valore medio. Il decremento del reddito medio dell’ultimo quinquennio è stato di oltre il 19% in termini nominali e di oltre il 22% in termini reali, con punte superiori al 29% per Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. Tuttavia rispetto allo scorso anno è proprio nelle regioni del centro-sud che si registrano i maggiori incrementi infatti a fronte di un incremento medio nazionale pari al 2,3% la regione Molise ha registrato un incremento del +9,3%, la Sardegna +5,7% e le Marche +5,4%, al contrario in alcune regioni del Nord si rileva nel 2015 una certa stagnazione rispetto all’anno precedente, come per la Liguria dove il reddito professionale del 2015 si è ridotto del 2,8% o il Trentino Alto Adige dove la crescita dello 0,4% ha mantenuto il reddito praticamente invariato. Inoltre il fenomeno della forte femminilizzazione che ha caratterizzato sempre più negli ultimi decenni la professione forense, può costituire un ulteriore elemento di valutazione per gli scenari previdenziali se è vero come è vero che il reddito medio delle donne avvocato è pari a poco più del 43% di quello dei colleghi uomini. Gli avvocati di sesso maschile realizzano guadagni di gran lunga superiori rispetto alle loro colleghe, tuttavia nel 2015 l’aumento del reddito ha riguardato in modo particolare le donne che passano da € 22.070 medi del 2014 a € 22.772 del 2015 +3,2% , mentre i colleghi uomini passano da un reddito di € 51.503 del 2014 a € 52.763 del 2015 +2,4% . Si è rilevato inoltre che gli incrementi di reddito sono stati più significativi nelle età più giovani per le donne e nelle età più mature per gli uomini. Dall’analisi dei dati risulta, pertanto, una situazione in cui il reddito mediamente prodotto ha interrotto, la sua progressione di crescita, fatta eccezione per il dato relativo alle ultime dichiarazioni pervenute che sembra mostrare una certa ripresa. Tuttavia il cambiamento di tendenza riferito ad un solo anno dichiarativo non consente di affermare che la crisi economica che ha colpito la categoria stia volgendo al termine. Il perseverare del fenomeno di un elevato numero di accessi alla professione forense aveva già comportato un rallentamento della crescita del reddito medio ma non è sufficiente a spiegare una tale riduzione anche in valore nominale. Sicuramente la femminilizzazione della professione osservata negli ultimi anni, per quanto rilevato sopra, ha reso ancor più evidente la progressiva riduzione del reddito mediamente prodotto dall’avvocatura come si evince dalla tabella che segue. Indubbiamente la situazione di crisi economica e occupazionale che sta attraversando il paese ha coinvolto il mondo dell’avvocatura e delle professioni in genere. Difatti, si è osservato che la contrazione dei fatturati non riguarda solo gli avvocati ma un po’ tutte le professioni. Ingegneri e architetti, notai ecc. fanno parte di una catena economica in cui lo scarso livello occupazionale o solo il timore di una instabilità economica delle famiglie si traduce in una minore richiesta di assistenza da parte di un professionista si rimanda la ristrutturazione della propria casa, si evita di iniziare una causa civile per rivendicare i propri diritti ecc. Da qui un inevitabile calo dell’attività professionale e dei redditi prodotti. L’insieme di questi dati indurrà gli Amministratori dell’Ente ad un costante monitoraggio tecnicoattuariale sulla sostenibilità del sistema. In particolare, sarà necessario verificare nel tempo gli eventuali scostamenti tra i flussi previsti in entrata e in uscita e quelli effettivamente riscontrati. La spesa complessiva per pensioni si è attestata, nel 2016, a circa 788 milioni di euro, con un incremento, rispetto allo scorso esercizio, di circa il 3%. Il numero di trattamenti previdenziali complessivamente erogati dalla Cassa è passato dai 27.162 al 31/12/2015 ai 27.988 al 31/12/2016, con un incremento di circa il 3%. Appare importante sottolineare come, a fronte dell’intera platea degli iscritti quelli che sono tenuti a pagare per intero i contributi minimi sono circa 125.000. Quasi la metà degli iscritti, infatti, nel 2016, ha fruito delle numerose agevolazioni previste dal regolamento ex articolo 21 e dalla normativa previgente riduzione per i primi anni di iscrizione, esonero ex articolo 10 e per i pensionati di vecchiaia, ecc . In complesso, il totale delle entrate contributive si attesta su valori assoluti leggermente superiori a quelli del 2015 € 1.639.276.522 contro € 1.580.331.790 . Area patrimonio. Il patrimonio di Cassa Forense è suddiviso in 7 macro classi di investimento 1. Monetario 6,6% 2. Obbligazionario 51,0% 3. Azionario 22,3% 4. Rendimento Assoluto 4,9% 5. Private Equity 1,3% 6. Altri Investimenti 2,6% 7. Immobiliare 11,4% La performance da inizio anno è positiva ed è pari a 1,91%, inferiore rispetto al benchmark che ha registrato un rendimento di 4,95%. La differenza è legata sia a momenti di estrema turbolenza dei mercati azionari e obbligazionari ad inizio 2016 sia a scelte tattiche di portafoglio nel momento in cui si sono conosciuti rendimenti negativi anche in fasi positive del mercato giugno e settembre . Immobilizzazioni finanziarie. Sono iscritte al costo di acquisto, eventualmente ridotto da svalutazioni conseguenti a diminuzioni di valore ritenute durevoli tenuto conto della tipologia delle partecipazioni detenute. Per completezza si ricorda il criterio fissato dal Comitato dei Delegati in data 23.07.2004 in merito alla quantificazione della “perdita durevole di valore” dei titoli immobilizzati che prevede che la svalutazione dei titoli intervenga al verificarsi della condizione in funzione della quale le immobilizzazioni registrino una riduzione stabile di valore, decorsi 4 esercizi, in misura eguale o superiore al 40% del prezzo di carico. Cosa si dovrebbe fare secondo gli esperti più illuminati? Le Casse di previdenza redigono bilanci civilistici, che non consentono il calcolo dei rendimenti a valori di mercato, a differenza di quanto avviene nei fondi pensione negoziali. Nei portafogli delle Casse di trovano sia asset liquidi che illiquidi, tra i quali gli immobili. Per questi ultimi, specie se detenuti direttamente, non c'è un vero valore di mercato, ma solo una perizia. Non essendoci una norma specifica come per i fondi immobiliari, che sono tenuti a pubblicare un NAV su base semestrale , nel corso del tempo ogni Cassa ha discrezionalmente deciso se e quando procedere a rivalutazioni o svalutazioni dei beni reali. Per uscire da questa selva bisognerebbe, come suggerito anche da Covip, portare le Casse ad affiancare al bilancio civilistico una valutazione mark-to-market degli attivi al 31/12 di ogni anno, ovviamente adottando regole uniformi dettate dalla stessa Covip, altrimenti sarebbe tutto inutile. Per i titoli quotati è facile, per gli immobili occorrerà ricorrere ad esperti indipendenti certificati, mentre per i titoli non quotati si produrranno valori mark-to-model , utilizzando modelli matematici validati. Di certo le casse non gradirebbero questo improvviso scoppio di trasparenza ma gli iscritti sicuramente sì saprebbero come sono gestiti i propri soldi. Tanto più se questi rendimenti vanno ad aggiungersi ai contributi versati per la pensione, rimpinguandola quando necessario e in questi tempi difficili lo sarebbe . Accertamenti di irregolarità contributive e/o dichiarative – procedure sanzionatorie. Le procedure di verifica sulla regolarità dichiarativa e/o contributiva degli avvocati, si articolano nelle consuete due distinte modalità - verifiche “orizzontali” si tratta di attività avviata su impulso dell’ufficio in modalità “batch” ed è riferita a un adempimento annuale dichiarazione o versamenti in autoliquidazione per l’intera platea degli avvocati si dividono in “dichiarative” regolarità nell’invio dei modelli 5 e contributive regolarità nel pagamento dei contributi dovuti in autoliquidazione - verifiche “verticali” si tratta di attività avviate su impulso dell’interessato domanda di verifica contributiva, domanda di rimborso ecc. ed ha per oggetto la verifica della regolarità dichiarativa e contributiva per tutti gli anni per i quali il professionista risulta tenuto a tali adempimenti. Si ricorda che l’entrata in vigore del Regolamento di attuazione dell’articolo 21 ha comportato, tra l’altro, la sospensione delle sanzioni sulle irregolarità nel pagamento dei contributi minimi dovuti fino all’anno 2015 incluso articolo 11 . Conseguentemente, il Consiglio di Amministrazione, nella seduta del 13/11/2014, ha dato disposizione agli uffici di sospendere ogni procedura sanzionatoria in riferimento ai contributi minimi, indicando il 2016 quale primo anno da riassoggettare alle procedure sanzionatorie previste dal vigente Regolamento per la Disciplina delle Sanzioni. Per completezza, si ricorda che il citato regolamento delle sanzioni ha previsto, in estrema sintesi, istituti di regolarizzazione contributiva/dichiarativa da attivare su iniziativa del singolo avvocato e altri da attivare su iniziativa dell’ufficio a istituti da attivare su iniziativa del singolo avvocato a1 Dichiarazione spontanea già “ravvedimento operoso” - articolo 8, comma 4 disciplina il caso della rettifica in aumento, con un ritardo superiore a 150 giorni dal termine di scadenza, di una comunicazione precedentemente inviata con dati reddituali non conformi al vero l’istituto può essere attivato solo se la “dichiarazione spontanea” è inviata dall’interessato prima della formale contestazione della Cassa sulla difformità reddituale ai sensi dell’articolo 8, 1° comma. La “Dichiarazione spontanea” deve essere accompagnata da idonea documentazione fiscale. a2 Regolarizzazione spontanea – articolo 14 disciplina il caso di irregolarità dichiarative e/o contributive non riconducibili al punto precedente rettifica di dichiarazioni non conformi al vero inviate oltre 150 giorni dal termine l’istituto può essere attivato solo se la relativa domanda è inviata dall’interessato prima della formale contestazione della Cassa ai sensi dell’articolo 12 b istituti da attivare su iniziativa dell’ufficio b1 Accertamenti da Controlli Incrociati – articolo 8, commi 1, 2 e 3 disciplina il caso in cui l’interessato non abbia presentato la “Dichiarazione spontanea” di cui al 4° comma del citato articolo 8 e la Cassa abbia rilevato delle difformità tra i dati comunicati all’Anagrafe Tributaria rispetto a quelli in suo possesso la procedura di accertamento deve essere attivata anche nel caso di dati reddituali comunicati alla Cassa superiori rispetto a quelli dichiarati all’Anagrafe Tributaria b2 Accertamenti irregolarità dichiarative e contributive – articolo 12 e 13 disciplinano il caso di irregolarità dichiarative e/o contributive non riconducibili al caso di cui al punto precedente e per le quali non risulti già richiesto l’istituto della “Regolarizzazione spontanea”. Per quanto riguarda il lavoro svolto nel corso del 2016, si evidenzia che è regolarmente proseguita l’attività di accertamento della regolarità contributiva e dichiarativa che ha riguardato, in particolare, le procedure sanzionatorie relative a ritardati/omessi versamenti dei contributi dovuti in autoliquidazione connessi ai Modd.5/2005 - 5/2012 e l’avvio della procedura sanzionatoria per omesso invio dei Modd.5/2013, 5/2014 e 5.2015. L’ufficio, anche in riferimento agli accertamenti avviati negli anni precedenti il 2016, ha esaminato e riscontrato numero 6.782 lettere di osservazioni relative alle procedure sanzionatorie avviate dalla Cassa, di cui numero 2.762 con riferimento alle procedure connesse agli omessi/ritardati versamenti in autoliquidazione e numero 4.020 riferite a omessi/ritardati invii dei modelli 5. I professionisti che hanno effettuato pagamenti nell’esercizio 2016 per sanare irregolarità contributive sono stati oltre numero 10.000 per oltre € 15.000.000,00 e circa numero 860 per sanzioni connesse agli aspetti dichiarativi per oltre € 320.000,00 . I professionisti che, non avendo aderito al pagamento in oblazione, sono stati iscritti nel ruolo 2016, sono stati oltre numero 10.000 per irregolarità contributive e circa numero 5.500 per irregolarità dichiarative. Nei prospetti che seguono vengono illustrati gli importi iscritti a ruolo Quanti NPL ci sono tra questi crediti? Dall’insieme di questi numeri, che ho rigorosamente tratto dal bilancio d’esercizio al 31.12.2016, pur in difetto dei dati ALM - Asset Liability Management, del Funding Ratio rapporto tra promesse pensionistiche e patrimonio e i dati del Fondo Cicerone, abbiamo una situazione molto preoccupante per Cassa Forense che andrebbe affrontata al più presto con una riforma di sistema. Un confronto con Pensplan della Regione Trentino Alto Adige può essere stimolante. I rendimenti dei fondi pensione. Sul fronte dei rendimenti quasi tutte le linee di investimento sono riuscite nel 2016 a battere il TFR rimasto in azienda, seppur con i mercati finanziari che, sia sul versante obbligazionario che su quello azionario, hanno pagato molto le incertezze derivanti da eventi quali “Brexit” e l’esito del referendum costituzionale. «All’interno di ciascuna delle diverse tipologie di forma pensionistica i risultati più elevati si sono avuti nelle linee a maggior contenuto di azioni, sospinte dall’apprezzamento dei corsi nell’ultimo trimestre dell’anno», ha spiegato la commissione di vigilanza presieduta da Mario Padula, «nel contempo i rendimenti delle linee obbligazionarie e garantite hanno subito l’effetto della riduzione dei corsi dei titoli di debito, pur rimanendo nella media dell’anno in territorio positivo». Nel 2016 il rendimento medio per gli aderenti residenti in Regione e stato pari a 2,9% rispetto all’1,5% della rivalutazione del TFR. La Collega Daniela Nazzaro di Roma ha pubblicato su FB in vari forum tematici questo contributo che ripropongo alla Vostra attenzione perché sarebbe una rivoluzione nel sistema previdenziale forense «Il nostro sistema previdenziale è solidale. Con tale definizione si intende riferirsi alla previsione di un contributo di solidarietà del 3%, imposto ai redditi eccedenti i 96.000 euro annuo e utilizzato per finanziare la pensione dei redditi inferiori al tetto. Il ricavo relativo al suddetto contributo non è stato riportato nel bilancio 2016 , circostanza assai grave che andrebbe approfondita numero b. il contributo di solidarietà di euro 220.881 che appare tra i ricavi è quello trattenuto ai pensionati ancora iscritti alla Cassa - ex articolo 1 comma 486 l. numero 147/2013 . In ogni caso, qualsiasi sia il ricavo relativo al contributo del 3%, esso non riesce comunque a finanziare le pensioni minime, visto che è necessario ricorrere anche al contributo integrativo la contribuzione minima non è assolutamente sufficiente . Questo è il sistema. Allora perché ricorrere alla solidarietà del 3%? Cerchiamo di sviluppare una risposta partendo proprio dal concetto di solidarietà. La solidarietà è certamente un valore umano, è un ideale, è un mezzo per garantire maggiore giustizia sociale, è un'opportunità di miglioramento, è un precetto costituzionale. Ma, ove strumentalizzata e deviata, la solidarietà può tradursi in un alibi per i sistemi inefficienti o corrotti, in un controllo delle menti più critiche e vivaci, in un tentativo di svilimento della dignità reddituale, in un' arma di ricatto morale. La diagnosi differenziale tra la solidarietà come strumento di giustizia sociale e la solidarietà come esercizio del potere è da ricercarsi nella natura eziologica del contributo la volontarietà contraddistingue incontrovertibilmente la prima, là dove la seconda è inesorabilmente imposta. Tornando al nostro sistema ricordiamo che i redditi più alti non versano volontariamente il contributo del 3%, bensì viene loro imposto, da un sistema imposto! Inoltre tale imposizione comporta un ricavo che non è comunque sufficiente allo scopo, dovendosi ricorrere all'ulteriore correttivo del contributo integrativo. Quindi perché lasciare questa forma di 'solidarietà obbligatoria'? Cui prodest scelus, is fecit . Il vero autore e vincitore di questo sistema è solo il Potere. Grazie al contributo di solidarietà Egli ottiene un duplice effetto il suo autoritarismo diventa benevolo e, nello stesso tempo, riesce a dividere le classi di reddito, ponendole in conflitto tra loro, al fine di depotenziarne il dissenso. Infatti, i soggetti portatori di redditi più alti mal sopporteranno il sacrificio in favore dei soggetti portatori di redditi più bassi ed in questi ultimi verrà ingenerata una riverente soggezione, soporifera, indotta dalla riconoscenza! Divide et impera. In questa nuova visione la solidarietà del 3% serve solo al Potere, che la utilizza per tamponare un'emergenza, per eludere una domanda di giustizia, per nascondere un diritto ben preciso quello ad un sistema previdenziale equo, basato sulla equa distribuzione delle ricchezze, in cui le rendite devono essere commisurate agli effettivi versamenti, senza il sacrificio e senza la soggezione di alcuno. Orbene, questo sistema è realizzabile solo esercitando l'opzione al sistema di calcolo contributivo, equo e solidale limitatamente alla solidarietà dei pensionati . Per cui via il tetto, abolizione dei minimi, applicazione dei criteri costituzionali della PROPORZIONALITA' e della PROGRESSIVITA'. Ed esenzione totale per i redditi al di sotto della soglia di povertà.