Quando gli eredi possono richiedere il risarcimento del danno biologico subito dal de cuius?

La Cassazione è interrogata in tema di risarcimento del danno subito dalla vittima. Nel caso di specie i Giudici di merito avevano negato il diritto degli eredi al risarcimento ius hereditatis del danno biologico terminale, riconoscendo solo il danno per l’inabilità temporanea assoluta del de cuius causato dalla malattia precedente al decesso.

Sulla punto la Suprema Corte con ordinanza, numero 29759/17, depositata il 13 dicembre. La vicenda. La Corte d’Appello confermava la decisione di prime cure e rigettava la domanda degli appellanti, i quali, in qualità di eredi, chiedevano al datore di lavoro del defunto il risarcimento iure hereditatis per il danno biologico subito nello svolgimento dell’attività lavorativa. La Corte territoriale riteneva, in sostanza, che le pretese degli appellanti non fossero sostenute dall’allegazione di prove sufficienti in ordine alla condizioni del de cuius nel periodo tra la malattia e il decesso. Avverso detta decisione ricorrono in Cassazione gli eredi del defunto. Il danno alla salute. I ricorrenti lamentano la violazione degli articolo 1226 c.c. Valutazione equitativa del danno e 2059 c.c. Danni non patrimoniali per aver i Giudici di merito disconosciuto la trasmissibilità iure hereditas del diritto al risarcimento del danno biologico rapportata al consolidamento dell’invalidità permanente. Il Supremo Collegio ha ribadito che il danno alla salute più grave si configura nelle lesioni che precedono e causano la morte del danneggiato. Inoltre rispetto al danno da inabilità temporanea assoluta il danno biologico terminale è più intenso perché «l’aggressione subita alla salute dell’individuo incide anche sulla possibilità di recuperare in tutto o in parte le funzionalità perdute», in quanto la capacità recuperatoria della salute stessa è irreversibilmente compromessa Cass. numero 1072/17 . Il risarcimento per gli eredi. La Cassazione ha osservato, inoltre, che nel caso di specie deve applicarsi il principio di diritto secondo cui «in caso di lesione che abbia portato anche a breve distanza di tempo di esito letale, sussiste in capo alla vittima che abbia percepito lucidamente l’approssimarsi della morte, un danno biologico di natura psichica, la cui entità non dipende dalla durata dell’intervallo tra lesione e morte, bensì dall’intensità delle sofferenza provata dalla vittima dell’illecito ed il cui risarcimento può essere richiesto dagli eredi della vittima». In ragione di ciò la Corte ha accolto il ricorso con rinvio alla Corte d’Appello riconoscendo agli eredi il diritto alla richiesta di risarcimento del danno biologico subito dal de cuius.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 18 luglio – 13 dicembre 2017, numero 29759 Presidente Manna, Relatore De Marinis Rilevato - che con sentenza del 16 febbraio 2012, la Corte d’Appello di Trieste, confermava la decisione resa dal Tribunale di Trieste e rigettava la domanda proposta da G.V. , Z.N. e Z.A. , quali eredi di Z.G. nei confronti di O.P. , D.M. nella loro qualità di direttori dello stabilimento Fincantieri di omissis e della stessa Fincantieri S.p.A., avente ad oggetto il risarcimento iure hereditatis del danno biologico di titolarità del de cuius - che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto, da un lato, a fronte delle carenze di allegazione e prova in ordine alla condizione dello Z. nell’intervallo tra la manifestazione della malattia ed il decesso, il danno risarcibile limitato alla sola inabilità temporanea assoluta relativamente a tutto il periodo e tenuto conto del riconoscimento da parte dell’INAIL dei postumi permanenti pari al 100%, da considerarsi, tuttavia, non stabilizzati, dall’altro non assoggettata a gravame la quantificazione del danno ed omessa l’indicazione di elementi atti a consentire la personalizzazione dello stesso - che, per la cassazione di tale decisione ricorrono gli eredi Z. , affidando l’impugnazione ad un unico articolato motivo, cui resiste, con controricorso, la sola Fincantieri, che ha poi presentato memoria, depositata altresì da O.P. , peraltro non costituitosi. Considerato - che, con l’unico motivo, i ricorrenti, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli articolo 1226 e 2059 c.c., lamentano la non conformità a diritto della pronunzia della Corte territoriale per aver disconosciuto, in relazione alla stabilizzazione dei postumi permanenti della patologia sofferta nel non breve lasso di tempo intercorso tra l’insorgere della stessa ed il sopravvenire del decesso, la trasmissibilità iure hereditatis del diritto al risarcimento del danno biologico rapportata al consolidamento dell’invalidità permanente - che il motivo è fondato intendendo questo Collegio far proprie le argomentazioni espresse da questa Corte con la sentenza del 18.1.2011, numero 1072, in base alle quali nessun danno alla salute è più grave per entità ed intensità di quello che trovando causa nelle lesioni che esitano nella morte, temporalmente la precede. In questo caso, infatti, il danno alla salute raggiunge quantitativamente il 100%, con l’ulteriore fattore aggravante, rispetto al danno da inabilità temporanea assoluta, che il danno biologico terminale è più intenso perché l’aggressione subita dalla salute dell’individuo incide anche sulla possibilità di essa di recuperare in tutto o in parte le funzionalità perdute o quanto meno di stabilizzarsi sulla perdita funzionale già subita, atteso che anche questa capacità recuperatoria o, quantomeno stabilizzatrice, della salute risulta irreversibilmente compromessa. La salute danneggiata non solo non recupera cioè non migliora né si stabilizza ma degrada verso la morte quest’ultimo evento rimane fuori dal danno alla salute ma non la progressione verso di esso, poiché durante detto periodo il soggetto leso era ancora in vita in tal senso Cass., sez. 3^, 23.6.2006, numero 3766 - che, a tale stregua, si deve accogliere il principio espresso nella predetta sentenza, secondo cui, in caso di lesione che abbia portato anche a breve distanza di tempo ad esito letale, sussiste in capo alla vittima che abbia percepito lucidamente l’approssimarsi della morte, un danno biologico di natura psichica, la cui entità non dipende dalla durata dell’intervallo tra lesione e morte, bensì dall’intensità della sofferenza provata dalla vittima dell’illecito ed il cui risarcimento può essere reclamato dagli eredi della vittima in senso non dissimile si erano espresse, peraltro, Cass., sez. 3^, 14.2.2007, numero 3260 e Cass. sez. 3^, 2.4.2001, numero 4783 che, inoltre, si deve ritenere che, qualora il giudice si determini all’applicazione dei criteri di liquidazione tabellare o a punto, debba necessariamente procedere alla cd. personalizzazione degli stessi, costituita dall’adeguamento al caso concreto, atteso che, come già più volte ribadito da questa Corte, la legittimità dell’utilizzazione di detti ultimi sistemi liquidatori è pur sempre fondata sul potere di liquidazione equitativa del giudice che, peraltro, si deve ritenere, contrariamente a quanto opinato dalla Corte territoriale, che gli eredi Z. , avevano proposto idonea impugnazione della sentenza di primo grado riguardo al profilo dell’inabilità temporanea in caso di morte non immediata del soggetto ammalatosi che il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, che provvederà in conformità, disponendo altresì anche per l’attribuzione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese, alla Corte d’Appello di Venezia.