Quando il compenso all’amministratore diventa fatto di bancarotta?

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi somme dalle casse sociali, a titolo di pagamento di competenze, ancorché su delibera del consiglio di amministrazione, in quanto la previsione di cui all’articolo 2389 c.c. stabilisce che la misura del compenso agli amministratori di società di capitali, qualora non sia preveduta nello statuto, sia determinata con delibera assembleare né detta delibera assembleare può ritenersi implicita in quella di approvazione dei bilanci.

Questo il principio di diritto espresso dalla Sezione Quinta Penale della Cassazione, con la sentenza numero 11405/15 depositata il 18 marzo. Hiemes frigidiores sunt. Ormai è noto che l’ultima ed invero unica sentenza Cass. Sez. V, numero 47502/2012, depositata il 6 dicembre 2012, nota a tutti come la pronuncia sul “Ravenna Calcio” , che aveva rappresentato un’ampia apertura di credito in senso garantista sulla costante interpretazione giurisprudenziale del delitto di bancarotta fraudolenta, venne salutata dai più attenti commentatori come una «rondine, che non fa primavera» F. Viganò . Orbene, mai vaticinio fu più azzeccato. Come tutti ricorderanno, quella nota apertura giurisprudenziale trovò tanto esplicita quanto clamorosa smentita in una pronuncia della stessa Sezione Quinta resa addirittura nel medesimo giorno di udienza Cass. Sez. V, numero 733/2012, depositata in data 8 gennaio 2013 . Se a cacciare le rondini dal cielo sono i rigori dell’incipiente rigido inverno, non minor valenza potrà certo attribuirsi alla sentenza che si annota, caratterizzata da un esplicito quanto determinato rigetto dei principi affermati nella pronuncia sul fallimento del Ravenna Calcio, con conclamati richiami alla più rigorosa e punitiva giurisprudenza di legittimità. Non occorre nesso causale tra condotta e dissesto. La pronuncia in commento non esita infatti ad affermare, in esplicita smentita del principio sancito nella sentenza numero 47052, che, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, la punibilità della condotta non è subordinata alla condizione che la stessa sia causa del dissesto, in quanto, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, i fatti distrattivi assumono rilevanza penale in qualsiasi tempo siano stati commessi e dunque anche quando l’impresa non versava in alcuna situazione di insolvenza. La bancarotta, infatti, ricorda la Corte, è reato di pericolo, nel quale a nulla rileva che il soggetto agente al momento della realizzazione della condotta fosse consapevole dello stato di insolvenza dell’impresa per non essersi lo stesso ancora manifestato. Le criticità di tale affermazione appaiono lapalissiane laddove solo si consideri che, lungo siffatto iter argomentativo, si apre la via a contestazioni di bancarotta anche per condotte poste in essere moltissimi anni prima della dichiarazione di fallimento, quando lo stato di insolvenza non era in alcun modo prevedibile. Tale percorso a ritroso, peraltro, non trova limite nemmeno nel maturare del termine di prescrizione del reato, che, come noto, comincia a decorrere solo dal momento in cui la bancarotta si consuma e dunque con la sentenza dichiarativa di fallimento. Appare allora chiaro come si schiuda la via ad un possibile iato temporale vastissimo tra la condotta incriminata, da un lato, e la consumazione del delitto di bancarotta e conseguente dies a quo per il decorso del termine di prescrizione, dall’altro. Con la prospettiva, assolutamente non improbabile, che l’imputato di bancarotta sia chiamato a rispondere delle propria condotta a titolo di bancarotta fraudolenta, anche per la prima volta, dopo che siano decorsi moltissimi anni, se non qualche decina, dalla concreta realizzazione della condotta. Con le conseguenti prevedibili e spesso insormontabili difficoltà per la difesa di documentare e comprovare la liceità della condotta posta in essere dall’imputato moltissimi anni prima. Con onere della prova a carico della difesa. La questione parrebbe essere meramente accademica o comunque di stile di fronte all’obiezione che spetta alla pubblica accusa l’onere di dimostrare la colpevolezza, al di là di ogni ragionevole dubbio, dell’imputato e non, al contrario, a costui provare la propria innocenza. Invero è l’obiezione ad essere di mero stile. Come infatti esplicitamente ricorda anche la pronuncia in esame, in tema di prova del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il mancato rinvenimento, all’atto del fallimento, di beni o utilità nella disponibilità della società fallita costituisce circostanza idonea a fondare la presunzione della loro distrazione in mancanza di giustificazione, da parte dell’imputato, della loro destinazione al soddisfacimento di esigenze della società o dei fini sociali. Evidente la contraddittorietà – a sommesso avviso di chi scrive – della conseguente affermazione della Corte, peraltro condivisa da quasi monolitica giurisprudenza, secondo cui ciò non implica alcuna inversione dell’onere della prova, in quanto la prova della distrazione dei beni della società mancanti al momento della sentenza dichiarativa di fallimento ben può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione a scopi sociali dei beni suddetti. Dimostrazione che fornire molti se non decine di anni dopo la realizzazione della condotta potrebbe davvero rilevarsi diabolica. Le conseguenze per gli amministratori. Il precipitato dell’affermazione di tali principi in capo alla posizione degli amministratori della società appare evidente dalla lettura della motivazione della sentenza in commento. Nel caso dunque, quale quello di specie, di somme risultanti dalle scritture contabili essere state oggetto di prelievo da parte dell’amministratore con la voce “stipendi e salari” in difetto di specifica delibera assembleare o di apposita esplicita clausola statutaria, poi non rinvenute all’atto del fallimento della società, se l’imputato non è in grado di fornire specifica giustificazione sulla destinazione a scopi sociali di detto denaro, sarà inevitabile la configurabilità in capo al medesimo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione. Non varrà, quindi, a scriminare tali fatti la risalenza di dette condotte nel tempo, ovvero il rilievo che i medesimi prelievi non abbiano avuto alcun nesso causale con il successivo intervenuto stato di dissesto, né, sotto il profilo psicologico, la circostanza che all’epoca il soggetto agente non fosse, né avrebbe potuto essere, in grado di configurarsi il sopravvenire della situazione di insolvenza ed il venturo fallimento. Neppure, osserva la Corte, potrà valere a ritenere integrata la scriminante della previa delibera assembleare, la circostanza che dette somme fossero indicate nel bilancio della società oggetto di regolare approvazione da parte dei soci, salvo il caso in cui la stessa assemblea abbia specificamente ed esplicitamente discusso ed approvato il pagamento di tali somme agli amministratori come compensi spettante ai medesimi. E così, paradossalmente, mentre l’allungamento del termini di prescrizione sembra la panacea di tutti i mali della italica giustizia, sempre più lontani sono i tempi in cui si soleva affermare tempus omnia solvit .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 12 giugno 2014 – 18 marzo 2015, numero 11405 Presidente Oldi – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con sentenza del 29.10.2012 la corte di appello di Milano confermava la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 11.10.2010, aveva condannato alle pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia C.E. e F.G. per i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e preferenziale specificamente indicati nel numero 1 e nel numero 3 del capo A dell'imputazione, in qualità, il C. di amministratore unico, prima del 26.10.2006, e poi di fatto della società Il Videofonino srl , dichiarata fallita dal tribunale di Milano con sentenza del 3.4.2008, il secondo di amministratore di diritto della stessa società, concorrente nel delitto di bancarotta preferenziale di cui citato numero 3 del capo A . 2. Avverso tale sentenza, di cui chiedono l'annullamento, entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, con autonomi atti di impugnazione, nei quali articolano distinti motivi di ricorso. 2.1. Il C. , in particolare, nel ricorso a firma dell'avv. Giorgio Bottani e dello stesso C. , lamenta 1 violazione di legge in relazione agli articolo 216, l. fall. e 2639, c.c., in quanto la corte territoriale, in relazione all'ipotesi di bancarotta preferenziale, ha ritenuto che il C. ne debba rispondere a titolo di amministratore di fatto della società fallita, sulla base del mero rilascio di una procura in favore del ricorrente da parte del F. , prescindendo, come sarebbe stato invece doveroso, dall'accertamento di concreti atti di gestione della società posti in essere in tale periodo dal C. 2 vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della condotta distrattiva, costituita dal pagamento di emolumenti all'amministratore senza delibera dell'assemblea dei soci, desunta dalla corte territoriale dalla circostanza che nel patrimonio della società fallita non sono state rinvenute le somme pagate al C. fino al 2005, inserite nei bilanci della società sotto la voce stipendi e salari, ed in mancanza di una valida giustificazione da parte dell'imputato del mancato rinvenimento di quel denaro nelle casse sociali, omettendo, tuttavia, di considerare che il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui è sufficiente per ritenere provata l'attività distrattiva il mancato rinvenimento, privo di giustificazione, nel patrimonio della società di beni che vi sono sicuramente entrati, non può trovare applicazione nel caso in esame, perché non è provato che il denaro di cui si discute sia entrato nel patrimonio sociale, risultando, piuttosto, provato il contrario peraltro, rileva il ricorrente, se dai documenti in atti non risulta nessun pagamento in favore del C. , non può dirsi avvenuta nessuna spoliazione, perché l'imputato non ha ricevuto nessun emolumento per le causali indicate nel capo d'imputazione 3 violazione di legge in relazione sempre alla bancarotta per distrazione, in quanto i pagamenti di natura distrattiva, che, peraltro, secondo il ricorrente consisterebbero nel pagamento di stipendi e non di emolumenti al C. , come si evince dalla documentazione contabile, si sarebbero verificati in un momento non di difficoltà, ma di espansione della redditività dell'impresa, per cui, avuto riguardo a tale momento, difetta il necessario presupposto per la configurabilità del reato, che il ricorrente individua nella sussistenza di una condizione di pericolo per le ragioni dei creditori, secondo una prospettazione condotta in quel tempo e secondo quanto era allora prevedibile e non solo sulla base ipotetica di qualsiasi evenienza futura nella quale la società possa venirsi a trovare , per cui non essendo ipotizzabile nel momento in cui i pagamenti vennero effettuati una situazione di pericolo per i creditori, stante lo stato di buona salute della società, il reato non appare configurabile. 2.2. Il F. , nel ricorso a firma dell'avv. Vincenzo Saponara, lamenta 1 violazione di legge e vizio di motivazione, per non avere dimostrato la corte territoriale, omettendo di fornire risposta ai rilievi difensivi sul punto, la sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale addebitato al ricorrente, accusato, in qualità di amministratore formale della società fallita, di avere disposto un pagamento preferenziale in favore dell'amministratore di fatto C. nel dicembre del 2006, delitto che richiede il dolo specifico, con particolare riferimento alla consapevolezza da parte dell'imputato dello stato di insolvenza della società e di favorire il C. sulla massa degli altri creditori 2 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 114, c.p., che la corte nega senza svolgere alcuna verifica sulla incidenza della condotta del F. sulla lesione della par condicio creditorum, laddove il ruolo assolutamente marginale del ricorrente si ricava dalla procura conferita al coimputato, che aveva realmente gestito la società, mentre il F. era impegnato nelle trattative con la H3G nel tentativo di risollevare le sorti della fallita, provvedendo il C. in buona sostanza a disporre un pagamento in favore di se stesso. 2.3. Con motivi nuovi depositati 28.5.2014 il C. insiste sul profilo della impossibilità di configurare nella fattispecie di cui al citato numero 3, il delitto di bancarotta patrimoniale fraudolenta per distrazione, stante la mancanza dello stato di insolvenza della società fallita al momento del compimento dei fatti, potendosi, al limite, qualificare tale fattispecie come bancarotta preferenziale, ai sensi dell'articolo 216, co. 3, l. fall 3. I ricorsi non possono essere accolti. 4. Quanto al ricorso del C. , infondato deve ritenersi innanzitutto il motivo sub numero 1 . Al riguardo va rilevato che, come affermato da tempo nella giurisprudenza di legittimità, in tema di reati fallimentari, il soggetto che, ai sensi della disciplina dettata dall'articolo 2639, c.c., assume la qualifica di amministratore di fatto della società fallita è da ritenere gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore di diritto , per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili come i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale , tra i quali vanno ricomprese le condotte dell'amministratore di diritto , anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali condotte, in applicazione della regola di cui all'articolo 40, co. 2, c.p. cfr. Cass., sez. V, 20/05/2011, numero 39593, rv 250844 Cass., sez. V, 2/3/2011, numero 15065, Guadagnoli e altro, rv. 250094 . Consolidato appare all'interno della giurisprudenza di legittimità anche l'orientamento secondo cui la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'articolo 2639 c.c., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, anche se significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale. La posizione dell'amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta, dunque, va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l'attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale. La disciplina sostanziale si traduce, in via processuale, nell'accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall'organico inserimento del soggetto, quale intraneus che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell’”iter di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi - rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti - in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare. Peraltro l'accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica cfr. Cass., sez. V, 14.4.2003, numero 22413, Sidoli, rv. 224948 Cass., sez. I, 12.5.2006, numero 18464, Ponciroli, rv. 234254 . In conclusione può dunque affermarsi che in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli articolo 216 e 223 l. fall., vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta cfr. Cass., sez. V, 13.4.2006, numero 19145, Binda e altro, rv. 234428 . Con particolare riferimento al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, poi, si è affermato, con decisione condivisa da questo Collegio, che affinché l'amministratore di fatto di una società possa esserne ritenuto responsabile, occorre che egli abbia posto in essere atti tipici di gestione, offrendo così un contributo obiettivo alle decisioni adottate da chi è formalmente investito della qualifica di amministratore, nella consapevolezza delle implicazioni della condotta tipica del soggetto qualificato cfr. Cass., sez. I, 11/01/2012, numero 5063, G.M. . Orbene la corte di appello di Milano, con motivazione articolata, esauriente ed immune da vizi, si è mossa nel solco interpretativo tracciato dalla giurisprudenza di legittimità. La corte territoriale, infatti, ha individuato una pluralità di indici di assoluto valore sintomatico della qualifica di amministratore di fatto rivestita dal C. , evidenziando come, nel periodo preso in considerazione, in virtù della procura ricevuta dall'amministratore di diritto F. , il C. non solo ha operato quotidianamente all'interno dell'azienda, ma è anche concretamente e direttamente intervenuto nelle decisioni di dismissione dei punti vendita facenti capo alla società fallita e nelle contestuali trattative con la H3G cfr. p. 12 della sentenza impugnata . Del resto, come confermato da un condivisibile arresto di questa stessa sezione in tema di fatti di bancarotta fraudolenta, di cui all'articolo 223 legge fallimentare, il rilascio di una formale procura da parte dell'apparente amministratore della società non esclude che costui sia un uomo di paglia e che il vero amministratore sia l'apparente procuratore, ne1 esclude il concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta con l'amministratore. cfr. Cass., sez. V, 12.2.1992, numero 5150, rv. 190060 . 4.2. Del pari infondato è il secondo motivo del ricorso C. . Non vi è ragione, infatti, per cui non debba essere applicato anche alla fattispecie in esame il consolidato principio di elaborazione giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, secondo cui in tema di prova del delitto di bancarotta fraudolenta, il mancato rinvenimento, all'atto della dichiarazione di fallimento, di beni o utilità nella disponibilità della società fallita costituisce circostanza idonea a fondare la ragionevole presunzione della loro distrazione, in mancanza di giustificazione, da parte dell'imputato, in ordine alla loro destinazione al soddisfacimento di esigenze della società o al perseguimento dei relativi fini, senza che ciò possa implicare indebita inversione dell'onere probatorio, per cui la prova della distrazione o dell'occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell'amministratore, della destinazione dei beni suddetti cfr., da ultime, Cass., sez. V, 17/04/2013, numero 22894, rv. 255385 Cass., sez. V, 08/03/2013, numero 23749 . Ne consegue che del tutto correttamente la corte territoriale ha desunto la prova dell'avvenuta bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, avente ad oggetto somme di denaro prelevate dalla casse sociali dallo stesso C. , a titolo di compenso, non previsto dalla statuto della società e non deliberato dall'assemblea, dalla circostanza del mancato rinvenimento, all'atto del fallimento, dall'attivo della società delle somme di denaro, annotate in bilancio sotto la voce salari e stipendi , piuttosto che in quella compensi agli amministratori , relative a quanto prelevato dal C. , senza titolo legittimante, quando era amministratore di diritto sino al 26 ottobre 2010, non avendo, nel contempo, l'imputato fornito nessuna giustificazione al riguardo, risultando, anzi pacifico, come correttamente rileva la corte territoriale, alla luce delle risultanze processuali, la condotta materiale del reato e la destinazione al C. delle somme contestate cfr. pp. 13-14 dell'impugnata sentenza . Il risultato cui sono pervenuti i giudici di merito appare, del resto, conforme al condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell'amministratore che prelevi somme dalle casse sociali, a titolo di pagamento di competenze, ancorché su delibera del consiglio di amministrazione, in quanto la previsione di cui all'articolo 2389 c.c. stabilisce che la misura del compenso degli amministratori di società di capitali, qualora non sia stabilita nello statuto, sia determinata con delibera assembleare né detta specifica delibera può considerarsi implicita in quella di approvazione dei bilanci, salvo che l'assemblea convocata solo per l'approvazione del bilancio abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori cfr., Cass., sez. V, 27/10/2009, numero 46959, rv. 245399 . 4.3. Anche l'ultimo motivo di ricorso del C. , riproposto nei motivi nuovi, appare destituito di fondamento. Ed invero in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, la punibilità della condotta non è subordinata alla condizione che la stessa distrazione sia causa del dissesto, in quanto, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, i fatti distrattivi assumono rilevanza penale in qualsiasi tempo siano stati commessi, e, dunque, anche quando l'impresa non versava ancora in situazione di insolvenza, né rileva, trattandosi di reato di pericolo, che - al momento della consumazione - l'agente avesse consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa per non essersi lo stesso ancora manifestato cfr. Cass., sez. V, 24/09/2012, numero 733 .Cass., sez. V, 28/01/2013, numero 9845 . In questa prospettiva la dispersione dei beni realizzata attraverso l'atto distrattivo, è già dotata di un potenziale effetto pregiudizievole per i creditori, che, tuttavia, diventa concreto nel momento in cui il reato si perfeziona con la dichiarazione di fallimento. 5. Anche il ricorso del F. appare infondato. Ed invero, come affermato da tempo dalla giurisprudenza in tema di bancarotta, l'amministratore in carica risponde penalmente dei reati commessi dall'amministratore di fatto , dal punto di vista oggettivo ai sensi dell'articolo 40 comma 2 c.p., per non avere impedito l'evento che aveva l'obbligo giuridico articolo 2392 c.c. di impedire, gravando pur sempre sull'amministratore di diritto un dovere di controllo sull'operato dell'amministratore di fatto cfr. Cass., sez. V, 09/02/2010, numero 11938, M. e altro, rv. 246897 Cass., sez. V, 05/05/2009, numero 31142, P. e altro. Cass., sez. V, 19/06/2012, numero 40929, F.C. , che il F. , nel periodo in cui rivestiva tale carica non ha adempiuto con la dovuta diligenza. Al riguardo è stato, altresì, chiarito, secondo un orientamento giurisprudenziale condiviso dal Collegio, come sia sufficiente la generica consapevolezza da parte dell'amministratore di diritto che l'amministratore di fatto compia una delle condotte indicate nelle norme incriminatrici, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l'elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale, salva anche la prova della volontà del mancato impedimento dell'evento cfr. Cass., sez. V, 11/04/2012, numero 25432, D.M.C., e altro Cass., sez. V, 24/03/2011, numero 17670, Cass., sez. V, 09/02/2010, numero 11938, M. e altro, rv. 246897 Cass., sez. V, 05/05/2009, numero 31142 cfr. Cass., sez. V, 14.5.2013, numero 37305, rv. 257608 . Orbene nel caso in esame la prova del dolo dell'amministratore di diritto risulta fornita dalla indiscutibile circostanza che, come evidenziato da entrambi i giudici di merito le sentenze di primo e di secondo grado vanno, infatti, considerate un prodotto unico, essendo sorrette da un apparato argomentativo uniforme , nel momento in cui è stato effettuato il pagamento preferenziale in favore del C. della somma di 30.000,00 Euro, vale a dire il 12 ed il 19 dicembre del 2006, era noto ad entrambi gli imputati lo stato di dissesto della società, le cui prime avvisaglie si erano verificate nel 2005, per poi esplodere nel 2007 con una vera e propria paralisi societaria che si riverberava nella cessazione sostanziale di tutte le attività commerciali cfr. pp. 4-6 della sentenza di primo grado . Né va taciuto come la consapevolezza del F. di agire allo scopo di favorire il C. sia implicitamente dimostrata anche dal pagamento di un debito, per un importo, peraltro, non di poco momento, in favore di un solo creditore, pur in presenza in presenza di numerosi creditori, come evidenziato dalla relazione del curatore fallimentare cfr. p. 15 della sentenza di secondo grado . 6.1 Infondato, infine, deve ritenersi anche il secondo motivo del ricorso F. . Ed invero l'attenuante della partecipazione di minima importanza al reato articolo 114 c.p. non può trovare applicazione sulla base della semplice graduazione della gravità delle condotte, ma comporta un esame dell'apporto causale delle condotte stesse sotto tale profilo la condotta di colui che, come il F. , ricopre il ruolo formale di amministratore della società ed in tale veste omette qualsiasi controllo, non solo favorisce la commissione di condotte di reato, ma anche fornisce un contributo essenziale ed indefettibile per la realizzazione delle condotte criminose e non può, quindi, essere qualificata in termini di contributo minimo, cioè di efficacia causale così limitata rispetto all'evento da risultare accessorio nel generale quadro del percorso criminoso di realizzazione del reato cfr. Cass., sez. V, 06/07/2011, numero 40092, rv. 251121 Cass., sez. VI, 24/11/2011, numero 24571, rv. 253091 . 7. Sulla base delle svolte considerazioni i ricorsi vanno rigettati con condanna di ciascuno dei ricorrenti, ai sensi dell'articolo 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.