RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 1 DICEMBRE 2010, N. 24363 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - PER MUTUO CONSENSO DIMISSIONI. Violenza morale quale causa di annullabilità delle dimissioni - Requisiti - Modi variabili e non espliciti - Configurabilità - Ruolo di concausa - Ammissibilità - Minaccia, immotivata e strumentale, dell'esercizio di un diritto - Rilevanza - Fattispecie relativa a dimissioni presentate per evitare il disposto trasferimento. La violenza morale esercitabile dal datore di lavoro, che può determinare l'annullabilità delle dimissioni rassegnate dal lavoratore, può esprimersi secondo modalità variabili e indefinite, anche non esplicite può agire anche solo come concausa, ed essere ravvisata nella minaccia dell'esercizio di un diritto, quando la relativa prospettazione sia immotivata e strumentale. Nella specie, il datore di lavoro aveva disposto il trasferimento di un dipendente in una sede lontana dal suo luogo di residenza e il lavoratore aveva rassegnato le dimissioni al fine di evitare il trasferimento ed il connesso mutamento di mansioni, ed aveva poi impugnato in giudizio l'atto risolutivo la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la configurabilità di una coartazione della volontà del dipendente nella determinazione di rassegnare le dimissioni, riscontrando anzi l'attribuzione al lavoratore di mensilità aggiuntive quale incentivo all'esodo . Identico principio di diritto è affermato da Cassazione 5154/1999 con riferimento a fattispecie in cui il datore di lavoro aveva disposto, con provvedimento immotivato, il trasferimento entro breve termine di una dipendente in una città lontana rispetto alla corrente sede di servizio e aveva risposto alla contestazione dell'interessata senza fornire chiarimenti e minacciando il licenziamento in caso di mancata ottemperanza la dipendente aveva quindi comunicato le sue dimissioni, quale scelta compiuta suo malgrado ma per lei inevitabile, e poi aveva impugnato in giudizio l'atto risolutivo la S.C., ha annullato per vizio di motivazione la sentenza impugnata, che aveva escluso la configurabilità di una violenza morale, senza esaminare la possibile valenza coercitrice ed intimidatoria delle circostanze del caso concreto e affermando che le dimissioni rappresentavano un'iniziativa personale della lavoratrice. In argomento si veda ancora Cassazione 24405/2008 per la quale le dimissioni del lavoratore, rassegnate sotto minaccia di licenziamento per giusta causa, sono suscettibili di essere annullate per violenza morale solo qualora venga accertata - e il relativo onere probatorio è carico del lavoratore che deduca l'invalidità dell'atto di dimissioni - l'inesistenza del diritto del datore di lavoro di procedere al licenziamento per insussistenza dell'inadempimento addebitato al dipendente, dovendosi ritenere che, in detta ipotesi, il datore di lavoro, con la minaccia del licenziamento, persegua un risultato non raggiungibile con il legittimo esercizio del proprio diritto di recesso. In tema di violenza morale, quale vizio invalidante del consenso, Cassazione 16179/2004 sostiene che i requisiti previsti dall'articolo 1435 cc possono variamente atteggiarsi, a seconda che la coazione si eserciti in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, anche ad opera di un terzo è in ogni caso sempre necessario che la minaccia sia stata specificamente diretta al fine di estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l'annullabilità e risulti di tale natura da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell'autore di essa. Per la configurabilità del dolo come vizio del consenso, nella previsione dell'articolo 1439 cc è invece necessario che il raggiro o l'inganno abbia agito come fattore determinante della volontà negoziale, ingenerando nella parte che lo subisce una rappresentazione alterata della realtà. L'apprezzamento del giudice di merito sulla esistenza della minaccia e sulla sua efficacia a coartare la volontà di una persona, come quello sulla rilevanza delle dichiarazioni e del comportamento dell'agente, si risolvono in un giudizio di fatto, incensurabile in Cassazione se motivato in modo sufficiente e non contraddittorio. SEZIONE LAVORO 1 DICEMBRE 2010, N. 24362 RISARCIMENTO DEL DANNO - PATRIMONIALE E NON PATRIMONIALE DANNI MORALI . Infortunio sul lavoro - Decesso del lavoratore - Danno non patrimoniale spettante jure proprio ai prossimi congiunti - Risarcibilità - Prova - Contenuto - Prova dello status - Insufficienza. In materia di infortunio sul lavoro e malattie professionali, il risarcimento dei danni non patrimoniali, spettante ai prossimi congiunti del lavoratore deceduto a causa di patologie contratte sul luogo di lavoro nella specie, mesotelioma pleurico , richiede la prova, secondo le regole generali, del danno dagli stessi sofferto, non essendo sufficiente allo scopo la produzione di certificazioni che documentano il rapporto con la vittima dell'illecito e non anche il danno sofferto in concreto dal congiunto. Cassazione 4980/2006 afferma il principio per il quale, a norma dell'articolo 2043 cc, ai prossimi congiunti di un soggetto, deceduto in conseguenza del fatto illecito addebitabile ad un terzo come nel caso di morte del lavoratore dovuta ad infortunio sul lavoro imputabile al datore di lavoro , compete il risarcimento del danno anche patrimoniale, purché sia accertato in concreto che i medesimi siano stati privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a beneficiare in futuro. In relazione ad una questione di rito, per Cassazione 20355/2005, esula dalla competenza per materia del giudice del lavoro e resta devoluta alla cognizione del giudice competente secondo il generale criterio del valore la domanda di risarcimento dei danni proposta dai congiunti del lavoratore deceduto non jure hereditario , per far valere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro dei confronti del loro dante causa, bensì jure proprio , quali soggetti che dalla morte del loro congiunto hanno subìto danno e, quindi, quali portatori di un autonomo diritto al risarcimento che ha la sua fonte nella responsabilità extracontrattuale di cui all'articolo 2043 cc. SEZIONE LAVORO 1 DICEMBRE 2010, N. 24349 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - DONNE - DIRITTO ALLA CONSERVAZIONE DEL POSTO. Divieto di licenziamento ex articolo 2 della legge 1204/1971 di lavoratrice in stato di gravidanza o puerperio - Licenziamento intimato in violazione di tale divieto - Nullità - Contestuale violazione delle disposizioni procedurali ex articolo 7 dello statuto dei lavoratori - Ininfluenza - Conseguenze - Prosecuzione del rapporto - Diritto alle retribuzioni - Spettanza. Il divieto di licenziamento di cui all'articolo 2 della legge 1204/1971 opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza o puerperio e, pertanto, comporta, ai sensi del comma 5 dell'articolo 54 del D.Lgs. 151/2001, la nullità del licenziamento intimato nonostante il divieto anche in caso di violazione delle disposizioni procedurali di cui all'articolo 7 dello statuto dei lavoratori, con la conseguente prosecuzione del rapporto e configurabilità del diritto della lavoratrice al pagamento delle retribuzioni. In senso conforme si veda Cassazione 2244/2006 per la quale il licenziamento intimato nonostante il divieto comporta, anche in mancanza di tempestiva richiesta di ripristino del rapporto, il pagamento delle retribuzioni successive alla data di effettiva cessazione del rapporto, le quali maturano a decorrere dalla presentazione del certificato attestante lo stato di gravidanza articolo 4 Dpr 1026/1976 . Ove la lavoratrice sia stata assunta con contratto di formazione e lavoro, la determinazione del risarcimento in misura corrispondente all'importo delle retribuzioni maturate fino al termine del rapporto di formazione e lavoro tiene conto dell'effetto sospensivo del termine contrattuale per il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, con conseguente proroga del termine medesimo per un periodo pari a quello della sospensione, essendo l'esecuzione del rapporto sospesa per fatti non riconducibili alla volontà delle parti. Sul tema, per Cassazione 5749/2008 l'articolo 14 del Dpr 1026/1076 regolamento di esecuzione della legge 1204/1971 sulla tutela delle lavoratrici madri , pur prescrivendo determinate formalità quanto alla redazione ed alla produzione del certificato di gravidanza, non collega alcuna sanzione all'inosservanza di tali requisiti formali, sicché la lavoratrice illegittimamente licenziata può presentare tale certificato anche in allegato al ricorso con il quale impugna il licenziamento. Conforme è ancora Cassazione 17606/2007 per la quale dalla mancanza di effetti risolutorio del licenziamento in questione consegue che, una volta terminato il periodo tutelato dalla legge con il divieto di licenziamento, non vi è necessità di costituzione in mora del datore e la lavoratrice non ha l'onere di offrire la propria prestazione. SEZIONE LAVORO 17 NOVEMBRE 2010, N. 23226 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - RISARCIMENTO DEL DANNO. Licenziamento illegittimo - Prova dell' aliunde perceptum o dell' aliunde percipiendum - Relativo onere - Sul datore di lavoro - Fondamento. In tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che contesti la richiesta risarcitoria pervenutagli dal lavoratore è onerato, pur con l'ausilio di presunzioni semplici, della prova dell' aliunde perceptum o dell' aliunde percipiendum , a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente estromesso dall'azienda, dovendosi escludere che il lavoratore abbia l'onere di farsi carico di provare una circostanza, quale la nuova assunzione a seguito del licenziamento, riduttiva del danno patito. In tema di risarcimento del danno dovuto al lavoratore per effetto della reintegrazione disposta dal giudice ai sensi dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, per Cassazione 20500/2008, dall'ammontare del risarcimento vanno detratti gli importi che il lavoratore abbia percepito per aver svolto, nel periodo successivo alla risoluzione del rapporto, un'attività remunerata cosiddetto aliunde perceptum la relativa allegazione è ammissibile anche nel giudizio di rinvio purché avvenga nel primo atto difensivo utile dalla conoscenza dei fatti, dovendo il datore di lavoro fornire la prova del momento di acquisizione della notizia. In tema di risarcimento del danno per effetto della nullità del termine apposto al contratto di lavoro, secondo Cassazione 21919/2010, l'eccezione, con la quale il datore di lavoro deduca che il dipendente licenziato ha percepito un altro reddito per effetto di una nuova occupazione ovvero deduca la colpevole astensione da comportamenti idonei ad evitare l'aggravamento del danno, non è oggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore della parte. Pertanto, allorquando vi è stata rituale allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi possono ritenersi incontroversi o dimostrati per effetto di mezzi di prova legittimamente disposti, il giudice può trarne d'ufficio anche nel silenzio della parte interessata ed anche se l'acquisizione possa ricondursi ad un comportamento della controparte tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quantificazione del danno lamentato dal lavoratore illegittimamente licenziato. Ai fini della sottrazione dell' aliunde perceptum dalle retribuzioni dovute al lavoratore, è necessario che risulti la prova, il cui onere grava sul datore di lavoro, non solo del fatto che il lavoratore licenziato abbia assunto nel frattempo una nuova occupazione, ma anche di quanto percepito, essendo questo il fatto che riduce l'entità del danno presunto. In argomento si veda anche Cassazione 9474/2009 per la quale, in tema di conseguenze patrimoniali derivanti dal licenziamento illegittimo in costanza di un rapporto di lavoro part-time, quanto percepito in conseguenza di altra e diversa attività lavorativa, per un orario di lavoro ulteriore, non costituisce aliunde perceptum per integrare il quale si dovrebbe allegare e dimostrare la sussistenza di una diversa fonte di guadagno, sostitutiva della retribuzione dovuta dal datore di lavoro receduto dal rapporto part-time.