Esce dall’ufficio per protestare contro il Comune: illegittimo il licenziamento del dipendente

Vittoria piena per il lavoratore. Riconosciuto il suo diritto ad essere reintegrato e a percepire un risarcimento quantificato in quasi 16mila euro. Acclarate le condotte da lui tenute esse però non sono sufficienti e così gravi da giustificarne l’allontanamento definitivo.

Manifestazioni di protesta del dipendente comunale svolte per pochi minuti fuori dalla sede a lui assegnata. Impossibile il suo licenziamento. Inutile il richiamo fatto dall’ente locale all’illegittima temporanea assenza dall’ufficio, a fronte della presenza certificata dalla timbratura del badge Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza numero 14199/21, depositata il 24 maggio . Riflettori puntati sul conflitto tra un Comune campano e un dipendente assegnato all’ufficio del cimitero comunale. All’uomo è stato contestato di «avere, in modo reiterato, attestato falsamente la propria presenza in servizio nei giorni e negli orari in cui egli si tratteneva all’esterno del luogo di lavoro pur risultando regolarmente in servizio». Gli episodi incriminati hanno spinto l’amministrazione comunale ad adottare il provvedimento più drastico, cioè l’allontanamento definitivo del dipendente. Provvedimento però censurato dai giudici di merito, che, sia in primo che in secondo grado, hanno sancito «l’ illegittimità del licenziamento », condannando l’ente locale a «reintegrare il lavoratore nel posto in precedenza occupato» ed a «corrispondergli un’indennità risarcitoria» quantificata in quasi 16mila euro. Acclarato il comportamento tenuto dal dipendente comunale, i giudici di merito sottolineano che «egli era stato visto all’esterno del cimitero comunale – a cui era assegnato – con indosso dei cartelli di cartone che recavano impresse scritte di protesta per le condizioni di lavoro, ingiuste e lesive, a detta del lavoratore». Bisogna però tener presente, chiariscono i giudici, che «l’ illecito disciplinare contestato richiede una condotta fraudolenta oggettivamente idonea ad indurre in errore il datore di lavoro circa la presenza in servizio», mentre in questa vicenda «il lavoratore aveva reso volutamente visibile la propria condotta di protesta , cercando di attirare l’attenzione dei passanti e della stessa amministrazione, la quale ne era la destinataria». Peraltro, «la condotta non poteva giustificare la sanzione del licenziamento perché il lavoratore non aveva inteso ingannare l’ente sulla sua presenza in servizio le proteste avevano avuto una durata limitata ogni volta a pochi minuti non era emerso che il dipendente si fosse sottratto a specifici ordini o avesse omesso di attendere alle incombenze demandategli non si trattava di una reiterazione degli episodi contestati come recidiva, bensì di un comportamento critico assunto nei confronti dell’amministrazione da dipendente pacificamente attivo anche sul versante sindacale», aggiungono i giudici d’Appello. Dalla Cassazione mostrano di condividere le valutazioni compiute dai giudici di merito tra primo e secondo grado. Definitiva , quindi, la sconfitta per il Comune , obbligato non solo a reintegrare il dipendente , ma anche a versargli quasi 16mila euro come risarcimento , e ora condannato anche a pagare le spese processuali per tutti e tre i gradi di giudizio. In premessa, i magistrati ricordano che «la condotta di rilievo disciplinare se, da un lato, non richiede un’attività materiale di alterazione o manomissione del sistema di rilevamento delle presenze in servizio, dall’altro deve essere oggettivamente idonea ad indurre in errore il datore di lavoro, sicché anche l’allontanamento dall’ufficio, non accompagnato dalla necessaria timbratura, integra una modalità fraudolenta, diretta a rappresentare una situazione apparente diversa da quella reale». In questa vicenda, però, si è correttamente escluso che «la condotta fosse sussumibile nell’illecito tipizzato dal legislatore, in quanto non idonea ad indurre in errore il datore di lavoro, destinatario principale della protesta platealmente inscenata», annotano i magistrati. E a questo proposito viene anche aggiunto che «i profili oggettivi e soggettivi della condotta non erano tali da giustificare la sanzione espulsiva» decisa dal Comune, poiché «non si era verificato un reale allontanamento e le manifestazioni di protesta avevano avuto durata, ogni volta, di pochi minuti».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 febbraio – 24 maggio 2021, numero 14199 Presidente Tria – Relatore Di Paolantonio Fatti di causa 1. La Corte d’Appello di Salerno ha respinto il reclamo proposto, L. numero 92 del 2012, ex articolo 1, comma 58, dal Comune di Pagani avverso la sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore che, all’esito del giudizio di opposizione, aveva accolto il ricorso di N.M. e, revocata l’ordinanza emessa in fase sommaria, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato dal Comune il 12 agosto 2016 e condannato l’ente locale a reintegrare il lavoratore nel posto in precedenza occupato ed a corrispondere allo stesso l’indennità risarcitoria quantificata in Euro 15.947,10. 2. La Corte territoriale ha premesso in punto di fatto che al N. era stato contestato l’illecito disciplinare tipizzato dal D.Lgs. numero 165 del 2001, articolo 55 quater, comma 1, lett. a , nonché dalla disposizione di eguale contenuto dettata dall’articolo 59, comma 9, numero 2 del CCNL per il personale del comparto funzioni locali, per avere in modo reiterato attestato falsamente la propria presenza in servizio nei giorni e negli orari in cui si tratteneva all’esterno del luogo di lavoro pur risultando regolarmente in servizio . Ha aggiunto che in quelle occasioni il N. era stato visto all’esterno del cimitero comunale, al quale era assegnato, con indosso dei cartelli di cartone, che recavano impresse scritte di protesta per le condizioni di lavoro, a detta del dipendente ingiuste e lesive della salute. 3. In diritto ha osservato che l’illecito disciplinare contestato richiede una condotta fraudolenta oggettivamente idonea ad indurre in errore il datore di lavoro circa la presenza in servizio e, pertanto, nella fattispecie lo stesso non risultava integrato, perché al contrario il N. aveva reso volutamente visibile la propria condotta di protesta, cercando di attirare l’attenzione dei passanti e della stessa amministrazione, la quale ne era la destinataria. Ha aggiunto che anche in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito tipizzato, in ragione del divieto di automatismi espulsivi, il giudice è tenuto ad effettuare il giudizio di proporzionalità ed a tener conto della portata oggettiva e soggettiva dei fatti contestati. Nel caso di specie la condotta non poteva giustificare la sanzione del licenziamento perché il lavoratore non aveva inteso ingannare l’ente sulla sua presenza in servizio le proteste avevano avuto una durata limitata ogni volta a pochi minuti non era emerso che il dipendente si fosse sottratto a specifici ordini o avesse omesso di attendere alle incombenze demandategli non si trattava di una reiterazione degli episodi contestati come recidiva, bensì di un comportamento critico assunto nei confronti dell’amministrazione da dipendente pacificamente attivo anche sul versante sindacale. 4. La Corte salernitana ha respinto anche il reclamo proposto in via incidentale dal N. per censurare la statuizione di compensazione delle spese del giudizio di primo grado e, richiamate le sentenze della Corte Costituzionale nnumero 77 e 190 del 2018, ha ritenuto che la pronuncia fosse condivisibile alla luce della peculiarità e della controvertibilità della questione trattata, interessata anche da pronunce chiarificatrici della Suprema Corte intervenute in corso di causa . Per le medesime ragioni, oltre che per la soccombenza reciproca, ha compensato anche le spese del giudizio di reclamo. 5. Per la cassazione della sentenza il Comune di Pagani ha proposto ricorso sulla base di due motivi, ai quali ha replicato N.M. , che ha notificato controricorso, con ricorso incidentale affidato ad un’unica censura. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia, ex articolo 360 c.p.c., nnumero 3 e 5 omesso esame e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia violazione del D.Lgs. numero 165 del 2001, articolo 55 quater, comma 1, lett. a violazione dei principi di cui al codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni approvato con D.P.R. numero 60 del 2013 e sostiene, in sintesi, che integra giusta causa di licenziamento ogni ipotesi di falsa attestazione della presenza in servizio se compiuta con modalità fraudolente, a prescindere dalla durata temporale dell’assenza. Rileva che il N. aveva utilizzato il badge allontanandosi dal luogo di lavoro e, pertanto, non poteva la Corte territoriale ritenere illegittima la sanzione, tanto più che la condotta era stata pacificamente provata attraverso la produzione documentale. Richiama gli obblighi di correttezza e buona fede ed aggiunge che la Corte territoriale ha anche errato nell’escludere la contestata la recidiva. Infine addebita al giudice del reclamo di avere posto a fondamento della decisione argomenti non fondati sulle risultanze di causa. 2. La seconda censura denuncia violazione dell’articolo 112 c.p.c., e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione al rigetto della richiesta di sospensione dell’esecutività della sentenza del Tribunale, inserito solo nel dispositivo e non motivato. 3. Il ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo, addebita alla Corte territoriale di avere violato gli articolo 91 e 92 c.p.c., nel compensare erroneamente le spese di entrambi gradi del giudizio di merito in difetto delle gravi ed eccezionali ragioni richieste dalla Corte costituzionale con la sentenza additiva numero 77/2018. 4. Il ricorso principale è inammissibile in tutte le sue articolazioni. Da tempo questa Corte, nell’interpretare il D.Lgs. numero 165 del 2001, articolo 55 quater, lett. a , ha affermato che la condotta di rilievo disciplinare se, da un lato, non richiede un’attività materiale di alterazione o manomissione del sistema di rilevamento delle presenze in servizio, dall’altro deve essere oggettivamente idonea ad indurre in errore il datore di lavoro, sicché anche l’allontanamento dall’ufficio, non accompagnato dalla necessaria timbratura, integra una modalità fraudolenta, diretta a rappresentare una situazione apparente diversa da quella reale Cass. numero 17367/2016 e Cass. numero 25750/2016 . La disposizione normativa è stata, inoltre, interpretata alla luce dello sfavore manifestato dalla giurisprudenza costituzionale rispetto agli automatismi espulsivi e, pertanto, si è valorizzato il richiamo testuale all’articolo 2106 c.c., per limitare l’imperatività assoluta espressa dalla norma al rapporto fra legge e contratto collettivo e per affermare che l’esercizio del potere datoriale resta comunque sindacabile da parte del giudice quanto alla necessaria proporzionalità della sanzione espulsiva si rimanda alla giurisprudenza richiamata da Corte Cost. numero 123/2020 che, valorizzando questa interpretazione costituzionalmente orientata, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 55 quater, prospettata dal Tribunale di Vibo Valentia . Ai richiamati principi di diritto, condivisi dal Collegio e qui ribaditi, si è correttamente attenuta la Corte territoriale che, come evidenziato nello storico di lite, ha fondato la decisione su una duplice ratio decidendi perché ha innanzitutto escluso che la condotta fosse sussumibile nell’illecito tipizzato dal legislatore, in quanto non idonea ad indurre in errore il datore di lavoro, destinatario principale della protesta platealmente inscenata. Ha, poi, ritenuto i profili oggettivi non si era verificato un reale allontanamento e le manifestazioni di protesta avevano avuto durata ogni volta di pochi minuti e soggettivi della condotta, tali da non giustificare la sanzione espulsiva irrogata. 4.1. Il primo motivo del ricorso principale, che insiste sulla tassatività delle ipotesi di licenziamento previste dal richiamato articolo 55 quater, non si confronta con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte, non coglie pienamente il decisum della sentenza impugnata ed inoltre, per dimostrare l’erroneità della pronuncia, fa leva su argomenti di fatto, non di diritto, che finiscono per sollecitare un giudizio di merito, non consentito al giudice di legittimità. È ius receptum il principio secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti fissati dalla normativa processuale succedutasi nel tempo. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è, dunque, segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa cfr. fra le più recenti Cass. numero 26033/2020 Cass. numero 3340/2019 Cass. numero 640/2019 Cass. numero 24155/2017 . In tema di licenziamento, poi, questa Corte, dopo avere affermato che la nozione legale di giusta causa richiede di essere specificata in sede interpretativa, ha precisato che tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito cfr. fra le tante Cass. numero 7426/2018 Cass. numero 10017/2016 Cass. numero 6498/2012 Cass. numero 5095/2011 . Quest’ultima evenienza ricorre nella fattispecie perché, come già detto, la Corte territoriale si è attenuta ai principi di diritto enunciati da questa Corte in tema di interpretazione del D.Lgs. numero 165 del 2001, articolo 55 quater, lett. a , di giusta causa e di proporzionalità della sanzione e gli argomenti sviluppati nel ricorso principale finiscono tutti per prospettare una diversa lettura delle risultanze di causa. Le censure mosse alla ricostruzione dei fatti esulano dai limiti del riformulato articolo 360 c.p.c., numero 5, come interpretato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte cfr. Cass. S.U. numero 34476/2019 che rinvia a Cass. S.U. numero 8053/2014, Cass. S.U. numero 9558/2018, Cass. S.U. numero 33679/2018 che assegna rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo, al quale non può essere ricondotta la mancata o l’errata valutazione di una risultanza istruttoria quando il fatto storico sia stato comunque apprezzato dal giudice del merito. 5. Parimenti inammissibile è il secondo motivo del ricorso principale perché il vizio di omessa pronuncia è ravvisabile solo qualora il giudice ometta di statuire sulla domanda o su eccezioni di merito, mentre non può essere denunciato nel caso in cui la questione non esaminata rilevi unicamente sul piano processuale Cass. numero 10422/2019 Cass. numero 25154/2018 Cass. numero 6174/2018 . Va aggiunto che il potere di sospensione dell’efficacia della sentenza reclamata, da esercitare in presenza di gravi motivi , è finalizzato ad impedire che la decisione gravata, che appare ingiusta ad una delibazione sommaria, produca effetti nelle more del giudizio di appello, esponendo ad un pregiudizio patrimoniale la parte soccombente Cass. numero 4060/20005 . Il provvedimento di sospensione è per definizione temporaneo ed è destinato ad esaurirsi con la sentenza definitiva del giudizio d’impugnazione sicché il giudice d’appello, nei casi in cui all’udienza di discussione definisca la causa, non è tenuto a provvedere sulla richiesta di sospensione con un’autonoma statuizione della sentenza che definisce il giudizio di impugnazione, perché quest’ultima, per il suo carattere sostitutivo, assorbe interamente l’efficacia di quella di primo grado Cass. numero 19708/2015 . 6. Merita, invece, accoglimento il ricorso incidentale. Occorre premettere che la Corte Costituzionale con sentenza numero 77 del 19 aprile 2018, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, come modificato dal D.L. numero 132 del 2014, articolo 13, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni . Nella motivazione della pronuncia la Corte ha precisato che le ipotesi illegittimamente non considerate dal legislatore devono rivestire il carattere di gravità ed eccezionalità al pari di quelle tipizzate, ossia l’assoluta novità della questione trattata ed il mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, che hanno carattere paradigmatico e svolgono una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale punto 16 della pronuncia . Questa Corte ha già affermato che, poiché gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità di una norma retroagiscono alla data di introduzione nell’ordinamento del testo di legge dichiarato costituzionalmente illegittimo, la valutazione sulla fondatezza o meno del ricorso, con il quale è denunciata la violazione dell’articolo 92 c.p.c., deve tener conto della situazione normativa determinata dalla pronuncia di incostituzionalità, essendo irrilevante che la decisione impugnata o la stessa proposizione del ricorso siano anteriori alla pronuncia del giudice delle leggi Cass. numero 4360/2019 . I medesimi principi valgono per il giudizio di appello, qualora nello stesso venga impugnato il regolamento delle spese disposto dalla sentenza gravata, e, quindi, nella fattispecie la Corte territoriale, nel decidere il reclamo incidentale, era tenuta ad applicare l’articolo 92 c.p.c., nel testo risultante dalla pronuncia additiva resa dalla Corte Costituzionale, non rilevando la data di pubblicazione della sentenza del Tribunale 4 aprile 2018 . 6.1. Ciò premesso, deve essere ribadito l’orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui le gravi ed eccezionali ragioni, al pari di ogni altra clausola generale, devono essere specificate dal giudice di merito in via interpretativa ed il giudizio, in quanto fondato su norme giuridiche, è censurabile in sede di legittimità Cass. numero 9977/2019 Cass. numero 23059/2018 e la Corte di Cassazione ha il potere di rilevare l’erroneità o l’illogicità del parametro utilizzato. Nel caso di specie la sentenza additiva della Corte Costituzionale ha sottolineato la funzione parametrica ed il carattere paradigmatico delle fattispecie tipizzate, esplicative della causa generale, alle quali, all’evidenza, non possono essere equiparate la peculiarità e la controvertibilità della questione . Va aggiunto che le pronunce chiarificatrici rese da questa Corte sull’interpretazione del D.Lgs. numero 165 del 2001, articolo 55 quater, lett. a , hanno richiamato principi già affermati, quanto al divieto di automatismi espulsivi, da Cass. numero 1351 del 26 gennaio 2016, la cui motivazione è riferibile a tutte le ipotesi previste dalla norma di legge, sicché già al momento dell’instaurazione del giudizio di primo grado la questione era priva del carattere di assoluta novità che può giustificare la pronuncia di compensazione. 6.2. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata limitatamente al regolamento delle spese e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con la condanna del Comune di Pagani al pagamento, in favore di N.M. , delle spese processuali di tutti i gradi e le fasi del giudizio, liquidate come da dispositivo, che vanno distratte in favore dell’Avv. Mario Alfano, dichiaratosi antistatario. Al riguardo ritiene il Collegio che l’articolo 384 c.p.c., debba essere interpretato alla luce del principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’articolo 111 Cost., che impone di non trasferire una causa dall’uno all’altro giudice, quando il giudice rinviante potrebbe da sé solo svolgere le attività richieste al giudice cui la causa è rinviata. Va anche osservato che in tema di spese processuali l’articolo 385 c.p.c., comma 2, accorda ampi poteri alla Corte e le consente di accertare e liquidare non solo le spese del giudizio di legittimità, ma anche quelle dei gradi di merito, quando la sentenza impugnata sia cassata senza rinvio, sicché sarebbe del tutto illogico imporre il giudizio di rinvio, al solo fine di provvedere ad una liquidazione che, in quanto ancorata a parametri di legge, ben può essere direttamente compiuta dal giudice di legittimità Cass. numero 1761/2014 e Cass. numero 211/2016 . 7. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, numero 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. numero 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente principale. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso incidentale e dichiara inammissibile il ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso ed al motivo accolto e decidendo nel merito condanna il Comune di Pagani a rifondere a N.M. le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito, con distrazione in favore del procuratore antistatario Avv. Mario Alfano, liquidate quanto al primo grado fase sommaria e giudizio di opposizione in complessivi Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge quanto al reclamo in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge. Condanna il Comune di Pagani al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge, da distrarre in favore del procuratore antistatario Avv. Mario Alfano. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.