Contratto di finanziamento agevolato: il rapporto accessorio (con l’agevolazione) “dipende” dal rapporto principale (di finanziamento)

La concessione di un credito agevolato presuppone la nascita di un rapporto principale instaurato tra l’istituto finanziario erogatore e il privato, e di un rapporto secondario, che intercorre tra l’ente pubblico e il detto istituto finanziario.

Il primo rapporto integra gli estremi di un mutuo di scopo, mentre il secondo è rappresentato da una convenzione comunemente detta contratto di ausilio diretta a regolare l’obbligazione nei confronti dell’ente finanziario e con la quale l’ente pubblico si accolla una parte degli interessi. Il collegamento tra i due contratti è di natura “accessoria” nel senso che il rapporto di ausilio secondario può cessare lasciando sopravvivere il solo rapporto principale, mentre non è possibile che, a fronte della risoluzione del contratto di mutuo, possa restare in vita solo il contratto di ausilio. È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 1369/2016, depositata il 26 gennaio. Il caso. Una s.a.s. aveva stipulato un contratto di finanziamento con l’Istituto per lo Sviluppo Economico dell’Italia Meridionale s.p.a L’erogazione del denaro era finalizzata alla realizzazione di una nuova attività industriale e tramite questa operazione, la s.a.s. avrebbe avuto delle agevolazioni sugli interessi da corrispondere. La società tuttavia si rivelava inadempiente e l’Istituto chiedeva e otteneva la risoluzione del contratto con condanna della s.a.s. al risarcimento dei danni. La decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello e la società svolgeva ricorso in Cassazione. Concessione di “credito agevolato”. Il punto centrale della sentenza della Corte è relativo alla disciplina del contratto di finanziamento con concessione di “credito agevolato”. Tale operazione presuppone un rapporto principale tra l’istituto finanziatore e il privato e un rapporto secondario tra l’ente pubblico e l’Istituto finanziatore. Mutuo di scopo. Il primo rapporto è un contratto di mutuo di scopo, tale per cui le somme erogate al privato sono specificamente destinate ad un’attività che il privato si assume l’obbligo di svolgere e che l’operazione nel suo complesso mira ad agevolare. Nel caso di specie la s.a.s. avrebbe dovuto realizzare un impianto industriale destinato alla produzione di prodotti ittici e carni surgelate. Contratto di ausilio. Il secondo rapporto “accessorio” è comunemente denominato “contratto di ausilio” e disciplina l’obbligazione dell’ente pubblico nei confronti dell’Istituto finanziatore. In tale modo l’ente pubblico si accolla una parte degli interessi che devono essere corrisposti dal privato al soggetto mutuante in ciò si esplica quindi l’ “agevolazione” in favore del privato . Come spiegano gli Ermellini tale seconda operazione è strettamente collegata alla prima, ma è “accessoria”, pertanto può anche cessare lasciando sopravvivere il rapporto principale. L’accessorietà implica però che se viene meno il rapporto fondamentale, non può rimanere in vita nemmeno quello secondario. Nella fattispecie in esame la s.a.s. era accusata di non aver pagato gli interessi di preammortamento e di non aver intrapreso l’attività produttiva concordata. La società eccepiva l’articolo 1460 c.c. poiché l’Istituto finanziatore, a sua volta, non avrebbe avviato le pratiche necessarie per la concessione delle agevolazioni sopra accennate. L’articolo infatti stabilisce che nei contratti a prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che i tempi per l’adempimento siano differenti. Nel caso di specie, tuttavia, non era possibile sostenere un simile “parallelismo” di prestazioni. Infatti è emerso che l’inadempimento della società era, per così dire, “a monte” dato che non aveva semplicemente non adempiuto al pagamento degli interessi del finanziamento, ma non aveva pagato addirittura gli interessi di pre-ammortamento, cioè i frutti civili maturati sulle somme corrisposte ancora prima dell’effettiva erogazione a saldo del finanziamento pattuito. Sotto altro profilo la risoluzione del contratto era legata anche al fatto che la società non aveva neppure attuato l’attività produttiva pattuita. La s.a.s. non era pertanto legittimata ad eccepire l’inadempimento della controparte. Correttamente quindi l’Istituto finanziatore aveva risolto di diritto il contratto avvalendosi della clausola risolutiva espressa pattuita nel contratto e il Ministero per le attività produttive aveva conseguentemente negato il connesso contributo in conto interessi secondo lo schema sopra descritto dei rapporti contratto principale / contratto accessorio. Ulteriore punto esaminato dalla Cassazione è relativo alle doglianze della ricorrente sulla mancata ammissione di nuovi mezzi di prova richiesti in appello e negati dalla Corte territoriale. Secondo la società tali mezzi di prova erano stati ritualmente dedotti in primo grado, ma non erano stati ammessi dal Tribunale senza alcun provvedimento motivato. La Cassazione respinge la richiesta della s.a.s. precisando che un’istanza istruttoria come quella riformulata in appello non può essere giudicata “nuova” ai sensi dell’articolo 345 c.p.c., ma è comunque soggetta a una valutazione di “indispensabilità” come previsto dal comma 3 dello stesso articolo nel testo ante riforma applicabile ratione temporis al caso in esame . Tale requisito non consiste nella mera “rilevanza” dei fatti dedotti di per sé tutti i mezzi istruttori se ammessi sono “decisivi” , ma implica la verificata impossibilità di acquisire la conoscenza di quei fatti con altri mezzi di prova che la parte aveva l’onere di fornire o richiedere nei termini processualmente previsti. In ordine a tali aspetti però l’esame è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito e poiché sul punto la motivazione era immune da vizi e addebiti nessuna censura poteva essere mossa dalla Cassazione. I motivi del ricorso vengono quindi respinti e la sentenza di appello confermata.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 novembre 2015 – 26 gennaio 2016, numero 1369 Presidente Di Palma – Relatore Valitutti Ritenuto in fatto 1. Con atto di citazione notificato il 7 dicembre 1999, [Istituto per lo Sviluppo Economico dell'Italia Meridionale ISVEIMER s.p.a. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, la Cevim s.a.s. di C.V. & amp C., nonché C.V. , C.D. e P.R. , chiedendone la condanna in solido al pagamento della somma di L. 1.095.799.772, oltre interessi di mora, a titolo di restituzione del mutuo agevolato erogato in favore di detta società, e garantito con fideiussioni rilasciate dai soci. 1.1. I convenuti si costituivano, opponendosi alla pretesa e spiegando domanda riconvenzionale, diretta ad ottenere la condanna dell’SVEIMER s.p.a. al risarcimento dei danni subiti per la condotta inadempiente agli obblighi contrattuali sul medesimo incombenti e per l'abuso di posizione dominante, a loro dire posti in essere dall'istituto attore. Nel giudizio interveniva volontariamente, ai sensi dell'articolo 111, co. 3, c.p.c., la Società per la Gestione di Attività S.G.A. s.p.a., in qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso, per essere divenuta cessionaria dei crediti vantati dall'ISVEIMER s.p.a. nei confronti dei convenuti. 1.2. Il Tribunale adito, con sentenza numero 1932/2005, depositata il 18 febbraio 2005, accoglieva la domanda, condannando la Cevim s.a.s. di C.V. & amp C., nonché C.V. , C.D. e P.R. , in solido, al pagamento della somma di Euro 695.338,28, oltre agli interessi moratori ed alle spese del giudizio, e rigettava la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti. 2. Avverso tale decisione proponevano appello la Cevim s.a.s. di C.V. & amp C., nonché C.V. , C.D. e P.R. , con atto di citazione notificato il 31 maggio 2005. Il gravame veniva, peraltro, rigettato dalla Corte di Appello di Napoli, con sentenza numero 322/2009, depositata il 30 gennaio 2009, e notificata il 14 aprile 2009. 2.1. Con tale pronuncia il giudice di seconde cure riteneva che la risoluzione del contratto di mutuo agevolato da parte dell’ISVEIMER s.p.a., in forza della clausola risolutiva espressa contenuta nell'articolo 7 del contratto, e la conseguente revoca del contributo in conto interessi da parte del Ministero delle Attività Produttive, fossero da ascrivere, in via esclusiva, alla condotta inadempiente degli appellanti all'obbligo di provvedere al pagamento degli interessi di preammortamento, ovverosia i frutti civili maturati sulle somme corrisposte prima dell'erogazione a saldo del finanziamento pattuito. 2.2. Di più, la decisione di appello accertava che l'attività industriale, in relazione la quale il finanziamento era stato concesso, non era stata attuata dalla società mutuataria. 3. Per la cassazione della sentenza numero 322/2009 hanno proposto, quindi, ricorso la Cevim s.a.s. di C.V. & amp C., nonché C.V. , C.D. e P.R. nei confronti dell'Istituto per lo Sviluppo Economico dell'Italia Meridionale ISVEIMER s.p.a. in liquidazione e della Società per la Gestione di Attività S.G.A. s.p.a., affidato a quattro motivi. 4. Le società resistenti hanno replicato con controricorso e con memoria ex articolo 378 c.p.c Considerato in diritto 1. In via pregiudiziale, va rilevato che l'eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività della notifica, proposta dalla S.G.A. s.p.a. deve reputarsi infondata. 1.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, la prova certa della data di effettuazione della notifica - che, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale nnumero 477/2002 e 28/2004, si perfeziona, nei confronti del notificante, al momento del compimento della formalità a lui direttamente imposta, ossia della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario - ben può essere desunta anche dal timbro apposto sull'atto da notificare, recante il numero del registro cronologico e la data, con la specifica delle spese, ancorché non sottoscritta dall'ufficiale giudiziario. Si deve, invero, presumere che il timbro sia conforme all'annotazione su detto registro, che - in quanto atto pubblico - fa fede fino a querela di falso di quanto in esso riportato cfr., ex plurimis, Cass. 15797/2005 S.U. 14294/2007 7470/2008 22003/2008 13640/2013 3755/2015 . 1.2. Nel caso concreto, la sentenza di appello è stata notificata il 14.4.2009, ed il ricorso per cassazione risulta consegnato all'ufficiale giudiziario in data 12.6.2009, ossia nei sessanta giorni previsti dall'articolo 325, co. 2 c.p.c., con decorrenza dalla notifica della sentenza, ai sensi dell'articolo 326 co. 1, c.p.c Per cui la dedotta tardività della notifica di tale atto non può ritenersi sussistente. 2. Del pari deve essere considerata infondata l'ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso, proposta dalla S.G.A. s.p.a. e dall'ISVEIMER s.p.a., con riferimento ai quesiti di diritto formulati dai ricorrenti a corredo dei motivi di ricorso, atteso che questi -sebbene sintetici - si rivelano, nondimeno, idonei ad evidenziare, oltre alle violazioni di legge denunciate, il fatto decisivo controverso in relazione al quale la motivazione si assume insufficiente. 3. Premesso quanto precede, va rilevato che, con il primo motivo di ricorso, la Cevim s.a.s., di C.V. & amp C., nonché C.V. , C.D. e P.R. denunciano la violazione e falsa applicazione della l. numero 64 del 1986, nonché l'insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'articolo 360, comma 1, nnumero 3 e 5 c.p.c 3.1. Avrebbe errato la Corte di Appello, ad avviso dei ricorrenti, nell'escludere l'inadempimento dell’ISVEIMER s.p.a. con riferimento al contratto di erogazione di un mutuo di scopo, collegato alle agevolazioni in conto interessi, previste dalla legge 1 marzo 1986 numero 64, da parte dell'Agenzia per la promozione dello Sviluppo del Mezzogiorno, laddove dalle risultanze istruttorie sarebbe, invece, emerso che il suddetto istituto non aveva istruito la pratica necessaria per dare l'avvio alla concessione di dette agevolazioni. Tale inadempienza dell'ISVEIMER avrebbe, pertanto, legittimato, ai sensi dell'articolo 1460 c.c., l'inadempimento relativo al mancato pagamento degli interessi di preammortamento, da parte della mutuataria Cevim s.a.s. e dei suoi garanti con la conseguenza che la risoluzione del contratto di finanziamento in questione non potrebbe essere imputabile a questi ultimi. 3.2. La censura è infondata. 3.2.1. Va osservato, in proposito, che la concessione di un c.d. credito agevolato presuppone la nascita di un rapporto principale, instaurato tra l'istituto finanziario erogatore ed il privato, e di un rapporto secondario, che intercorre tra l'ente pubblico ed il detto istituto finanziario. Il primo rapporto integra gli estremi del mutuo di scopo, in cui per legge o per volontà delle parti assume un ruolo primario l'interesse alla realizzazione dello scopo, tanto da tradursi, attraverso una clausola di destinazione, nell'assunzione, da parte del sovvenuto, dell'obbligo di compiere l'attività necessaria al perseguimento della finalità che il finanziamento mira ad agevolare. Il secondo rapporto è, invece, rappresentato da una convenzione comunemente detta contratto di ausilio diretta a regolare l'obbligazione nei confronti dell'istituto finanziario, e con la quale l'ente pubblico si accolla una parte degli interessi che devono essere corrisposti dal privato all'istituto mutuante. Il collegamento tra il rapporto di credito fondamentale originato dal mutuo di scopo ed il rapporto di ausilio raffigurato dal contributo in conto interessi concesso dall'ente pubblico è, peraltro, di natura accessoria, tanto da poter cessare, lasciando sopravvivere il solo rapporto principale, quando l'istituto finanziario lo abbia regolato in modo da poter convertire il contratto di credito agevolato in un contratto di credito ordinario. Per converso, stante il vincolo di accessorietà che lega il contratto di ausilio a quello di mutuo, non è possibile che, a fronte della risoluzione di quest'ultimo, possa restare in vita solo il primo cfr. Cass.S.U. 13046/1997 Cass. 1400/1999 . 3.2.2. Tanto premesso in via di principio, va rilevato che, nel caso concreto, la Corte di Appello ha accertato che, in data, 24.7.1991, la Cevim s.a.s. stipulava con l'ISVEIMER s.p.a. un contratto di finanziamento con contributo in conto interessi , ai fine della realizzazione, in Vibo Valentia, di un impianto per la produzione di prodotti ittici e carni surgelate. A tale contratto era collegato il contributo in conto interessi che l'Agenzia per la promozione dello Sviluppo del Mezzogiorno avrebbe dovuto accordare, provvedendo a pagare una parte degli interessi del mutuo all'istituto finanziatore. Senonchè, essendosi la società mutuataria resa inadempiente all'obbligo di pagare gli interessi di preammortamento, ovverosia i frutti civili maturati sulle somme corrisposte prima dell'erogazione a saldo del finanziamento pattuito, ed essendo stata accertata la mancata attuazione di attività produttiva insediamento di impianto industriale destinato alla produzione di prodotti ittici e carni surgelate p. 4 dell'impugnata sentenza , l’ISVEIMER s.p.a. provvedeva a risolvere il contratto di mutuo, in forza della clausola risolutiva espressa contenuta nell'articolo 7 di detto contratto. Di conseguenza, il Ministero per le attività produttive - preso atto della mancata erogazione del finanziamento - revocava il connesso contributo in conto interessi. 3.2.3. Orbene, da quanto precede deve inferirsi che la risoluzione di entrambi i rapporti è senza dubbio alcuno da ascrivere al comportamento inadempiente della Cevim s.p.a. e dei suoi fideiussori C.V. , P.R. e C.D. . Sicché è del tutto evidente che i medesimi, in quanto del tutto inadempienti alle fondamentali obbligazioni assunte realizzazione dell'impianto industriale e pagamento delle rate di preammortamento , senza che fosse stato, per converso, evidenziato un significativo e determinante inadempimento dell'istituto finanziatore, non potevano in alcun modo avvalersi dell'eccezione dilatoria di cui all'articolo 1460 c.c 3.3. Il motivo in esame va, pertanto, rigettato. 4. Con il secondo motivo di ricorso, la Cevim s.a.s. di C.V. & amp C., nonché C.V. , C.D. e P.R. denunciano la violazione e falsa applicazione degli articolo 183, comma 7 e 356 c.p.c., nonché l'insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'articolo 360, comma 1, nnumero 3 e 5 c.p.c 4.1. I ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte di Appello abbia negato l'ingresso ai mezzi di prova ordine di esibizione ex articolo 210 c.p.c., assunzione di informazioni presso la BEI, prova per testi, nuova c.t.u. , diretti a dimostrare il fondamento della domanda di risarcimento proposta dalla Cevim s.a.s. e dai garanti, sulla base del criterio della decisività , in luogo di quelli dell'ammissibilità e rilevanza, cui farebbero riferimento esclusivo gli articolo 183, comma 7, e 356 c.p.c Tali mezzi di prova - sebbene ritualmente dedotti nel primo grado di giudizio - non erano stati, difatti, ammessi, peraltro senza un motivato provvedimento, dal Tribunale, ad eccezione della c.t.u., le cui risultanze, tuttavia, ritenute carenti ed insufficienti, avrebbero richiesto - a parere dei ricorrenti - una rinnovazione delle indagini. Epperò, l'ammissione dei mezzi suindicati sarebbe stata denegata dal giudice sulla base di un criterio, quello della decisività , che non troverebbe previsione alcuna nelle disposizioni di legge che si assumono violate. 4.2. Il motivo è infondato. 4.2.1. Va osservato, al riguardo, che l'inammissibilità di una prova in grado d'appello, per difetto di novità, ai sensi dell'articolo 345, comma 2, c.p.c., ricorre ove il mezzo istruttorio si identifichi con quello già espletato in prime cure, ovvero sia diretto a contrastarne i risultati, e non anche, pertanto, nel caso in cui la relativa istanza, pur se in precedenza avanzata al primo giudice, non sia stata dal medesimo presa in considerazione, talché alla prova richiesta non si sia dato corso Cass. 1326/1977 1379/1979 3439/1982 . E tuttavia, il mezzo istruttorio in parola - sebbene non possa considerarsi nuovo, ai sensi della disposizione succitata - è pur sempre soggetto, ai fini del suo ingresso nel giudizio di appello, alla valutazione di indispensabilità imposta dal comma 3 dell'articolo 345 c.p.c., nel testo previgente applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis. 4.2.2. Ebbene, in tema di prova nel giudizio di appello, l'indispensabilità richiesta dall'articolo 345, co. 3, c.p.c., non va intesa come mera rilevanza dei fatti dedotti condizione di ammissibilità di ogni mezzo istruttorio , ma postula la verificata impossibilità di acquisire la conoscenza di quei fatti con altri mezzi che la parte avesse l'onere di fornire nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge processuale. Il che equivale a dire che i nuovi mezzi articolati in appello devono essere decisivi ai fini della risoluzione della controversia. Sicché è evidentemente rimessa alla discrezionalità dell'organo giudicante - con il limite della inammissibilità di istanze istruttorie dalle quali la parte fosse decaduta in prime cure - la verifica della decisività o meno delle nuove, costituende prove Cass. 12118/22003 12792/2007 27829/2009 . 4.2.3. Ne discende, pertanto, che nessuna censura può essere mossa, nel caso concreto, alla decisione di appello, laddove ha ritenuto - peraltro, con motivazione del tutto coerente ed adeguata - di escludere nel giudizio di seconde cure mezzi di prova sforniti del requisito della decisività, 4.2.4. Sotto il profilo motivazionale, invero, la sentenza di appello si palesa del tutto immune da addebiti, avendo la Corte esposto dettagliatamente le ragioni per le quali ogni singolo mezzo istruttorio richiesto dagli appellanti era da considerarsi inammissibile, per genericità, inconferenza, o per l'evidente carattere esplorativo della richiesta. 4.3. Per tali ragioni, il mezzo non può, di conseguenza, trovare accoglimento. 5. Con il terzo e quarto motivo di ricorso - che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente - la Cevim s.a.s. di C.V. & amp C, nonché C.V. , C.D. e P.R. denunciano la violazione e falsa applicazione dell'articolo 5 del contrato di mutuo intercorso tra le parti e dell'articolo 15 del d.P.R. numero 7 del 1976, nonché l'insufficiente e con-traddittoria motivazione su un fatto decisivo del giudizio, in relazione all'articolo 360, comma 1, nnumero 3 e 5 c.p.c 5.1. Si dolgono i ricorrenti del fatto che la Corte territoriale abbia escluso - peraltro, sulla base di una motivazione del tutto incongrua - che i tassi pattuiti nel contratto di finanziamento per cui è causa articolo 5 fossero superiori alla soglia antiusura di cui alla l. numero 108 del 1996, recependo acriticamente le erronee conclusioni cui era pervenuto il c.t.u Il giudice di appello non avrebbe tenuto conto, poi, del fatto che - ai sensi del d.lgs. numero 7 del 1976 - in relazione alle rate semestrali del mutuo non ancora scadute alla data della risoluzione del contratto, il mutuatario avrebbe dovuto pagare la sola quota di capitale residuo, e non anche gli interessi in essa conglobati. 5.2. Le censure sono inammissibili sotto diversi profili. 5.2.1. Anzitutto, non può di certo essere assunta nel paradigma del vizio di violazione di legge la pretesa violazione, da parte della Corte di Appello, dell'articolo 5 del contratto di mutuo stipulato dalle parti in causa. La violazione di norme contrattuali di diritto comune, non munite di efficacia obbligatoria generale come gli accordi ed i contratti collettivi nazionali di lavoro non è, invero, ipotesi riconducibile alla violazione di norme di diritto , oggetto della previsione dell'articolo 360 numero 3 c.p.c., tali norme essendo essenzialmente individuabili nelle fonti del diritto di cui all'articolo 1 delle disposizioni sulla legge in generale Cass. 13026/1999 . 5.2.2. Il riferimento, poi, all'articolo 15, del d.P.R. numero 7 del 1976 è del tutto erroneo, atteso che tale disposizione attiene al mutuo fondiario Cass. S.U. 12639/2008 , che - a differenza della fattispecie oggetto di causa - non è un mutuo di scopo Cass. 4792/2012 . 5.2.3. Quanto alle critiche mosse alla espletata c.t.u., le censure difettano, infine, di autosufficienza. 5.2.3.1. Va, per vero, osservato al riguardo che la parte, che lamenti l'acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l'operato. In ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, la parte ha, infatti, l'onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l'apprezzamento dell'incidenza causale del difetto di motivazione Cass. 13845/2007 16368/2014 . 5.2.3.2. Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno, per contro, in alcun modo riprodotto nel ricorso i contestati passi dell'elaborato peritale, concernenti il calcolo degli interessi e la determinazione delle rate semestrali del mutuo non ancora scadute. 5.3. Anche i motivi in esame - in quanto inammissibili - vanno, pertanto, disattesi. 6. Per le ragioni suesposte, il ricorso proposto dalla Cevim s.a.s. di C.V. & amp C., nonché da C.V. , C.D. e P.R. , deve, di conseguenza, essere integralmente rigettato. 7. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso condanna i ricorrenti alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 10.000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie ed accessori di legge, per ciascuno dei controricorrenti.